La valle del Gerenzone

Da Archeologia industriale nel territorio lecchese di Barbara Cattaneo

L’ubicazione delle più antiche officine metallurgiche e meccaniche lecchesi fu la Valle del torrente Geren zone, stretto e breve avvallamento che, dallo sbocco della Valsassina, attraversa i rioni di Laorca, Malavedo, Rancio, San Giovanni, Castello e continua nel centro di Lecco fino al lago.
Lo sfruttamento del corso d’acqua come forza motrice per le attività produttive e la vicinanza della Valsassina, che forniva minerale e legname, furono determinanti per l’industria metallurgica che, dal Medioevo fino alla seconda metà dell’800, continuò a privilegiare la “Vallata” come sede ideale degli opifici di dimensione medio-piccola.
Per i nuovi grandi insediamenti produttivi creati agli inizi del ’900, si preferiranno invece le zone del centro città, a ridosso della ferrovia, più tardi le zone periferiche pianeggianti e infine la Brianza.

Le prime opere di canalizzazione del Gerenzone furono certamente antecedenti il XVI sec., se negli antichi Statuti Civili di Lecco del 1534, nella “Rubrica generale delle acque, strade, alberi e simili”, si emanava una serie di normative riguardanti le acque della “Flume sella” usate per lo più da mulini a grano.
Durante i secoli successivi questa prima derivazione venne arricchita da nuove chiuse e paratie e i mulini vennero sostituiti da piccole officine artigianali per la lavorazione del ferro. Per tutto l’800 il capillare lavoro di sfruttamento delle acque aumentò proporzionalmente all’incremento delle industrie della valle che, sfruttando i più piccoli salti d’acqua, muovevano ruote anche superiori a 10 m di diametro. La densità dei piccoli opifici era tale che la Guida del Touring Club Italiano del 1902 ne suggeriva la visita, descrivendo però la zona come una sorta di “bolgia infernale”

Alle contese tra imprenditori per il possesso delle acque si aggiungevano quelle con gli abitanti dei rioni, cui veniva inquinata o tolta l’acqua necessaria ai fabbisogni privati. Per ovviare a ciò nel 1882 i proprietari degli opifici diedero vita al Consorzio del Gerenzone, il cui scopo era, secondo lo Statuto del 1903, «provvedere alla conservazione, difesa ed incremento delle acque, delle fiumicelle e loro dipendenze». Una delegazione controllava che gli utenti del Consorzio (più di 100) usufruissero equamente delle acque del torrente e non deviassero illecitamente il corso delle fiumicelle; a un custode era affidata l’ispezione delle bocche di estrazione e degli scarichi, mentre i soci dovevano provvedere alla pulitura delle griglie delle rogge di loro proprietà. Quest’opera di sfruttamento delle acque fu attiva fino agli anni ’60 del ’900, con una graduale sostituzione delle ruote idrauliche con turbine.

Negli anni ’80 del ’900, il declino irreversibile del settore metallurgico e metalmeccanico europeo portò all’abbandono graduale anche della Valle del Gerenzone.
Oggi sopravvivono solo pochissime piccole officine, per lo più dismesse e non accessibili, nei quartieri tra Laorca e Rancio, oltre ad alcune piccole chiuse, paratie, canali e una diga: ultime testimonianze della millenaria storia della “Vallata” del ferro.
Scendendo da Laorca lungo il corso del Gerenzone, s’incontra l’ex Catenificio Rigamonti. Già attiva come fibbieria e chioderia nella seconda metà del ’700, l’officina fu adibita a zincheria e trafileria all’inizio del ’900, quindi ampliata e ristrutturata nel ’36 come catenificio. Il sito, attualmente dismesso, è costituito da 2 vasti capannoni a shed, caratterizzati da finestre con cornici e marcapiani in cemento.

Poco oltre s’incontra una delle rare officine ancora attive nella zona: la Forgiatura Melesi. Nata come officina per la produzione di oggetti in ferro prima del 1760, fu poi trasformata in “fucina grossa consortile”, di cui erano comproprietarie 3 importanti ditte della zona (Bonaiti, Airoldi e Barone) che vi lavoravano a rotazione per alcuni mesi, equamente distribuiti nel corso dell’anno. Acquisite, tra il 1924 e il ’59, tutte le quote, la Ditta Melesi procedette nel ’73 alla demolizione degli edifici preesistenti e alla costruzione dell’attuale capannone, adibito a forgiatura. Sono stati conservati alcuni pezzi di notevole interesse dell’antica produzione (in particolare batacchi per campane) e vecchi attrezzi per forgiare il ferro.

Proseguendo sull’alzaia, s’incontra l’ex Trafileria Baruffaldi, uno dei siti più interessanti e meglio conservati dal punto di vista formale e ambientale, per la vicinanza del torrente e la presenza di ponticelli, chiuse e paratie per la derivazione delle acque. Il primo nucleo dell’opificio è antecedente il 1760, mentre la struttura attuale è il risultato di numerosi rimaneggiamenti successivi. Il magazzino e la trafileria, dismessi intorno al 1965, conservano le forme semplici e funzionali delle vecchie officine, con muri in pietra a vista e tetti a capanna. All’interno sono ancora inseriti i vecchi macchinari per trafilare il ferro e le tinozze in legno nelle quali venivano immerse le matasse di vergella in un bagno d’acqua e sapone.

Più a valle, in un agglomerato di vecchie case e officine, è ubicata la Trafileria Sacchi & C., la cui struttura, nella seconda metà dell’800, era composta da un filatoio da seta e da una trafileria, che continuò la produzione fino al 1920, quando fu convertita in fonderia.
Attualmente in stato d’abbandono, conserva però nel corpo principale l’originaria struttura dei filatoi da seta e 2 grandi ruote idrauliche in ferro e legno che, per quanto degradate, costituiscono gli unici esemplari rimasti in tutta la città.

Scendendo verso il ponte di Malavedo s’incontra la Metallurgica Celeste Piazza, costituita dall’aggregazione di piccole strutture produttive settecentesche unificate dalla famiglia Bolis nella prima metà del XIX secolo in un vasto complesso con trafilerie e magli per la produzione di attrezzi agricoli. L’opificio venne venduto intorno al 1920 agli attuali proprietari, che lo modificarono radicalmente
nel ’30 e nel ’60; solo il reparto di forgiatura, abbandonato, conserva la struttura degli anni ’30, con l’antico forno e un maglio a caduta del 1940 c., oltre a molti tipi di tenaglie e attrezzi usati per forgiare i vari pezzi.

La strada sfocia nella piazza del rione di Malavedo, dove erano situate alcune delle più importanti aziende della zona: l’ex Laminatoio e le Trafilerie di Malavedo. Il primo, demolito alla fine del 2001, apparteneva fino all’inizio del ‘900 alle famiglie di imprenditori di maggior rilievo della città: Redaelli, Falck e Bolis, che lo gestivano in comproprietà dal 1870, fornendo la materia prima a tutte le piccole imprese metallurgiche di Lecco, fino alla costruzione del Caleotto, quando il laminatoio fu venduto, e i Redaelli e i Falck lasciarono la zona per costruire le loro grandi imprese alla periferia di Milano.

Diga consorziale e bipartitore del Paradone

Le Trafilerie di Malavedo, anch’esse un tempo di proprietà Falck, rivestono un notevole interesse per l’unitarietà dell’insieme ancora oggi totalmente destinato alla lavorazione del ferro.
Il percorso lungo il Gerenzone si conclude a Rancio con la Diga consorziale e bipartitore del Paradone, uno dei punti più interessanti e meglio conservati della zona dove il corso del torrente si divideva in 2 canali artificiali detti “fiumicelle” che, attraverso i quartieri industriali di San Giovanni, Rancio e Castello, entravano in Lecco per sfociare nel lago. Le prime derivazioni d’acqua dalla diga, si possono far risalire al 1300 e vennero costantemente sfruttate con ampliamenti e sistemazioni fino a quella definitiva di fine ’800, realizzata dal “Consorzio del Gerenzone”.

 

 

Ultimo aggiornamento: 3 Settembre 2020 [cm]