comune del regno Lombardo-Veneto 1815 - 1859

La sovrana patente 7 aprile 1815, vero e proprio atto costitutivo del regno lombardo-veneto, stabiliva che l’organizzazione amministrativa dei comuni dovesse rimanere per il momento conservata nelle allora forme vigenti, mantenendo la suddivisione in tre classi dell’ordinamento napoleonico (§ 11). I nomi e i confini di distretti e province “come pure l’indicazione dei comuni rispettivamente attenenti alle une o agli altri” sarebbero stati pubblicati successivamente (§ 7). L’amministrazione delle province sarebbe stata affidata a una “regia delegazione” dipendente dal governo (§ 9). Altri accenni all’organizzazione territoriale riguardavano le città regie, nelle quali era fissata la residenza di una regia delegazione, e i comuni di prima classe: questi enti locali sarebbero direttamente dipesi “dalle regie delegazioni e non dai cancellieri del censo” (§11) (patente 7 aprile 1815).

Per una nuova regolamentazione degli enti locali bisognò attendere la notificazione 12 febbraio 1816 perfezionata e resa pienamente operativa dalle “istruzioni per l’attivazione del nuovo metodo d’amministrazione comunale colle attribuzioni delle rispettive autorità” contenute nella successiva notificazione 12 aprile 1816, in cui veniva fornito un quadro articolato dell’organizzazione e del funzionamento degli organi preposti all’amministrazione dei comuni. L’insieme di queste disposizioni, che costituivano una normativa generale da applicarsi indistintamente a tutti i comuni del regno lombardo-veneto, manteneva comunque una distinzione fra i comuni, pur superando l’impianto classificatorio del periodo precedente. Una prima distinzione si aveva riguardo all’organo deliberativo di rappresentanza: nelle città regie, nei capoluoghi di provincia e nei comuni maggiori, elencati in numero di quarantaquattro per tutto il regno nella tabella annessa alla notificazione 12 aprile 1816, “ove per la quantità degli estimati il convocato generale fosse per riuscire troppo numeroso e incomodo alle regolari deliberazioni” le funzioni deliberative erano svolte dal consiglio, mentre in tutti gli altri comuni, non inclusi nella tabella, era previsto il convocato degli estimati. Un’ulteriore distinzione si aveva riguardo all’organo collegiale incaricato dell’amministrazione del patrimonio, che, nelle città regie e nei capoluoghi di provincia, era costituito dalla congregazione municipale con a capo un podestà, mentre nei rimanenti comuni era costituito da una deputazione comunale.

In base al regolamento del 1816 in Lombardia si avevano dunque il consiglio e la congregazione municipale nelle tredici città regie (Crema, Casalmaggiore, Monza, Varese, oltre ai nove capoluoghi di provincia), il convocato e la deputazione nella maggior parte dei comuni, e il consiglio e la deputazione solo in quelli elencati nella tabella annessa al regolamento stesso.

Con la circolare 19 marzo 1821 fu notificata l’attivazione, stabilita dal vicerè con decreto 5 marzo 1821, dei consigli comunali in luogo del convocato per tutti i comuni in cui fossero presenti più di trecento estimati. La circolare del 1821 forniva l’elenco dei comuni del regno ai quali era stato accordato il consiglio comunale. Un’ulteriore estensione dei comuni con consiglio si ebbe in seguito all’applicazione della circolare 8 maggio 1835 che, nell’intento di favorire la concentrazione dei comuni unendo i minori ai maggiori, stabiliva la possibilità di sostituire il consiglio al convocato “anche laddove il numero degli estimati fosse al di sotto di trecento”, sia pure in presenza di circostanze che facessero “considerare necessario un tale mutamento”.

In base al regolamento annesso alla notificazione 12 aprile 1816 il convocato generale degli estimati era costituito dalla totalità dei possessori “aventi estimo in testa propria nei registri del censo” (art. 1). Nel convocato era dunque “consolidata la facoltà di deliberare e disporre degli affari riguardanti l’amministrazione del comune nelle forme prescritte dalle leggi e sotto l’approvazione del governo” (art. 2). Modalità di convocazione, impedimenti e incompatibilità dei partecipanti, modalità di deliberazione del convocato erano diffusamente trattate negli articoli 3-28 del regolamento.

Funzioni analoghe aveva il consiglio comunale, che poteva essere formato da sessanta membri nelle due sedi governative di Milano e Venezia, da quaranta membri nelle città regie e nei capoluoghi di provincia, o da trenta membri negli altri comuni. Almeno due terzi dei componenti del consiglio dovevano essere possidenti scelti tra i primi cento estimati (art. 31). I consiglieri, dopo la prima nomina fatta dai rispettivi governi, venivano sostituiti ogni triennio in quote uguali, secondo l’anzianità di nomina “sopra duple dei consigli da parte delle congregazioni provinciali” (artt. 33-35). I consigli erano radunati di norma due volte l’anno e ogni qual volta ritenuto necessario (artt. 41-42). Rigide norme regolavano convocazione e svolgimento delle sedute, cui partecipavano, con funzioni di controllo in rappresentanza del governo e senza diritto di voto, il regio delegato nelle città regie o capoluoghi di provincia, oppure il cancelliere del censo o un suo sostituto negli altri comuni (artt. 43-58). Sia il convocato sia il consiglio erano di norma radunati due volte l’anno in sessione ordinaria e straordinariamente “a qualunque invito del delegato provinciale e del cancelliere del censo” (solo per i comuni posti direttamente sotto la sua direzione): nella prima sessione (in gennaio o in febbraio) si esaminavano i conti dell’anno precedente e veniva approvato il bilancio consuntivo, nella seconda (in settembre o in ottobre) si approntavano i bilanci di previsione, si nominavano i revisori dei conti e si eleggevano i nuovi membri delle congregazioni municipali e delle deputazioni.

Se nel consiglio e nel convocato risiedeva la facoltà di disporre e di deliberare sugli affari riguardanti l’amministrazione del comune, era alla deputazione comunale in quanto “autorità pubblica permanente” che spettava dare “esecuzione alle deliberazioni del consiglio o del convocato”, gestire l’amministrazione ordinaria del patrimonio del comune e “invigilare per l’osservanza delle leggi e degli ordini del governo” (art. 71). Nei comuni con convocato la deputazione “composta da tre individui possessori nel territorio del comune”, scelti dal convocato stesso, era assistita immediatamente dal cancelliere del censo. In quelli con consiglio essa aveva invece un ufficio proprio ed era assistita da un segretario (art. 94). La già citata circolare 19 marzo 1821 modificò parzialmente tale situazione in quanto, avendo abilitata l’istituzione del consiglio in un maggior numero di comuni, diede facoltà ai governi di Milano e Venezia di stabilire quali comuni potessero essere dotati di un ufficio proprio in base anche alla disponibilità di mezzi e locali. Dei deputati previsti per i comuni, colui che aveva riportato il maggior numero di voti tra i tre primi estimati era eletto primo deputato (art. 62), gli altri erano scelti “dal corpo indistintamente dei possessori” (art. 60). Oltre alla partecipazione a quasi tutti gli atti ufficiali del comune (artt. 72-81) ai deputati spettava il compito di “liquidare i conti coll’esattore e con l’agente municipale” prima dell’ingresso in un nuovo esercizio finanziario. Competeva inoltre predisporre “il conto preventivo delle entrate e spese per l’anno successivo da proporsi al consiglio o convocato”. Gli ordini di pagamento dovevano essere sottoscritti da almeno due deputati unitamente al cancelliere (artt. 82-87).

Per quanto riguarda il personale burocratico previsto per i comuni, in quelli aventi un consiglio la deputazione era assistita da un segretario ed eventualmente “da altri impiegati, secondo il ruolo approvato dal governo” (art. 94), mentre quelli aventi convocato dovevano “necessariamente avere un agente” (art. 95) come “rappresentante i deputati amministratori (…) per ricevere ed eseguire gli ordini dei superiori” (art. 96). L’agente veniva eletto alla fine di ogni anno “tra i più probi e capaci abitanti del comune” (art. 97). Fra le sue prerogative più importanti vi era la diretta corrispondenza con il cancelliere del distretto. Da lui riceveva le leggi e gli ordini da pubblicarsi nel comune, a lui trasmetteva l’attestato di pubblicazione (art. 102). Immediata conseguenza di ciò era l’incombenza di “custodire gli esemplari delle leggi e dei regolamenti, non meno che le scritture comunali” che all’agente venivano rilasciate dal cancelliere “per le giornaliere occorrenze” (art. 107), così come quella di “tenere un registro delle rendite provenienti dai fondi o dai diritti comunali e delle relative spese” di cui rendeva conto a fine anno (art. 110).

Oltre all’agente doveva esserci in ogni comune un cursore sottoposto all’agente per il disbrigo degli ordini di tutti i superiori (artt. 115-118). Altri “stipendiati” potevano essere nominati da consiglio o convocato, con approvazione del governo, mentre risultava obbligatoria l’elezione di due revisori dei conti di durata annuale (artt. 119-123).

Nelle città regie e nei capoluoghi di provincia le medesime funzioni esecutive erano svolte dalla congregazione municipale composta da un podestà e da quattro “individui col titolo di assessore”. La maggior parte di questi assessori (previsti in numero maggiore a Milano e Venezia rispetto alle altre città) dovevano essere proprietari fondiari, mentre i rimanenti potevano essere scelti tra i commercianti. La loro nomina spettava al consiglio, mentre il podestà veniva eletto dall’imperatore su una lista tripla formata dallo stesso consiglio (Sandonà 1912; Rotelli 1974; Meriggi 1987).

Dal compartimento territoriale annesso alla notificazione della luogotenenza lombarda (notificazione 23 giugno 1853) risulta che su 2.109 comuni soggetti al governo lombardo 1.587 avevano il convocato generale, 445 il consiglio comunale senza ufficio proprio, 64 il consiglio comunale con ufficio proprio e solo le 13 città regie avevano la congregazione municipale.

ultima modifica: 12/06/2006

[ Saverio Almini ]