Consulta del Museo patrio di archeologia di Milano (1862 - 1903 maggio 28)

Sede: Milano

Tipologia ente: ente di cultura, ricreativo, sportivo, turistico

Progetto: Comune di Milano. Biblioteca d'arte - Biblioteca archeologica - Centro di alti studi sulle arti visive - CASVA: fondo della Consulta del museo patrio di archeologia di Milano

Il primo nucleo delle future collezioni del Museo Patrio di Archeologia fu riunito, tra la fine del XVIII secolo e l'inizio del successivo, presso la chiesa degli Umiliati, annessa al palazzo di Brera, chiusa al pubblico nel 1806 e soppressa nel 1808. Ne furono artefici l'abate Carlo Bianconi, segretario dell'Accademia braidense, ed i suoi successori Giuseppe Bossi e Giuseppe Zanoia.
Nel 1799 il Bianconi aveva depositato presso un locale del palazzo il monumento di Lancino Curzio, opera del Bambaia, proveniente dal chiostro degli Agostiniani di S. Marco, il cui ordine era stato soppresso nel medesimo anno. Nel 1804 Giuseppe Bossi, succeduto al Bianconi, avanzò alla direzione dell'Accademia la proposta di stesura di un regolamento per la conservazione dei monumenti architettonici locali, alla quale, qualche tempo dopo, associò quella di fondazione di una società di protettori delle belle arti. Nel 1806 fece trasferire a Brera l'effigie di Gastone di Foix ed una piccola statua del profeta Isaia, che rappresentavano gli avanzi del grandioso monumento funebre commissionato al Bambaia dal cugino di Gastone, Luigi XII di Francia, e provenivano da un chiostro del soppresso monastero di Santa Maria. Nel medesimo anno giunse a Brera anche la lapide del pittore Giovanni Antonio Boltraffio, già nella cripta della chiesa di S. Paolo in Compito.
Lo stesso Bossi, assieme allo Zanoia, allo storico Luigi Bossi ed al numismatico Gaetano Cattaneo, fu nominato membro di una Commissione governativa incaricata di visitare i soppressi edifici di culto e di asportare gli oggetti giudicati interessanti per la formazione di una pubblica raccolta. La Commissione operò attivamente ed ottenne il trasferimento a Brera, fra gli altri, del monumento a Bernabò Visconti, proveniente dalla chiesa di S. Giovanni in Conca, e di alcune sculture appartenenti alle chiese di S. Salvatore, S. Ambrogio ad Nemus, Santa Maria della Pace (1).
Dopo le dimissioni di Bossi dalla segreteria dell'Accademia, l'opera di raccolta dei monumenti di rilevanza storica ed artistica fu continuata dal suo successore, Giuseppe Zanoia, ad interpretazione dell'apparente volontà governativa di concretizzare in tempi brevi i progetti di fondazione di un museo statale milanese, così come si poteva desumere, per esempio, dalla circolare n. 4391 del 3 marzo 1809, con la quale il ministero degli Interni impegnava la Prefettura a collaborare nella riunione di antichità destinate a costituire il patrimonio di una futura pubblica raccolta.
Ogni iniziativa si interruppe con la caduta del Regno Italico (1814) e la restaurazione che ne seguì. Durante il quarantennio successivo, al nucleo originale furono aggiunti solo pochi materiali, tra i quali avanzi di edifici romani dalla Porta Nuova sul Seveso e dalle mura di Massimiano Erculeo, così come sculture provenienti dall'arco di Porta Orientale e dalla zona delle colonne di S. Lorenzo. Nel 1818, inoltre, l'Accademia di Brera acquistò parte della collezione antiquaria riunita dal Bossi, consistente in circa cinquecento esemplari greci, romani, egizi e rinascimentali, che nel 1863, alla fondazione del Museo Patrio di Archeologia, provvederà a donargli (2).
Tutto questo materiale fu depositato alla rinfusa in un recesso della chiesa di Brera, separato con un muro dal resto dell'edificio (nel quale fu collocato, fino al 1848, l'oratorio delle scuole ginnasiali) e reso, di fatto, inaccessibile a pubblico e studiosi.
Soltanto intorno alla metà del secolo, accanto a un generale riaffermarsi di interesse per gli studi archeologici, tornò di attualità il problema della fondazione a Milano di un pubblico museo di antichità.
Nel 1853 l?istituto lombardo di scienze e lettere, riprendendo pratiche già avviate da uno dei suoi membri, l'archeologo Bernardino Biondelli, istituì una Commissione con il compito di vigilare sulla conservazione del monumenti antichi e di procedere alla fondazione di un museo patrio, utilizzando, come primo nucleo, i materiali giacenti presso l'Accademia. L'iniziativa non portò ad alcun risultato concreto immediato, ma servì a sensibilizzare sia l'opinione pubblica che l'amministrazione austriaca, la quale, infatti, di fronte alla duplice richiesta, avanzata tre anni più tardi dall'Accademia di Brera, di ottenere lo spazio integrale della chiesa di Santa Maria ed un finanziamento per il progettato museo, dovette accondiscendere almeno alla prima.
Nel 1858 anche la civica amministrazione nominò una Commissione di tutela, che svolse egregiamente il proprio compito fino al 1862, quando, con R. Decreto 13 novembre, firmato dal ministro Matteucci, fu istituito il Museo Patrio di Archeologia milanese.
Il nuovo istituto ebbe sede nel palazzo di Brera, nell'aula già ad uso dell'oratorio ginnasiale e nella sala di deposito adiacente. La sua direzione venne affidata ad una Consulta permanente, presieduta dal Sindaco e composta da nove membri di nomina governativa: Bernardino Biondelli, Antonio Ceriani, Giovanni Dozio, Giuseppe Bertini, Giovanni Brocca, Carlo Barbiano di Belgioioso, Giulio Carcano, Francesco Rossi ed Antonio Caimi, quest'ultimo in qualità di segretario.
La Consulta fu suddivisa in tre sezioni (archeologica, artistica e storica) ed incaricata di predisporre un Regolamento, nel quale venisse a precisare le sue attribuzioni, soprattutto in materia di acquisti, vigilanza e promozione di studi e pubblicazioni. Il regolamento fu redatto sotto la presidenza del senatore e Sindaco di Milano Antonio Beretta, approvato dal ministero dell'Istruzione Pubblica e promulgato l'8 ottobre 1863. Nell'articolo 1 si citano, quali compiti istitutivi del nuovo organismo, il "raccogliere, ordinare e disporre nel Museo tutti gli oggetti meritevoli di essere conservati per importanza storica od artistica, specialmente relativi all'archeologia patria, così di proprietà dello stato, come depositati o donati dal Municipio, o da privati, ovvero successivamente acquistati collo stanziamento assegnato nel bilancio dello stato". Negli articoli 2 e 3 si precisa che la Consulta è tenuta altresì a "provvedere alla vigilanza e alla conservazione della suppellettile scientifica del Museo, come a quella dei monumenti che si trovano nel territorio di Milano" ed a "pubblicare degli scritti illustrativi dei monumenti". Negli articoli successivi si identifica nell'archeologia lombarda il campo di interesse preminente della Consulta; si precisa inoltre che i depositi dovranno essere conservati permanentemente presso il Museo Patrio. L'istituzione di un museo milanese fornì lo spunto per una rinnovata serie di doni e depositi, sia privati che pubblici. Sull'esempio dell'Accademia di Brera, donatrice al museo della collezione antiquaria di Giuseppe Bossi, anche l'amministrazione della fabbrica del Duomo ed altre fabbriche donarono sculture ed iscrizioni; il ministero della Real Casa depositò nel 1864 il monumento funebre di Regina della Scala, moglie di Bernabò Visconti, già custodito nella cripta di S. Giovanni in Conca; il ministero dell'Istruzione Pubblica concesse in deposito una serie di materiali architettonici provenienti dal parco e dal palazzo reali di Monza; il Comune di Milano depositò la raccolta epigrafica Archinto ed altri materiali archeologici venuti alla luce in occasione di lavori pubblici o edilizi (3).
Il museo fu inaugurato ufficialmente al pubblico il 27 aprile 1867, in occasione della ricorrenza del settimo centenario della resistenza dei milanesi contro il Barbarossa.
La prima guida introduttiva all'esposizione fu edita nel 1881, coi tipi di Alessandro Lombardi ed il titolo di "Notizie sul Museo Patrio Archeologico in Milano" (4). Nelle parole con le quali si conclude la sua introduzione, affiora una certa preoccupazione per il destino, che all'epoca si prospettava già abbastanza problematico, del giovane istituto: "Non è una guida questa che si pubblica oggi, ma bensì un succinto manuale, che indica gli oggetti più rimarchevoli, le notizie sulle provenienze conosciute ed i nomi dei generosi che con le loro offerte contribuirono all'incremento di questo Museo. La compilazione di una Guida completa venne per ora sospesa, giacché nei primordi della fondazione di questo Museo si ebbe più di mira la disposizione artistica degli oggetti, anziché la scientifica; e finché dura lo stato di incertezza sulle future sorti di questa Collezione, non sarebbe opportuno procedere ad un nuovo ordinamento, il quale esige operazioni complicate e dispendiose".
Un primo, fondamentale intervento limitativo all'autonomia operativa della Consulta era stata la nomina, nel 1875, da parte del ministero dell'Istruzione Pubblica, di Pompeo Castelfranco quale Ispettore degli scavi e monumenti d'antichità per il Circondario di Milano, con attribuzioni evidentemente sovrapposte a quelle della Consulta. La valutazione della nomina del nuovo funzionario venne posta alla Consulta all'ordine del giorno bell'adunanza 7 agosto, in cui fu deciso di rivolgere al ministero un'interpellanza urgente in merito a ragioni ed implicazioni di tale scelta. Nel verbale della seduta troviamo espresso senza mezzi termini l'atteggiamento di offesa incredulità con cui la Consulta accolse la nomina di Castelfranco: "Questa notizia reca il più gran stupore alla Consulta, la quale non può persuadersi che il R. Governo sia stato tanto immemore della esistenza di questo Corpo, istituito con R, Decreto 13 novembre 1862, da porgli a fianco un Ispettore con attribuzioni analoghe alle sue, e senza neppure darne preventivo avviso né alla Presidenza della Consulta, né al Municipio, né al Consiglio Provinciale. Fatta pure astrazione delle qualità personali e delle capacità del Sig.r Castelfranco, le quali del resto sono interamente ignote alla Consulta, la recente sua nomina darebbe quasi argomento a supporre che fosse un atto di sfiducia verso la Consulta medesima, se non fosse ovio il crederla effetto di un malinteso, che però è necessario e urgente di schiarire e far rettificare".
L'indignazione per una scelta vissuta come attentato alla propria dignità, oltre che alla propria autonomia operativa, convinse i consultori a posticipare alla risposta ministeriale l'esame di un'altra questione che aveva collegamento con la persona di Castelfranco ed era all'ordine del giorno in quella seduta, ossia l'offerta, avanzata da Gabriele Martignoni al ministero, di cedere alcuni recinti funerari rinvenuti in un terreno di sua proprietà sul colle del Monsorino (presso Somma Lombardo) a titolo gratuito, ma con la condizione di affidarne la responsabilità dello studio e della conservazione al Castelfranco (5).
Questi affidò le difese della sua attività e della sua persona agli amici che contava nell'ambiente paletnologico e presso la Direzione Generale dei Musei e degli Scavi d'Antichità del ministero, con particolare riguardo a Luigi Pigorini e Giuseppe Fiorelli. In una lettera indirizzatagli da Roma il 20 settembre 1875 (6), Pigorini gli scrive: "Sono le 8 ant. e torno or ora dal Ministro. Parlai di te col maggiore amore e della guerra sleale e bassa che ti si fa. Il Ministro mi rispose che ti tiene nel conto che meriti, e ieri sera, l'ho saputo da Fiorelli, disse anche che la cagione della guerra procede da ciò: che tu fai, ti agiti, ti muovi, e quei signori per contrario non hanno fatto mai nulla e si trovano ora un po' turbati nei loro ozii. Ti si fa un'accusa di essere della più calda opposizione al governo. Permettimi di darti un consiglio. Pensala come vuoi, ma fa di essere prudente, per non lasciare nemmeno quest'appiglio. Da uno sfogo tuo di più o di meno il paese ci guadagna forse più che tanto, ma ci perderebbe assai se, per malizia umana e in questo caso milanese, ti si creassero ostacoli nella tua carriera scientifica. Ora il Ministro ha dato al Fiorelli tutte le carte riguardanti la costituzione della Giunta ed i rapporti tuoi con essa, perché le studi e proponga. Io, ricevuto da te il rapporto che ti chiesi ieri, rincalzerò il fuoco. Pare che il Ministro inclini a metterli nella stessa Consulta. In un modo o nell'altro vedi bene che per parte del Ministero devi contare sopra un valido appoggio". Il "rapporto" a cui si accenna consisteva in una serie di imputazioni mosse da Castelfranco alla Consulta, da lui stesso definite in parte "fatti accertati", in parte "dubbie" (7), che coinvolgevano l'organismo nel suo complesso e l'attività dei singoli consultori. All'intera Consulta Castelfranco attribuiva la responsabilità di acquisti discutibili, disordine del museo e dei magazzini, irrazionalità delle scelte espositive, omissione d'atti d'ufficio in merito a collezioni legate per testamento al M.P.A. e mai rivendicate, rifiuto di accettare legati comportanti l'impegno all'esposizione, ricusazione di doni di rilevante interesse scientifico, giudicati non degno del museo, discutibili intervento conservativi ed omissione di raccolta dell'indispensabile documentazione grafica sui monumenti da demolirsi. Nei confronti di alcuni consultori le accuse erano ancora più pesanti e dettagliate. A Bernardino Biondelli imputava la prassi usuale di comprare e vendere irregolarmente materiale archeologico, il mantenimento di una dimensione collezionistica personale incompatibile con il suo ufficio di Direttore del Gabinetto numismatico di Brera, la disorganizzazione e gli incauti acquisti del medesimo; a Giuseppe Bertini rivolgeva l'accusa di avere effettuato l'acquisto in proprio di materiali immediatamente rivenduto alla Consulta; a Giuseppe Mongeri attribuiva interventi retribuiti di intermediazione per la vendita all'estero di oggetti appartenenti al patrimonio storico ed artistico milanese. Non è dato sapere quanto di vero vi fosse nelle accuse di Castelfranco, sulle quali dovette innegabilmente incidere anche il suo carattere polemico e battagliero (8). Pigorini le utilizzò comunque per redigere una requisitoria contro la Consulta e convincere il ministro a predisporre un decreto che ne determinasse limiti e funzioni, con particolare riferimento alle analoghe competenze degli Ispettori governativi degli scavi, come apprendiamo da una lettera da lui indirizzata a Castelfranco l'11 ottobre 1875 (9). Circa il suo caso personale, precisa che non è ancora stato definito nulla, ma che Fiorelli ed il ministro sono convinti della sua buona fede e lo assicura che tutti gli amici lo difenderanno sulla stampa specializzata. Il 7 febbraio 1876 (10) gli scrive di nuovo per fargli sapere che la campagna d'opinione contro la Consulta procede, anche se il ministro non si è risolto a deciderne lo scioglimento. Si duole di apprendere che le pratiche inoltrate da Castelfranco per il reperimento di una sede al progettato museo paletnologico milanese non siano andate a buon fine a causa dell'opposizione della Consulta e lo assicura che appoggerà il suo progetto sulla stampa (11). Poiché al dispaccio inviato dal ministero alla Consulta per invitarla ad accelerare le pratiche di accettazione del dono Martignoni non è stata fornita ancora risposta, lo sollecita ad insistere, facendone segnalazione alla Direzione generale dei musei" (12).
La prassi suggerita si rivelò infruttuosa. Con lettera 5 agosto 1876 (13) torna a scrivere a Castelfranco in termini molto più sfiduciati: "vorrei poterti parlare a quattro occhi e dirti quello che non so affidare alla posta, tanto più quando devo essere nella triste condizione di non potere soddisfare i desideri tuoi [...] Lessi la lettera di Martignoni, e ho tratto un lungo sospiro. Non vi ha che una via da tentare. Fare che il Martignoni (e ha mille ragioni) si dolga del nessun riguardo usatogli e si dolga con qualche deputato influente di sinistra, affinché questo poi faccia passare la lettera direttamente in mano del Ministro, e si lagni pue esso e forte della cosa". In realtà ogni ulteriore iniziativa, infrangendosi contro l'atteggiamento di programmata dilazione assunto dalla Consulta, risultò vana. Soltanto nel 1881, a distanza di oltre sei anni dall'offerta di dono da parte di Martignoni, la Consulta si decise ad accettare di "iscriverlo nei suoi inventari escludendo qualsiasi spesa" e tralasciando anche qualsiasi accenno di ringraziamento (14).
L'atteggiamento di pessimismo per una soluzione del contrasto con la Consulta che fosse favorevole a Castelfranco e, più in generale, per una politica ministeriale dei beni culturali meno ambigua ed incoerente, si accentua nella corrispondenza successiva (15), nella quale Pigorini confida il senso di frustrazione diffuso tra i funzionari della Direzione Generale dei Musei, le richieste di trasferimento di molti di loro ad altro incarico e la sua intenzione di lasciare gli impegni burocratici per occuparsi esclusivamente del museo preistorico nazionale, motivo per cui non potrà prestare ulteriore aiuto alla sua causa presso il ministero.
Il 5 marzo 1876 il ministero dell'Istruzione Pubblica istituì in tutte le province, sotto la presidenza dei rispettivi Prefetti, Commissioni conservatrici dei monumenti d'arte e d'antichità (16). Il 22 febbraio dell'anno successivo fu istituita la Commissione conservatrice per la provincia di Milano, composta dal Prefetto presidente, da un segretario (Angelo Fossati, segretario di prefettura) e da otto commissari eletti dal Consiglio provinciale (Tullio Massarani, Michele Caffi), dal Consiglio comunale (Antonio Caimi, Giuseppe Mongeri) e dal Re (Girolamo Dadda Salvaterra, Graziano Ascoli, Angelo Colla e Felice De Maurizio). A fare parte del nuovo organismo di tutela fu chiamato anche Pompeo Castelfranco, in applicazione del dettato dell'articolo V del Decreto 5 marzo 1876 ("L'Ispettore del capoluogo della provincia fa parte della Commissione").
Per effetto di tali provvedimenti alla Consulta milanese rimasero affidate le sole attribuzioni inerenti alla gestione del M.P.A.
Dopo aver discusso l'ipotesi che tutti i suoi membri rassegnassero le dimissioni in segno di protesta (17), la Consulta decise di continuare la propria attività con funzioni limitate, ma interrompendo la pubblicazione del suo Bollettino (edito in appendice all'Archivio storico lombardo (18)) ed assumendo atteggiamenti di scarsa collaborazione con la nuova Commissione conservatrice provinciale (19). Dall'11 agosto 1882 furono sospese anche le adunanze periodiche e l'attività della Consulta, ridotta a soli quattro membri (in luogo dei novi previsti dal suo Regolamento) per la scomparsa di Carlo Belgiojoso, Giulio Carcano, Luigi Bisi e Bernardino Biondelli, si risolse nell'ordinaria amministrazione del museo ed in sporadici acquisti di materiali.
Il 22 novembre 1886 Carlo Ermese Visconti, nuovo Presidente delegato in rappresentanza del Sindaco, tornò a riunire i consultori superstiti e procedette alla sostituzione di quelli mancanti con la scelta, a votazione unanime, di Luca Beltrami, Emilio Visconti Venosta, Gustavo Frizzoni, Felice Calvi ed Emilio Seletti. In occasione della medesima seduta si rilevò anche l'insufficienza dello spazio a disposizione del museo e l'inutilità delle pratiche svolte in tale senso presso il ministero (20). Nell'adunanza dell'8 marzo 1887 la Commissione di consultori incaricata di studiare il problema si esprimeva in questi termini: "Qualsiasi progetto di ingrandimento del Museo, anche volendolo limitare, non può che esigere una spesa rilevante [...]. L'idea di un porticato in quella zona che lambe il museo fu già studiata fino [dal] 1872, ma anche allora vi si trovarono ostacoli massime per la luce. Aggregare l'attigua scuola di Architettura è un'operazione che non potrebbe di molto accrescere lo spazio di cui si ha bisogno. Nasce quindi la necessità di un edificio apposito [...]. La Commissione quindi è d'unanime avviso che prima di procedere in studi di ripieghi e di erigendi edificj abbiasi ad affrontare addirittura il quesito della destinazione definitiva del Museo e conoscere le idee concrete e positive che mai possa avere in proposito il Municipio".
Facendo proprie le istanze della Commissione, la Consulta decise di rivolgere all'amministrazione civica un'interpellanza, al fine di accertare la volontà di utilizzare gli spazi del Castello Sforzesco, temporaneamente occupati dal Genio Militare, per riunire le sue raccolte storico - artistiche , annettervi i materiali archeologici di sua proprietà depositati a Brera ed assegnare a questo nuovo museo una dotazione annua specifica (21).
In risposta, la Giunta Municipale nominò il 29 marzo 1887 una Commissione incaricata di studiare le modalità di sistemazione, nella nuova struttura, oltre che delle raccolte archeologiche, anche di quelle del Museo Artistico Municipale (22) e del Museo del Risorgimento (il trasferimento di altre collezioni, come quelle pertinenti al Museo di Scienze Naturali era già stato escluso, per motivi di fattibilità pratica, a conclusione di uno studio compiuto dall'amministrazione civica tra il 1885 e il 1887, durante la fase preliminare delle trattative con il governo per la cessione del Castello alla municipalità).
La Commissione si mise al lavoro, definendo le sue proposte in omogeneità con il piano generale di ristrutturazione edilizia del Castello, predisposto da Luca Beltrami. Nel marzo 1888 il piano fu sottoposto all'approvazione della Prefettura e della Commissione conservatrice di monumenti, nonostante che la cessione degli spazi all'amministrazione civica non fosse ancora avvenuta (e non avvenisse ancora per cinque anni), perché collegata al lungo iter del piano regolatore cittadino. Tale sollecitudine era motivata, da un lato, dall'esigenza di evitare perdite di tempo, con la predisposizione preliminare di progetti particolareggiati, che sarebbero divenuti immediatamente esecutivi nel momento in cui la cessione fosse stata ufficializzata; d'altro canto era diretta dalla volontà di sventare l'incombente minaccia di una lottizzazione del Castello, i cui spazi erano ambiti dalle più disparate associazioni pubbliche e private.
La consegna del Castello alla civica amministrazione avvenne tra il 25 ottobre e il 9 novembre 1893. Tuttavia, soprattutto in conseguenza dell'Esposizione Nazionale del 1894, ospitata parzialmente in Castello, i lavoro di sistemazione dei materiali museali poterono iniziare soltanto l'anno successivo (con la collocazione del Museo del Risorgimento al primo piano della Rocchetta), fra rilevanti difficoltà, originate dallo stato di abbandono della struttura, dalla carenza di stanziamenti per i restauri, dall'imprevidenza con la quale si erano esaudite richieste di concessione di spazi a scuole, enti di beneficenza ed istituzioni private, che nulla avevano a che fare con gli interessi culturali della collettività.
Nel 1895 un evento insperato, ossia il pagamento, da parte della Provincia di Milano al Comune, di un rimborso relativo alle spese militari sostenute in occasione della guerra del 1848-'49, permise si reperire finalmente un adeguato stanziamento (centocinquantamila lire) per la sistemazione delle raccolte museali in Castello.
Nell'agosto 1897 fu avviato il trasporto dei primi oggetti del M.P.A., che vennero collocati nelle sale della Corte Ducale, assieme ai materiali del Museo Artistico Municipale; a partire dal 28 marzo 1899 anche le adunanze della Consulta si tennero in Castello nella sala della Società Storica Lombarda.
Il 10 maggio 1900 fu inaugurato al pubblico il nuovo museo, nato dall'esposizione riunita delle collezioni archeologica di Brera ed artistica del Comune, ma con denominazione, direzione ed amministrazione ancora separate (23) .
Presto ci si rese conto delle difficoltà originate dalla coesistenza logistica di materiali con pertinenza giuridica diversa (in relazione, per esempio, alle responsabilità di custodia, schedatura, gestione dei finanziamenti) e della opportunità di procedere ad una loro fusione ufficiale. Nell'adunanza del 16 marzo 1903 la Consulta discusse ed approvò all'unanimità un progetto, elaborato dal suo Presidente Giorgio Sinigaglia, che prevedeva la cessione in deposito a tempo indeterminato al Comune di Milano di tutti gli oggetti di proprietà governativa conservati nel M.P.A., lo scioglimento della Consulta e l'affidamento della responsabilità scientifica dei musei del Castello a tre Commissioni civiche (per il Museo Archeologico, per la Galleria d'Arte e per il Museo del Risorgimento), con un Direttore generale ed un Segretario amministrativo in comune.
Ad accelerare un intervento in questa direzione contribuì il diffondersi di rinnovate polemiche sui criteri adottati fino a quel momento per la conservazione e l'incremento dei materiali museali, che si concretizzarono in inchieste e dibattiti in Consiglio comunale, finché, il 28 maggio 1903, fu firmato il R. Decreto del ministero dell'Istruzione Pubblica n. 299, che sanciva la cessione in deposito all'amministrazione civica dei materiali archeologici già di proprietà statale, lo scioglimento della Consulta del M.P.A. e l'affidamento dei compiti di conservazione ed incremento delle raccolte archeologiche al Comune di Milano, il quale vi avrebbe provveduto a mezzo di un proprio Consiglio direttivo, un membro del quale sarebbe stato nominato dal governo.

1. E. TEA, L'Accademia di Belle Arti di Brera - Milano, Firenze 1941, p. 64.
2. Per maggiori dettagli sulla collezione Bossi, cfr. G. MONGERI, "Della fondazione di un nuovo Museo Archeologico in Milano. Memoria", in: Annali Universali di Statistica, fasc. gennaio-marzo 1863, pp. 17-21 estr.
3. Per una descrizione più particolareggiata dei materiali che componevano il primitivo M.P.A., si rimanda al saggio di A. CAIMI, "Cenno storico sul Museo Patrio di Archeologia in Milano", Milano 1873, pp. 15 ss., ed alla prima guida descrittiva dell'esposizione, "Notizie sul Museo Patrio Archeologico in Milano", Milano 1881, pp. 10-45.
4. L'incarico per la redazione della guida venne dato ai consultori Bisi, Mongeri e Sebregondi nell'adunanza dell'8 gennaio 1881, nel quadro delle iniziative assunte dalla Consulta in occasione dell'Esposizione Nazionale di Milano.
5. Cfr. n. 524/1-2 del presente inventario.
6. R. LA GUARDIA, "L'archivio privato di Pompeo Castelfranco nelle Civiche Raccolte Archeologiche di Milano", Milano 1983, n. 24.01.
7. Ibid., nn. 23.01, 25.01.
8. Si vedano le polemiche scientifiche che lo opposero, fra gli altri, a de Mortillet, Garovaglio, Marinoni, Regazzoni ed allo stesso Biondelli per quanto concerneva la prima tomba di guerriero di Sesto Calende e l'attribuzione della qualifica di "gallico" o "celtico" alle tombe della prima età del Ferro in Lombardia (cfr. R. DE MARINIS. "Pompeo Castelfranco e la paletnologia lombarda", saggio introduttivo in: LA GUARDIA, op. cit., p. X).
9. LA GUARDIA, op. cit., n. 26.01.
10. Ibid., n. 34.01.
11. Castelfranco sperava di ottenere la direzione del futuro museo paletnologico o, in alternativa, il conservatorato del Museo Patrio di Archeologia, una volta reso formalmente indipendente dalla Consulta, non solo per motivi di prestigio, ma anche per necessità economiche, dal momento che l'incarico di Ispettore governativo degli scavi e monumenti veniva da lui svolto a titolo gratuito. Il progetto di un museo etnografico e paletnologico milanese fu più volte riproposto negli anni successivi. A partire dal 1893 sia la Consulta che l'amministrazione civica svolsero pratiche per la riunione dei numerosi materiali divisi tra il M.P.A., ed il Civico Museo di Storia Naturale, il quale consegnò a Brera gli oggetti di sua pertinenza tra il maggio e il giugno 1898 (un parziale ordinamento fu loro dato da Alfonso Garovaglio, dopo la sua nomina a consultore). Successivamente al trasferimento delle collezioni del M.P.A. di Brera al Castello Sforzesco ed a seguito dell'ennesima offerta di Castelfranco di donare la propria collezione, il progetto venne di nuovo discusso dalla Consulta (adunanza 23 maggio 1900), che ritenne opportuno soprassedere alla creazione di un'esposizione paletnologica autonoma, limitandosi ad affermare che "in Museo avanza spazio anche per ricevere doni nuovi fosse pure la collezione Castelfranco [...] che quando col tempo la serie in discorso aumentasse al punto di mancar di spazio, la Consulta non avrà difficoltà a trasportarla tutta in altra sala estendendo nello spazio che rimarrà libero, la collezione classica".
12. Ancora all'adunanza del 4 aprile 1876 la Consulta, portata a conoscenza della circolare ministeriale 25 agosto 1875 n. 451, relativa alle competenze degli Ispettori governativi degli scavi e monumenti, giudicava che non rispondesse adeguatamente alle interpellanze rivolte al ministero e, di conseguenza, vertendo il successivo punto all'ordine del giorno sul dono Martignoni, incaricava il Presidente di comunicare il rifiuto della Consulta a "prendere parte ad una stipulazione, la quale in alcuni dè suoi termini si risolve in un'offesa alla propria dignità".
13. LA GUARDIA, op. cit., n. 61.01.
14. Adunanza 15 novembre 1881.
15. In particolare LA GUARDIA, op. cit., nn. 63.01, 73.01.
16. Il testo del decreto è in ASL, VII, 1880, appendice.
17. Adunanza 16 maggio 1877.
18. La decisione fu presa nell'adunanza 21 dicembre 1877. Negli anni precedenti l'edizione del Bollettino non era stata esente da problemi per la Consulta. Nell'adunanza del 2 febbraio 1875 fu inserita all'ordine del giorno una vertenza sorta con il libraio-editore Gaetano Brigola a causa delle condizioni commerciali da lui poste, giudicate troppo onerose, ma ogni deliberazione in merito fu rimandata per l'assenza di alcuni consultori. Nella successiva adunanza (11 marzo 1875) vi fu una nuova discussione, conclusasi nell'approvazione del seguente schema di contratto con l'editore: "1°. Compenso all'editore-librajo £ 60 (sessanta) per foglio di stampa da computarsi in fine d'anno./2°. Riservato alla Consulta l'aggiungere disegni, incisioni e fotografie. Nel caso di incisioni inserte nel testo, lo spazio da queste occupato non è computabile nella misurazione dei fogli./3°. Obbligazione nell'editore di dare alla Consulta N 50 (cinquanta) copie separate con copertina semplice di ciascuna copertina trimestrale/4°. La Consulta si tiene obbligata a fornire la materia per ciascun bollettino trimestrale, senza preciso vincolo di misure se non che sia non minore di mezzo foglio stampa [cancellato:] e non più di due fogli./5°. la presente convenzione di intende duratura per un anno, cioè a tutto il 1875 e non venendo denunziata così duratura d'anno in anno". A partire dal 1880, nell'Archivio Storico Lombardo, al Bollettino della Consulta si sostituirono (con il 1888, alla ripresa della seconda serie, si affiancarono) gli Atti della Commissione conservatrice dei monumenti per la provincia di Milano (la prima puntata, relativa all'attività svolta dal 31 ottobre 1877 al 23 luglio 1880, compare nel vol. VII, 1880; la seconda puntata, inerente all'attività compresa tra agosto 1880 e luglio 1881, compare nel vol. VIII, 1881) e, più tardi le Relazioni annuali dell'Ufficio regionale per la conservazione dei monumenti in Lombardia (ASL, XX, 1893, pp. 807-841; XXI, 1894, pp. 207-264; XXII, 1895, pp. 186-264; XXIII, 1896, pp. 373-468; XXV, 1898, pp. 121-206; XXVI, 1899, pp. 168-278). Gli uffici regionali per la conservazione dei monumenti furono istituiti con R. Decreto 19 agosto 1891, in sostituzione di Commissariati per le Belle Arti (entrati in funzione solo parzialmente in Toscana). L'ufficio competente per la Lombardia venne costituito il 30 giugno 1892 sotto la direzione di Luca Beltrami, con Gaetano Moretti vice-direttore ed Augusto Brusconi, Luigi Riva, Luigi Perrone e Ranieri Arcaini architetti collaboratori. Nell'ottobre 1895 Moretti sostituì Beltrami dimissionario, sulla cui scelta di rinuncia all'incarico ebbe un notevole peso la constatazione della cronica mancanza di programmazione e unità di indirizzo che caratterizzavano la politica dei beni culturali, affidati ad una molteplicità di strutture diverse, con competenze sovrapposte e non sufficientemente definite. Nella Relazione annuale per il biennio 1893-1894 (ASL, XXII, 1895, p. 187) Beltrami così sintetizza i termini di quella ambiguità di funzione all'origine di equivoci e rivalità verificatesi tra la Consulta, l'Ispettore degli scavi e monumenti d'antichità e la Commissione conservatrice provinciale: "Dal punto di vista della logica unità di organismo, sarebbe a considerarsi come un miglioramento effettivo il partito, adottato in questi ultimi mesi, di ricomporre sotto ima Direzione generale le due divisioni - l'una per i musei, le gallerie e gli scavi, l'altra per i munumenti e scuole d'arte - nelle quali era stato, due anni or sono, smembrato il servizio delle antichità e belle arti [...]. Ma tale miglioramento [...] sarà illusorio, finché rappresenterà unicamente il frutto di modificazioni inspirate a criteri di semplici e passeggiere opportunità personali, affatto estranee alle esigenze di una efficace e rigida tutela del patrimonio artistico. Si potrà dire di avere una Direzione generale delle Antichità e Belle Arti, solo quando tutti gli elementi che concorrono a questa tutela, saranno logicamente coordinati, ed ognuno di essi sarà tenuto ad esaurire il compito che gli è assegnato: ma finché le mansioni degli Ispettori degli scavi e monumenti non saranno state precisate, finché l'attività delle Commissioni conservatrici rimarrà interamente subordinata al maggiore, o minore interessamento che un Prefetto può nutrire per le memorie storiche ed artistiche, e correrà quindi il pericolo di rimanere anche completamente paralizzata, non è sperare che l'azione degli Uffici regionale possa svolgersi con tutta la voluta energia ed efficacia". La pubblicazione dei resoconti dell'attività della Consulta riprese con una seconda serie nel 1888 (ASL, XXVI, 1889, fasc. I) e continuò fino al 1898 (ASL, XXV, 1898, fasc. XX), sotto forma di relazioni sulle antichità acquisite dal M.P.A. a firma del segretario della Consulta e con paginazione indistinta rispetto all'ASL.
19. Si veda a titolo di esempio, quanto fu risposto nell'adunanza 4 giugno 1878, alla richiesta di fare eseguire, a cura della Consulta i calchi delle iscrizioni romane presenti sugli archi di Porta Nuova (nel verbale dell'adunanza si afferma "l'inutilità del provvedimento riguardo alle tre principali", già oggetto di pubblicazione, mentre si accetta la richiesta per le altre, ma rimandandone l'esecuzione "a tempo indeterminato". Analogamente, una volta informata (con nota prefettizia del 28 maggio 1878) che la Commissione conservatrice aveva incaricato Castelfranco di provvedere alla redazione (dopo quindici anni!) di un inventario scientifico delle collezioni del M.P.A., confidando sull'assistenza e l'aiuto della Consulta, questa decise di procedere autonomamente alla stesura di un catalogo complessivo, dal quale Castelfranco avrebbe potuto "attingere le indicazioni occorrenti per adempieri l'incarico ricevuto", ma che, parimenti, sarebbe valso a "non lasciar sfruttare da estranei quegli elementi fondamentali del lavoro, con tanto sapere accumulati dal compianto Caimi".
20. Con dispaccio 11 giugno 1879 (numero 2657 del presente inventario), il ministero dell'Istruzione Pubblica aveva sottoposto alla Consulta, per l'emissione di un parere, un progetto di unificazione delle collezioni del M.P.A. con quelle del Museo Artistico Municipale. La Consulta aveva approvato in linea di massima il progetto, ma aveva suggerito alcune modifiche (tra cui la concessione dell'ingresso gratuito e della facoltà di studiare i materiali per gli allievi dell'Accademia di Brera) ed incaricato i consultori Belgioioso, Mongeri e Bertini di stendere una relazione da trasmettere al ministero. Con dispaccio 16 agosto 1879 (n. 2663 del presente inventario) questo annunciò la nomina di una Commissione incaricata di avanzare proposte operative per l'attuazione del progetto, presieduta dal Sindaco di Milano (G. Belinzaghi) e composta dal Presidente dell'Accademia di Brera (C. Barbiano di Belgioioso) dal Direttore del Gabinetto numismatico (B. Biondelli) e da due rappresentanti del musei interessati (che sarebbero stati nominati nelle persone di Giuseppe Bertini per il M.P.A. e Camillo Boito per il Museo Artistico Municipale). L'11 marzo 1880 la Commissione votò l'aggregazione dei due musei, proponendo nel contempo al ministero di rimandare la decisione in merito al Gabinetto numismatico di Brera, di cui era pure prevista l'aggregazione al Museo Artistico Municipale) fino a che non venisse ultimato il trasporto delle collezioni del M.P.A. Il 15 marzo 1880 la Giunta Municipale si espresse a favore di una collocazione dei due musei ai giardini pubblici, ma la proposta venne rifiutata dalla Consulta. Anche il ministero manifestò dubbi sulla scelta della sede e preferì rimandare ogni decisione definitiva al termine dell'Esposizione Nazionale del 1881, che sarebbe stata ospitata negli stessi giardini pubblici. Il 19 ottobre 1881 la Consulta annunciò al ministero il progetto Maraini di un nuovo quartiere edilizio da costruirsi attorno al Castello Sforzesco, il quale, una volta divenuto di proprietà civica, avrebbe rappresentato la sede ottimale per i due musei. Il 5 novembre 1881 il ministero rispose prendendo atto di questa nuova possibilità e chiedendo di conoscere il parere in merito dell'autorità municipale, ma le trattative, a questo punto, si interruppero in attesa della risoluzione del problema più generale, rappresentato dalla data in cui l'amministrazione civica sarebbe stata messa in grado di assumere la piena disponibilità del Castello e dei suoi spazi.
21. L'accollamento all'amministrazione civica degli oneri finanziari relativi alla gestione del futuro museo del Castello era una condizione essenziale per la Consulta, la quale non avrebbe mai potuto provvedervi con l'esiguo stanziamento assegnatole dal ministero (nel 1862 ammontava a £ 10.000; nel 1864 fu ridotto a 8.000, nel 1870 a 7.600, nel 1876 a 3.900, nel 1889 a 2.925): si veda, in particolare, quanto espresso sull'argomento nel verbale dell'adunanza 4 marzo 1890.
22. Questo aveva avuto origine, tra il 1863 e il 1876, da lasciti di collezioni private (Bolognini-Attendolo, Sormani, Taverna, Guasconi, Castiglioni, Marchesi, De Cristoforis, Ponti, ecc.), che furono inizialmente collocate nelle stanze superiori del palazzo detto "il Salone" ai giardini pubblici, inventariate dal marchese Carlo Ermes Visconti ed aperte al pubblico nel 1878.
23. La decisione fu presa nell'adunanza della Consulta del M.P.A. del 5 aprile 1900, a cui partecipò, in rappresentanza del Museo Artistico Municipale, Giovanni Battista Vittadini.

Bibliografia
- Appunti e notizie 1900 = Appunti e notizie, in: ASL, s. III, vol. XXVII, 1900, pp. 466 - 467
- Arslan 1979 = E.A. Arslan, Introduzione, in Le Civiche Raccolte Archeologiche di Milano, Milano, 1979, pp. 11 - 12
- Beltrami 1912 = L. Beltrami, La sistemazione dei Musei nel Castello Sforzesco nel ventennio 1892 - 1911, Milano, 1912
- Bollettino della Consulta Archeologica 1874-1898 = Bollettino della Consulta Archeologica del Museo Storico Artistico di Milano
- Caimi 1873 = A. Caimi, Cenno storico sul Museo Patrio di Archeologia di Milano, Milano, 1873
- Carotti 1898 = G. Carotti, Relazione sulle antichità entrate nel Museo Patrio di Archeologia in Milano nel 1897 e nel 1898, in: ASL, vol. XXV, 1898, pp. 357 - 359
- Casalini 1937 = M. Casalini, Le istituzioni culturali di Milano, Milano, 1937, pp. 18 - 23
- Ceresa Mori 1986 = A. Ceresa Mori, Rinvenimenti archeologici a Milano nei disegni inediti della Consulta del Museo Archeologico, in Scritti in ricordo di Graziella Massari Gaballo e di Umberto Tocchetti Pollini, Milano, 1986, pp. 265 - 276
- La Guardia 1983 = R. La Guardia, L'archivio privato di Pompeo Castelfranco nelle Civiche Raccolte Archeologiche di Milano, Milano, 1983
- La Guardia 1989 = R. La Guardia, L'archivio della Consulta del Museo Patrio di Archeologia di Milano (1862 - 1903), Milano, 1989
- Mongeri 1863 = G. Mongeri, Della fondazione di un nuovo Museo Archeologico in Milano. Memoria in: Annali Universali di Statistica, gennaio - febbraio - marzo 1863, pp. 1 - 38 estr.
- Mongeri 1872 = G. Mongeri, L'arte in Milano, Milano, 1872, p. 356
- Mongeri 1880 = G. Mongeri, Museo patrio d'archeologia, in: Gli Istituti scientifici, letterari ed artistici di Milano. Memoria pubblicata per cura della Società Storica Lombarda in occasione del secondo Congresso storico italiano, Milano, 1880, pp. 685 - 695
- Moretti 1899 = G. Moretti, Relazione annuale dell'Ufficio Regionale per la conservazione dei Monumenti in Lombardia. Sesto e settimo anno finanziario: 1897 - 98 e 1898 - 99, in: ASL, vol. XXVI, 1899, pp. 184 - 192 e 197 - 198
- Moretti 1903 = G. Moretti, Il Castello di Milano e i suoi musei, Milano, 1903, pp. 35 - 40
- Notizie sul Museo patrio archeologico in Milano 18 = Notizie sul Museo Patrio Archeologico in Milano, Milano, 1881
- Regolamento per la Consulta del Museo Patrio d'Arc = Regolamento per la Consulta del Museo Patrio d'Archeologia in Milano, s.n.t. (Milano, Pirola, 1862)
- Ricci 1899 = S. Ricci, Degli studi archeologici in Milano. Riassunto della lezione di Archeologia tenuta nella Reale Accademia Scientifico - Letteraria di Milano, in: ASL, vol. XXVI, 1899, pp. 87 - 112
- Tea 1941 = E. Tea, L'Accademia di belle Arti di Brera - Milano, Firenze, 1941, pp. 64 ss.
- Tizzoni 1984 = M. Tizzoni, Il Civico Museo Archeologico di Milano, in: Dalla Stanza delle Antichità al Museo Civico. Storia della formazione del Museo Civico Archeologico di Bologna (a cura di C. Morigi Govi e G. Sassatelli), Bologna, 1984, p. 547 - 553

Compilatori
La Guardia Rina, Archivista