Archivio del Comune di Bormio, Quaterni inquisitionum sorte estiva 1631 30 luglio 15 settembre 11 ottobre 23 dicembre 1631

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Persone
Giacomina Pradella di Semogo
Procedimento giudiziario
Inchiesta su Giacomina Pradella di Semogo, per stregoneria (6 - 16 maggio 1630; 2 dicembre 1630 - 16 gennaio 1631; 30 luglio - 23 dicembre 1631; 14 febbraio 1635; 14 febbraio 1635;)

La vicenda, che concluse in maniera diversa dal prevedibile la vita di Giacomina Pradella, è preceduta da un incartamento, stilato nello stesso anno della cattura, dove viene accusata di essere strega. Denunciata come correa e catturata, la donna, dopo alcuni interrogatori e confronti con altre streghe e stregoni, e dopo molte ore di supplizio sul cavalletto, fu ritrovata in carcere morta con un'ampia ferita sulla fronte, quindi probabilmente suicida. Si stabilì comunque che la causa del decesso fosse da attribuire a "qualche vento che l'habbi negato il core per il patimento del cavalletto", penetrato attraverso "le parti vergognose".

Taddeo Rocca, marito di Giacomina, poco dopo la morte della moglie, ingiuriò pesantemente il consigliere di Valdisotto, accusandolo di essere stato la causa delle sventure della consorte.

1631. Die mercurii 30 mensis julii.

Coram illustrissimo domino pretore et dominis regentibus, se conquerendo comparuit magister Bernardus de Romeri de Cepina, che Tadeo della Rocca d'Oga in hunc sequitur modum, videlicet che: Heri, ritrovandomi nel cortile di Comunità, vicino al uscio della caneva del vino, fui invitato dentro dal hoste ser Antonio Marno a bevere una taza di vino. Entrato dissi col detto ser Antonio: Fate benanche (1) bene, che mi sento stracco e dolermi le gambe. E guardandomi adrieto a una bancha, stavano assetati (2) cioè ser Joan Jacomo Boratto (3) di Plaza et Thadeo d'Oga, il qual Tadeo, cossì sotto voce, disse (havendo mi detto che mi dolevano le gambe): Non ti ha migha fatto male alle gambe a venir da Cepina a fare abbrugiar le streghe! Mi che so il procedere di Tadeo, ch'essimuli (a) le parole, e dimandandomi ser Antonio che cosa io fosse venuto in su a fare, li risposi che havesse che far per alcuni minori con la figliola del Zoppo di Plaza, dicendomi che me rincresseva il perder la giornata in questo modo. Detto Tadeo alza la voce et repplica che non mi era rincressuto il tempo a venir su da Cepina a far abruggiar le streghe, aggiongendo questa parola et dicendomi del ladrone, et che essendo fuor del Offitio, non me ne haveria più comportat tante. (4) Mi li dissi: O Tadeo, dici da davero (5) o di burla? Esso mi risponde che diceva di vero. Mi promisi cettar (6) lite con lui. Et essendo in loco di Comunità, dimandai il detto ser Antonio Marno et il nominato Boratto ad esser testimonii dilla iniuria datami, quali dimando esser essaminati et far sì che l'honor d'homini da bene sia conservato.

Qui ser Bernardus dedit securitatem manutenendo pacem et treguam ac solvendi, si erraverit contra dictum Tadeum, et de querela manutenenda.

Pro quo fideiussor se constituit magister Jacobus Sglosser (7) de Canclino obligando etc.

Die vero sabbati 11 mensis octobris.

Coram dominis regentibus suprascriptus Thadeus dedit securitatem manutenendi pacem et treguam, ac solvendi si erraverit in causa predicte querele date per magistrum Bernardum de Cipina, dicens: L'é la verità ch'essendo nella caneva a bevere, sopragiongendo il detto Bernardo, la passione (8) della morte di mia moglier mi fece prorompere in parole contra dil detto Bernardo, ch'è stato consigliero nella causa dilla detta mia mogliere. Et se li ho detto quelle parole, dil ladrone, come esso si lamenta, haverò bevuto un po' et l'ho mal detto.

Quo dedit securitatem manutenendi pacem et treguam et solvendi, si erraverit in causa suprascripta ut supra.

Et pro eo fideiussor fuit ser Antonius Lutianus, obligando [omnia sua bona] etc.

1631. Die lune 15 mensis septembris.

Coram dominis pretore et regentibus, citatus comparuit ser Joannes Jacobus Borattus de Plaza, qui interrogatus super contentis in querela antescripta, data per magistrum Bernardinum Romerii contra Thadeum d'Oga, respondit: Ritrovandomi nella caneva dil Cortivo (9) con l'osto ser Antonio Marno et Thadeo d'Oga, sopravenne il sudetto mastro Bernardo, essendo invitato dentro dal oste per darli da bevere, dicendo: Mastro Bernardo, havete fatto ben a darmi da bevere, che mi sento le gambe stracche. Thadeo disse: Non ti dolevan le gambe, quando che venevi in su a bruggiar le streghe! Soggiongendo Tadeo: Tu eri troppo giovane da metterti consigliero. Rispose Bernardo: Aspettate sin al ano che viene, che i ve metterano voi, che sete più vechio. Dicendo: O Thadeo, voglio che me reffate di danni, che me havete stroppiato (10) la mia moglier. Se non sapevi l'arte, dovevi lassar di usarla! Rispose Tadeo: T'hei stropià i corni! (11) Che te sbudelin! Dicendo: Tra ti e il Sglosser, principalmente sete stati causa di far abbrugiar mia mogliere, la qual non ha confessato cosa alcuna. Ma plan che vegnarà qualcuno, (12) che haveremo ricorso. Soggiongendo con questa parola: Ladrone! Mastro Bernardo non rispose altro, che ne dimandò noi doi, cioè ser Antonio et mi per testimonio. Si ripartirno poi l'uno e l'altro, et io ancora andai verso casa mia. Nul altro.

Juravit etc.

1631. Die martis 23 mensis decembris.

Est facta condemnatio dicto Tadeo in libbris 10, solidis -, ultra suprascriptum processum.

(a) Nell'originale chessimuli. Non risulta chiara la divisione delle parole, né il senso preciso.

(1) Borm. ant. a fat benànca bén "fare perfino bene" a invitarmi.

(2) Borm. sentà "seduti" (Longa 223-4), lat. *sĕdentāre "far sedere, porre a sedere" (REW 7780).

(3) Da questo soprannome deriva probabilmente il toponimo Buràt sopra Piazza, anno 1316: iacentem ubi dicitur ad Plazam, cui coheret a mane Gervasij Borrati (Bracchi, BSSV 41,57). Da un antico appellativo comune d'agente boràt, "conduttore di tronchi" dai monti alla valle. Samolaco buràtt "boscaiolo addetto al taglio delle conifere, dalle quali si ricavavano grossi tronchi (bôrr, sing. bóra)". Cf. SB129, nota 98.

(4) Se non avesse fatto parte dell'Ufficio, non avrebbe sopportato tante ancherie da parte sua.

(5) Borm. ant. a disgesc devéira? "dici davvero, sul serio?", véira "vero", l'é mìga véira "non è vero" (Longa 269). La terminazione in -a è caratteristica degli avverbi.

(6) "Accettare, portare la lite davanti ai giudici". Voce semidotta.

(7) Soprannome professionale, dal ted. Schlosser "stagnino, magnano". A Bormio propriamente "artigiano fabbricante di serrature".

(8) Borm. pasción "sofferenza, rincrescimento, affanno, passione, amore", al g'à una gran pasción per al sé mesc'téir "ha un grande amore per il proprio mestiere" (Longa 190).

(9) Dial. ant. la cànipa del Cortìf. Scrive il Longa: «Sotto il dominio grigione il Comune di Bormio aveva municipalizzato la vendita del vino. Era proibito vendere vinum ad minutum: lo spaccio era riservato al Comune che pagava appositi officiali per tale bisogna: il canipario che provvedeva all'acquisto del vino; il zalaboterio che vigilava e spiava perché non si commettessero frodi dai privati; il tabernario che era incaricato della vendita nelle cantine comunali (in canipis Comunis)» (Longa 101). Lat. canăba "cantina" (REW 1566).

(10) Borm. sc'tropiàr, furv. sc'trupièr, liv. sc'tropiér "storpiare" (Longa 250), forse dal lat. *extŭrpiāre "deformare", deaggett. di tŭrpis (REW e REWS 9006; REWS 8333a; DEI 5,3643-4; DVT 1211-2).

(11) Nel senso negativo di "un bel nulla". Borm. l'é véira um bèl còrn! "Non è affatto vero!" (Longa 113).

(12) Non appena verrà qualcuno a prendere il vostro posto.