Istituto derelitti di Milano (1902 - 1972)

Altre denominazioni:
Istituto ragazzi di Milano (1964 - 1972)
Istituto di assistenza ai minori - IDAM (1945 - 1964)
Istituto fascista di assistenza ai minori - IFDAM (1936 - 1945)

Sede: Milano

Tipologia ente: ente di assistenza e beneficenza

Condizione giuridica: pubblico

Progetto: Azienda di servizi alla persona - ASP Golgi-Redaelli: Milano sconosciuta ritrovata

L'Istituto derelitti di Milano nacque nel 1902 e quattro anni più tardi venne aperta la nuova sede di via Settembrini 71. Le sue origini storiche sono tuttavia molto precedenti. Risalgono infatti al 1817, quando l'Amministrazione dei LLPPEE iniziò a farsi carico dei fanciulli "derelitti" che la polizia gli affidava, ospitandoli presso lo stabile della Pia casa d'Industria di S. Vincenzo. In quel periodo il numero dei fanciulli privi di genitori o abbandonati dagli stessi era infatti sensibilmente aumentato in seguito alla guerra, e poi alla carestia e all'epidemia di tifo petecchiale, che avevano pesantemente colpito il territorio lombardo.
Secondo quanto stabilito dal Regolamento delle Pie case d'industria e di ricovero del 1821, i fanciulli ammessi al ricovero erano per prima cosa lavati, visitati dal medico e dotati di uniforme. Quelli abili venivano inviati a fare pratica presso officine esterne. Mentre quanti non erano stati in grado di apprendere un mestiere e non potevano dunque garantirsi l'autonomia economica, giunti a 18 anni venivano trattenuti nel ricovero e trasferiti presso la sezione adulti, dove erano adibiti alla filatura del lino e della stoppa. Le fanciulle erano invece occupate esclusivamente all'interno della Pia casa, in lavori di cucito, filatura e confezione di abiti. Ai minori veniva inoltre insegnato a leggere e scrivere ed era impartita l'istruzione religiosa.
Nel 1821 ai 28 fanciulli già ospitati presso lo stabile di S. Vincenzo se ne aggiunsero altri 45 a carico del Comune di Milano, che negli anni precedenti aveva attrezzato a ricovero provvisorio l'ex caserma di S. Gerolamo.
Il numero dei fanciulli continuò a crescere fino al principio degli anni '30, quando la situazione subì un brusco mutamento in seguito alla sensibile diminuzione del contributo finanziario erogato dal Comune. Per fronteggiare l'imprevisto aggravio economico, l'Amministrazione dei LLPPEE decise allora di procedere al collocamento dei derelitti presso famiglie di campagna, in cambio di un assegno periodico. Il ricovero venne pertanto a configurarsi come un "deposito provvisorio" e la sua attività andò progressivamente calando fino ad azzerarsi del tutto. Per alcuni anni, l'asilo temporaneo ai fanciulli derelitti dovette infatti essere assicurato dalla stessa autorità di polizia, che adibì a tale uso i locali del carcere.
Il ricovero provvisorio per i derelitti presso le Pie case d'Industria fu riattivato per decreto vice reale, nel 1845 e, con dispaccio luogotenenziale 15 settembre 1858, furono finalmente stabilite le incombenze in materia di assistenza ai minori. Ai Luoghi pii elemosinieri spettò l'onere per i derelitti appartenenti alla città per nascita o decennale dimora dei genitori, mentre sul Comune ricadde quello verso i fanciulli privi di tale requisito.
Con l'istituzione della Congregazione di carità, nel 1862, le disposizioni in materia di beneficenza ai derelitti rimasero le medesime vigenti, né modificazioni si ebbero con i successivi regolamenti del 1867 e 1868.
Una grande novità si verificò invece nel 1875, quando, grazie al lascito disposto da Luigi Manganoni (con testamento 24 e 30 novembre 1873), fu possibile erigere un'opera pia a beneficio dei derelitti, alla quale venne allora aggregata una speciale beneficenza a favore degli orfani di padre, istituita nel 1843 da Francesco Mainoni, da cui la denominazione definitiva di Opera pia pei derelitti e orfani. L'Opera pia, attorno alla quale si raccolse l'attività della Congregazione di carità a favore dei minori, venne eretta in corpo morale con regio decreto 17 giugno 1875 e con regio decreto 8 dicembre 1878 fu approvato lo statuto organico. Il regolamento venne invece approvato nel 1880, per poi essere riformato nel 1888.
Nell'art. 3 dello statuto organico - che recepisce sia la normativa vigente sia gli accordi intervenuti, nel 1875, tra Congregazione di carità, Comune e Provincia - vengono indicate le categorie di derelitti alle quali l'Opera pia era tenuta a provvedere, cioè i figli legittimi minori di 15 anni, orfani o con genitori non idonei e privi di parenti tenuti per legge alla cura, e i fanciulli illegittimi dai 7 ai 15 anni, privi anch'essi di familiari obbligati alla cura. Un'ulteriore limitazione era l'obbligo del domicilio di soccorso in Milano, "per nascita o per ultimo, non interrotto decennale domicilio del padre".
I figli di genitori domiciliati a Milano da meno di un decennio erano anch'essi assistiti dalla Congregazione di carità, ma la spesa gravava sulle casse del Comune, mentre gli illegittimi con meno di 7 anni ricadevano sotto la cura della Provincia, che provvedeva al loro ricovero nel brefotrofio.
Al fine di verificare i requisiti dei derelitti da ammettere ai benefici previsti dall'Opera pia, il regolamento stabilì l'istituzione presso la Congregazione di carità di uno speciale Comitato pei derelitti formato di 12 componenti scelti tra i delegati di beneficenza dell'ente. Ogni anno il comitato eleggeva, inoltre, al suo interno un sottocomitato di 5 membri, cui spettava il collocamento dei minori in città e in campagna e la sorveglianza su di essi.
Per l'alloggio temporaneo dei fanciulli, che non poteva superare i 15 giorni, la Congregazione, nel 1883, deliberò l'apertura di un Asilo provvisorio per i derelitti presso il Ricovero di mendicità di S. Marco. E due anni dopo provvide ad impiantare l'Asilo provvisorio per le derelitte, accanto al Ricovero di mendicità femminile, nello stabile della Senavra, appena acquistato, dove, alcuni anni più tardi, venne trasferita anche la sezione maschile.
Ancora alla fine del XIX secolo la Congregazione di carità continuava dunque a farsi carico unicamente della custodia dei minori in attesa del collocamento in famiglia, senza alcuna responsabilità di carattere educativo. Ciò anche dopo l'entrata in vigore della legge 17 luglio 1890 sulle istituzioni pubbliche di beneficenza, che, designando l'assistenza ai minori come uno dei compiti principali delle Congregazioni di carità, determinò un notevole incremento dei fanciulli ricoverati, oltre al venire meno della responsabilità del Comune verso i derelitti privi del decennale domicilio.
Una nuova tappa significativa per quanto riguarda l'assistenza erogata ai minori da parte della Congregazione di carità fu l'approvazione, nel 1896, del nuovo regolamento di beneficenza dell'ente, che disciplinò ogni aspetto della materia: pratiche preliminari, collocamento presso allevatori (un libretto riportava le regole che gli affidatari dovevano seguire nell'allevamento del fanciullo) o istituti, sorveglianza, cessazione dell'assistenza. Di grande rilievo inoltre la relazione della presidenza del 1° marzo 1898, nella quale viene chiaramente affermata la volontà dell'ente di farsi carico anche dell'educazione dei ricoverati, andando oltre quella visione dell'assistenza limitata alla sola custodia, che aveva prevalso fino ad allora.
Un primo passo in questa direzione data all'aprile di quello stesso anno, quando il Consiglio della Congregazione approvò lo statuto provvisorio della progettata "Casa di deposito pei fanciulli derelitti". Per la realizzazione del progetto continuava tuttavia a mancare una sede idonea. I minori erano ancora ospitati presso la Senavra, dove rimasero fino al marzo 1900, quando, in seguito ad un'epidemia di tigna, la Congregazione fu costretta a trasferire le fanciulle e i fanciulli minori di 7 anni presso il fabbricato di S. Vincenzo, sede della Pia casa d'Industria, che di lì a poco cessò di esistere. Il trasferimento dei derelitti d'età maggiore avvenne invece solo nel 1902, presso la succursale aperta nei locali di una ex scuola in via S. Rocco, a Porta Romana. Si trattava tuttavia ancora di soluzioni provvisorie.
Sul finire del 1899, frattanto, il Comune di Milano aveva accolto la richiesta di conferimento del lascito disposto da Carlo Giulio Trolliet avanzata dalla Congregazione di carità. Trolliet, morto nel 1896, aveva nominato erede la città di Milano, con l'obbligo di assegnare la sostanza ad un'istituzione avente per finalità l'allevamento, l'educazione e l'istruzione di bimbi orfani o derelitti. Il consiglio comunale milanese diede esecuzione alle volontà del benefattore istituendo l'Opera pia Trolliet, la cui amministrazione - l'Opera pia aveva un patrimonio costituito da quasi 900.000 lire e da un fondo in località Oleggio comprendente una villa, un teatro e una filanda - poté essere affidata alla Congregazione di carità solo tre anni più tardi, nel 1902, dopo una lunga controversia promossa da altri aspiranti. All'anno seguente data un altro importante lascito pervenuto alla Congregazione di carità, quello dell'avvocato Saldarini, anch'esso a favore di orfani, derelitti e vedove con figli.
Grazie anche a questi nuovi cespiti, la volontà, già espressa dalla Congregazione, di realizzare un istituto autonomo per i derelitti poté ricevere un nuovo e decisivo impulso. Il passo fondamentale in questa direzione venne compiuto con la deliberazione del 10 ottobre 1901, che dispose la nomina di un delegato per la sorveglianza del Deposito provvisorio di S. Vincenzo - nella persona di Bartolomeo Orcese - svincolato dalla direzione del Ricovero di Mendicità. Ottenuta l'indipendenza sul piano amministrativo, nel 1902, Il Deposito mutò il nome in Istituto Derelitti.
Le sedi di S. Vincenzo e S. Rocco, pure riadattate, rimanevano tuttavia non idonee per ospitare un istituto, che non intendeva più offrire ai minori soltanto protezione, ma si prefiggeva anche di favorirne l'educazione e lo sviluppo fisico e morale. Il numero dei derelitti assistiti era, peraltro, in costante crescita da oltre un decennio. Alla fine del 1905 ammontava a 673 unità: 100 derelitti erano accolti provvisoriamente presso l'Istituto, 545 presso famiglie (259 in Milano e 286 fuori città), 28 presso altri istituti.
La possibilità di realizzare un nuovo edificio appositamente pensato per l'accoglienza dei fanciulli soli o abbandonati si concretizzò in breve tempo grazie alle cospicue elargizioni pervenute dalla Cassa di risparmio, da un versamento effettuato dalla Società Umanitaria, e da numerosi lasciti e oblazioni private.
I lavori per la costruzione della nuova sede dell'Istituto Derelitti di via Settembrini 71 (poi Venini) iniziarono nel 1904 e furono portati a termine due anni dopo: l'inaugurazione ebbe luogo il 23 dicembre 1906, alla presenza del arcivescovo, card. Ferrari, del sindaco, marchese Ponti, e delle autorità cittadine.
La nuova sede si estendeva su un ampia area di circa 11.000 mq, tra le vie Palestrina, Macchi, Brianza e Settembrini, di proprietà dei LLPPEE, un tempo parte del podere Rizzarda e Rossa.
L'istituto, che occupava 2664 mq, era formato da due corpi di fabbricato, disposti su tre piani. Nel corpo principale erano localizzati, da un lato, il reparto maschile e, dall'altro, quello femminile, al quale era annessa la sezione infantile, per i minori di 7 anni. Tra i due reparti, allineati lungo il fronte dell'edificio, era disposta la parte centrale, leggermente aggettante, occupata, al piano terreno, dagli uffici, e ai superiori, dalle abitazioni degli impiegati.
Nel corpo di fabbricato minore, prospiciente via Macchi, era invece installata l'infermeria, capace di oltre 50 posti letto. L'istituto disponeva inoltre di varie aule scolastiche, di ampi cortili e di un piccolo oratorio.
All'andamento economico e disciplinare sovrintendeva un direttore assistito da un economo, mentre il servizio sanitario era disimpegnato da un medico chirurgo.
Al reparto maschile erano addetti diversi sorveglianti ed inservienti, servizi che nel reparto femminile erano invece garantiti da suore, le quali attendevano inoltre ai servizi di guardaroba, di cucina e all'assistenza nelle infermerie.
Il regolamento interno, approvato nel 1910, prevedeva che il ricovero fosse riservato a "fanciulli poveri aventi il domicilio di soccorso in Milano, minori del quindicesimo anno, se legittimi, e maggiori del settimo ma minori del quindicesimo se illegittimi, i quali, per essere privi dell'appoggio dei genitori o di parenti che siano in obbligo od in grado di provvedere al loro sostentamento e stante la mancanza di altre istituzioni locali specialmente tenute ad assisterli, si trovino in condizioni di assoluto abbandono nel territorio del Comune di Milano". Nessuna indicazione era fornita circa la durata dei ricoveri.
Le istanze di ammissione provenivano da autorità pubbliche e da privati; talora erano gli stessi genitori che, trovandosi in condizioni di difficoltà, chiedevano il ricovero dei figli. Una speciale categoria di ospiti erano i derelitti a carico dell'Opera pia Troillet, generalmente con infermità fisiche, per i quali il collocamento era definitivo.
I posti letto erano 224. Durante gli anni della prima guerra mondiale il numero degli ospiti superò tuttavia costantemente tale soglia, a causa dell'accettazione di figli di richiamati e di profughi provenienti dalle terre invase.
Il ricovero poteva essere interrotto in seguito alla consegna a persone obbligate, per legge, ad avere cura dei minori, dall'invio in altri istituti, o in seguito al definitivo collocamento presso famiglie di città o, più spesso, di campagna, che avevano presentato richiesta alla Congregazione di carità.
Delle norme per disciplinare i collocamenti furono redatte nel 1918, con la finalità di garantire una sorveglianza più efficace nei confronti delle famiglie allevatrici, tra le quali continuavano a prevalere quelle dei lavoratori della terra e dei commercianti.
Per ogni derelitto la Congregazione corrispondeva agli allevatori un assegno mensile, quale rimborso totale o parziale delle spese sostenute per il mantenimento.
Per ciò che riguarda l'istruzione, prima del 1906 i derelitti ospiti della sede di S. Vincenzo venivano inviati a scuole esterne, mentre nella succursale di via S. Rocco fu aperta una scuola interna.
Con il trasferimento dell'Istituto in via Settembrini continuò a permanere una situazione ibrida. Le prime tre classi maschili venivano effettuate presso la scuola interna e le ultime in istituti esterni; l'istruzione delle fanciulle, dopo un primo periodo di internato, venne invece affidata alla scuola comunale di via Benedetto Marcello. Alla soppressione ufficiale delle classi interne si giunse nell'anno scolastico 1934-1935, dopo ripetute sollecitazioni del direttore dell'Istituto Oreste Pagani.
Nel 1915-1916, all'interno dell'Istituto, fu aperta, una "casa dei bambini" per i più piccoli, che funzionò fino al 1919-1920, per poi essere ripristinata nel 1924-1925; si iniziò inoltre l'invio, a titolo sperimentale, di alcuni minori ai corsi professionali della Società Umanitaria, che venne però quasi subito abbandonato.
L'Istituto si occupava anche dell'avviamento lavorativo dei derelitti. Alcuni di essi erano collocati presso officine esterne, mentre altri erano impiegati come collaboratori per alcuni servizi interni o nella piccola sartoria impiantata presso l'Istituto nel 1912. Alcune fanciulle, dal 1932, vennero invece assegnate al laboratorio di maglieria aperto in quell'anno presso la guardaroba femminile dell'Istituto.
Da alcuni anni i giovani ospiti compresi tra gli otto e i quattordici anni erano stati inquadrati nella "Centuria derelitti", alle dipendenze della Coorte speciale della 162a Legione balilla. E nel 1937 furono tesserati anche gli ospiti della sezione bambini, i cosiddetti "figli della lupa".
Nel 1936, frattanto, l'Istituto Derelitti aveva mutato denominazione in Istituto fascista di assistenza ai minori (Ifdam).
Allo scoppio del conflitto mondiale l'Ente comunale di assistenza - subentrato alla Congregazione di carità nell'amministrazione dell'Istituto - dispose la sistemazione di una sede provvisoria dell'Istituto in un locale della villa Trolliet a Oleggio, dove i minori trascorrevano le vacanze estive. L'evacuazione dei ricoverati avvenne durante l'anno scolastico 1942/1943 in seguito all'acuirsi dei bombardamenti su Milano e si protrasse fino a guerra finita.
Caduto il regime fascista, nel 1945, l'Istituto venne rinominato Istituto di assistenza ai minori (Idam).
Superati i difficili anni del dopoguerra, al principio degli anni '50 iniziò una fase di rinnovamento e modernizzazione dell'Istituto, che iniziò ad assimilare alcuni dei nuovi indirizzi pedagogici che andavano affermandosi. Si procedette innanzitutto alla sostituzione degli arredi e all'abolizione della divisa. Il personale fu riqualificato e vennero introdotte le figure dell'assistente sociale e del medico psicologo. Fu inoltre riformato il metodo educativo, imperniato sul tradizionale binomio "sorveglianza-disciplina", e vennero incoraggiate l'istruzione, anche oltre i 14 anni, l'apprendimento della musica e le attività culturali.
In quello stesso periodo si verificò un significativo mutamento anche nelle fasce d'età dei ricoverati. Quasi tutti gli ospiti erano infatti fanciulli in età scolare o lavorativa, mentre era significativamente diminuita la presenza dei più giovani, per cui l'attività dell'asilo infantile cessò quasi completamente. Causa diretta di questa evoluzione era l'interruzione del collocamento presso allevatori esterni e la conseguente trasformazione dell'Istituto in ricovero permanente.
A suggellare queste novità di ordine educativo, l'ECA, con delibera 24 febbraio 1964, modificò nuovamente la denominazione dell'Istituto in Istituto Ragazzi di Milano, scelta dagli stessi fanciulli. Essendo oramai inadeguata la sede di via Venini, iniziò inoltre a valutare l'opportunità di dare all'Istituto una nuova sede. Il progetto, che prevedeva il trasferimento dell'Istituto in un'area collocata nei territori comunali di Cinisello Balsamo e di Sesto San Giovanni, non venne però mai realizzato.
Con delibera 10 luglio 1967 il Consiglio di amministrazione dell'Eca decise la cessazione dell'attività dell'Istituto Ragazzi di Milano a decorrere dal 30 settembre 1967. La drastica misura rientrava nel più generale piano per il risanamento del bilancio dell'Ente. Non si trattava tuttavia ancora del definitivo abbandono dell'attività assistenziale a favore dei minori da parte dell'ECA. Il 22 settembre di quel anno fu infatti deliberato il proseguimento dell'attività dell'Istituto, limitatamente alla sezione femminile. Gli 11 maschi rimasti nella sede di via Venini vennero invece collocati presso altri istituti, con retta a carico dell'Ente. Per coordinare e vigilare sull'attività residua fu costituito un apposito ufficio nell'ambito della divisione assistenziale.
La sede prescelta per l'Istituto fu villa "la Madonna" in Meina (Novara) sul lago Maggiore, messa a disposizione dal prof. Agostino Stocchetti dell'Opera Cardinal Ferrari. L'Istituto ospitò una ventina di fanciulle dai 6 ai 15 anni, provenienti dalle città di Milano e Novara e dalle rispettive provincie. La cura delle giovani fu affidata alle suore di carità di Milano, che continuarono ad occuparsi delle giovani fino al 1972. Nello stesso anno, l'ECA dispose la chiusura della "Colonia permanente di Meina". Le 25 ospiti furono allora sistemate presso altri Istituti sotto la vigilanza dell'Ufficio minori dell'Ente o fecero rientro in famiglia.

Compilatori
Sassi Giorgio, Archivista