comune del regno di Sardegna 1815 - 1859

Con la regia patente 31 dicembre 1815 fu stabilito che la nomina dei sindaci delle città e luoghi con più di tremila abitanti venisse attuata da sua maestà, mentre negli altri luoghi dai rispettivi intendenti. La patente prescriveva le modalità circa la presentazione da parte di ogni comunità dell’elenco degli amministratori tra cui poter scegliere il sindaco.

Con regia patente 27 gennaio 1826 fu determinato il nuovo modo di elezione di consiglieri e segretari delle comunità, dai quali dipendeva “in gran parte il regolare andamento del servizio economico de’ pubblici”. Per la loro nomina il consiglio di comunità insieme ai consiglieri aggiunti doveva formare una lista di tre candidati per ciascuno degli uffici da conferirsi, l’elezione dei candidati veniva fatta per votazione e i tre soggetti che avevano ottenuto la pluralità dei suffragi erano iscritti nell’atto consolare, trasmesso successivamente all’intendente della provincia per l’approvazione (art. 1). Per quanto non previsto dalla patente del 1826 veniva derogato al regolamento dell’8 gennaio 1739 ed alle regie patenti 6 giugno 1775 e 7 ottobre 1783. Con regio brevetto 29 novembre 1836 l’incombenza di intervenire alle adunanze dei consigli comunali era lasciata esclusivamente al giudice di mandamento o al suo luogotenente dispensando dalla presenza i castellani e baili (Raccolta leggi 1838).

La grande riforma amministrativa dello stato sabaudo era stata sancita con l’editto 6 giugno 1775. Con le lettere patenti 31 agosto 1843 furono ampliate le attribuzioni dei consigli provinciali creando i congressi di circondario e dopo un’esperienza di cinque anni, Carlo Alberto decise, con l’emanazione del regio editto per l’amministrazione dei comuni e delle province 27 novembre 1847 (editto albertino) di fondere l’ordinamento comunale, provinciale e divisionale, estendendo il principio dell’uguaglianza civile e separando i poteri deliberativi dall’esecutivo con il fine di agevolarne il regolare esercizio (editto 27 novembre 1847).

L’editto 6 giugno 1775, le lettere patenti 31 agosto 1843, l’editto 27 novembre 1847, la legge 7 ottobre 1848 (legge 7 ottobre 1848) e la legge 23 ottobre 1859 (legge 23 ottobre 1859) posero le linee fondamentali per la legge 20 marzo 1865 n. 2248 (legge 20 marzo 1865), cardine del sistema amministrativo nell’Italia unitaria (Gizzi 1961).

L’editto albertino si collegava esplicitamente, nelle premesse, alla grande riforma sancita da Vittorio Amedeo III con l’editto 6 giugno 1775 e alle successive lettere patenti 31 agosto 1843.

Lo stato di terraferma era diviso in comuni, province e divisioni amministrative, con l’assegnazione ai comuni di un’amministrazione propria e uniforme che ne reggeva e rappresentava gli interessi, e con la costituzione di province e divisioni amministrative nella condizione di corpi morali (artt. 1 e 149).

L’amministrazione comunale era composta da un sindaco, da un vice sindaco, dal consiglio di credenza e dal consiglio comunale (art. 5).

Il sindaco era sia capo dell’amministrazione comunale sia agente di governo. Suoi compiti erano formare le liste degli elettori, presiedere alle adunanze elettorali del consiglio di credenza e del consiglio comunale, convocare per avviso scritto entrambi i consigli, formare il bilancio e il progetto di regolamento da sottoporre alla deliberazione del consiglio comunale, rendere conto al consiglio della gestione economica e morale, nominare e licenziare gli agenti e salariati del comune, spedire gli affari del comune, custodirne il sigillo e autenticare gli atti non notarili, provvedere al regolare andamento dei servizi dell’ufficio comunale, alla buona tenuta del protocollo dei registri e degli archivi, procedere con l’assistenza di due consiglieri di credenza agli incanti e stipula dei contratti del comune, amministrare le sostanze comunali, fare gli atti conservatori, agire davanti ai tribunali amministrativi per la risoluzione dell’esazione delle rendite comunali, rappresentare il comune in giudizio, provvedere alla formazione dei ruoli delle contribuzioni, ordinare la riscossione dei capitali e dei proventi, promuovere e fare eseguire le deliberazioni comunali, far eseguire e dirigere i lavori e le spese comunali, fare le spese casuali occorrenti nel corso dell’anno, dirigere la polizia urbana e rurale, controllare le operazioni della leva, verificare i libri del catasto per accertarne la regolarità (art. 7). Quale agente di governo il sindaco doveva vegliare sul rispetto della religione e dei buoni costumi ed era incaricato, sotto la dipendenza delle autorità competenti, della polizia generale, della cooperazione al censimento della popolazione, della cooperazione alla formazione dei ruoli delle somministrazioni militari, della pubblicazione delle leggi, ordini e manifesti, di tenere i registri dello stato civile e di tutti gli atti di semplice amministrazione esecutiva affidati ai comuni e ai consigli comunali (art. 8). Il sindaco era nominato dal consiglio di stato e scelto tra i consiglieri comunali che dimoravano nel comune almeno una parte dell’anno, la durata della carica era triennale e soggetta a riconferma. All’intendente generale era riservata la sospensione dei sindaci, mentre la rimozione eventuale poteva essere unicamente effettuata dal consiglio di stato. Prima di entrare nell’esercizio delle sue funzioni il sindaco doveva prestare giuramento davanti all’intendente generale (artt. 9, 10 e 12).

I vicesindaci prestavano assistenza al sindaco e ne facevano le veci in caso di impedimento, erano nominati per un anno e scelti dal sindaco tra i consiglieri comunali; all’intendente generale spetta il compito di sospenderli e revocarli.

Sia i sindaci che i facenti funzione potevano essere chiamati a render conto delle azioni commesse nel corso dell’esercizio delle loro funzioni solo dall’intendente generale e potevano essere sottoposti a procedimento solo con l’autorizzazione della segreteria di stato. Il capo V dell’editto trattava del consiglio comunale di credenza, che nei comuni di prima classe era composto da sei consiglieri, in quelli di seconda classe da quattro e da due in quelli di terza. La nomina veniva fatta dal consiglio comunale a maggioranza assoluta di voti e la durata in carica era di un anno con possibilità di rielezione. L’art. 27 stabiliva che compito principale del consiglio di credenza era quello di deliberare in urgenza quanto di spettanza del consiglio comunale; era inoltre chiamato a deliberare sulle azioni possessorie da promuovere in prima istanza, a rivedere le liste elettorali, a rivedere i ruoli delle contribuzioni, a fare gli atti di notorietà e di stato di famiglia (art. 30).

I capi VI e VII dell’editto trattavano dei consigli comunali, della loro elezione e delle deliberazioni.

I comuni venivano suddivisi in tre classi: appartenevano alla prima classe quelli con una popolazione di diecimila abitanti, alla seconda quelli che avevano una popolazione di tremila abitanti o che erano capoluogo di provincia, alla terza tutti gli altri.

Il consiglio di ogni comune era composto, compreso sindaco, vicesindaco e consiglieri di credenza, da ottanta membri in Torino e Genova, da sessanta nei comuni di prima classe, da quaranta in quelli di seconda classe e da venti negli altri, l’elezione dei consiglieri comunali avveniva “tra i maggiori imposti nel ruolo delle contribuzioni dirette, tra i membri delle accademie, tra gli impiegati civili e militari, tra i professori di metodo e maestri elementari muniti di diploma delle scuole di metodo, tra i procuratori collegiati e notai, tra i geometri liquidatori e farmacisti, tra i sensali e agenti di cambio, tra i commercianti, fabbricatori ed esercenti e tra tutti gli altri iscritti al ruolo delle contribuzioni dirette” quando il numero degli elettori del comune non giungeva a cinquanta (art. 32 e 34).

In base a quanto stabilito dall’art. 60, era fatto obbligo ai consigli comunali di radunarsi due volte all’anno, in aprile o maggio e in ottobre o novembre su indizione del sindaco o, in caso di riunione straordinaria, dell’intendente generale, al quale era sempre riservata l’approvazione dei processi verbali (artt. 62, 63 e 65). Nella sessione autunnale il consiglio eleggeva i consiglieri di credenza, deliberava il bilancio comunale e deputava una commissione preposta a redigere il lavoro di esame della resa dei conti del sindaco; nella sessione di primavera venivano designati i candidati per il consiglio provinciale, formata la lista delle contribuzioni personali ed esaminato e approvato il conto del sindaco per l’anno precedente (art. 67). In entrambe le sessioni il consiglio comunale nominava i maestri di scuola, i cappellani, i medici e tutti i salariati comunali di nomina riservata; determinava le condizioni dei contratti, deliberava sulle imposte e sui regolamenti di polizia urbana e rurale. Il consiglio era anche chiamato a dare pareri sulle operazioni catastali e di variazione della circoscrizione del comune (artt. 69 e 70). Gli artt. 72 e 73 stabilivano i tipi di deliberazione soggetti all’approvazione del consiglio di stato o dell’intendente generale.

I capi VIII-XI dell’editto trattavano della contabilità comunale, dei beni comunali, della polizia urbana e rurale e degli uffici comunali mentre il capo XII stabiliva le disposizioni generali per l’amministrazione comunale.

L’8 febbraio 1848 Carlo Alberto emanò un proclama che gettava le basi del successivo statuto (emanato il 4 marzo 1848), con l’editto 17 marzo 1848 n. 680 venne regolato l’elettorato.

La legge 7 ottobre 1848, salvo le norme riguardanti l’elettorato, introdusse poche novità per quanto riguardava l’amministrazione comunale (la legge non ebbe preparazione parlamentare essendo stata emanata in base ai poteri eccezionali di cui alla legge 2 agosto 1848 considerato lo stato di guerra con l’Austria). Nel comune restavano attivi gli stessi organi di governo previsti nell’editto albertino, veniva solamente modificata la denominazione dei consigli di credenza, sostituita in consigli delegati; mentre passavano dal sindaco al consiglio delegato le attribuzioni relative ai salariati, alle spese casuali, alla redazione del progetto di bilancio, alla formazione delle liste elettorali. Venivano mantenute le medesime disposizioni relative alle deliberazioni, ai controlli, alla polizia urbana e rurale, agli uffici comunali (legge 7 ottobre 1848).

In seguito all’annessione della Lombardia al regno di Sardegna venne emanata la legge 23 ottobre 1859, che nel titolo I disponeva la divisione del regno in province, circondari, mandamenti e comuni (art. 1).

La giunta municipale sostituiva i consigli delegati e durava in carica cinque anni; veniva nuovamente disciplinato il sistema elettorale, veniva data pubblicità alle sedute dei consigli (art. 85) e veniva stabilita la pubblicazione delle deliberazioni all’albo pretorio. Le competenze della giunta erano parzialmente riordinate e al sindaco veniva attribuito il potere di distribuire gli affari tra i diversi membri della giunta e di prendere le decisioni in merito ai provvedimenti contingenti e urgenti. Restavano invariate le norme in materia di contabilità, finanza e ripartizione delle spese mentre veniva invece riorganizzato il regime dei controlli: all’intendente era data la facoltà di rendere esecutive o annullare le deliberazioni (artt. 125-131) e alla deputazione provinciale, organo elettivo presieduto dall’intendente, era lasciato il compito di approvare le deliberazioni aventi oggetti particolari stabiliti dalla legge (art. 133) (legge 23 ottobre 1859; Gizzi 1961).

ultima modifica: 12/06/2006

[ Saverio Almini ]