comune di Varese sec. XIV - 1757

La località di Varese venne citata negli statuti delle strade e delle acque del contado di Milano ed era a capo della pieve omonima; faceva parte delle comunità che contribuivano alla manutenzione della strada di Bollate (Compartizione delle fagie 1346).
Il comune di Varese ebbe dal 1347 propri statuti, idi cui si conserva il testo.
La struttura amministrativa prevedeva un vicario o console del borgo e della castellanza di Varese. Il vicario, inviato da Milano, era affiancato da quattro consoli, che avevano potere di deliberare, da soli o con il supporto di un consiglio di credenza. Oltre ai “consiglieri privati” del consiglio di credenza, che costituivano un organo di consulenza dei consoli e del vicario, il comune disponeva anche di un “consiglio maggiore” (Statuti Varese, p. 8), che aveva il compito di eseguire gli ordini e le deliberazioni degli organi di governo, di impedire le trasgressioni agli ordini suddetti e alle consuetudini comunali, di fornire consulenza alla struttura di reggenza. I consiglieri avevano però anche un potere di controllo sull’azione del vicario e dei consoli. Completavano l’apparato amministrativo un “canevarius” o tesoriere, che aveva il compito di registrare sul libro comunale le entrate e le uscite del comune, il “notarius” o “scriba” che doveva presenziare alle riunioni dei consigli e compilare i documenti comunali secondo gli ordini del vicario o dei consoli. Vi erano poi i procuratori, che avevano compiti di controllo amministrativo e contabile, e ancora altre figure di minore rilievo come i giurati e i fanti (Minola Cattaneo 1923, pp. 24-30).
Nei registri dell’estimo del ducato di Milano del 1558 e nei successivi aggiornamenti del XVIII secolo Varese appare sempre capo di pieve (Estimo di Carlo V, Ducato di Milano, cartt. 50-51).
Secondo le risposte ai 45 quesiti del 1751 della II giunta del censimento, Varese, con le sue castellanze, era località esente dal feudo, che aveva pagato sin dal XVI secolo una “rilevante somma di denari” a Carlo V, “come dal Regio Diploma dell’anno 1538. La libertà di questo Borgo fu confermata dal successore… Filippo Secondo con nuovo Privilegio e successiva approvazione dell’Eccellentissimo Senato, come da autentico Rescritto del 1621”.
Sotto il regno di Filippo IV, Varese pagò una nuova somma “per redimersi da qualunque timore d’infeudazione,” versando al tempo “del Quindennio” il tributo consistente in 821 lire, 15 soldi e 6 denari.
Il borgo era sede di un giudice regio, all’epoca Massimiliano Pusterla, che aveva un salario mensile di 12 lire imperiali, “alla di cui criminale Banca da’ rispettivi Consoli delle sei squadre constituenti detto Borgo prestavasi l’ordinario giuramento”.
Il comune di Varese era costituito quindi da “sei Squadre, ossia Quartieri, cioè la Squadra di S. Martino col Luogo di Giubbiano, la Squadra di S. Maria con Cartabia, la Squadra di S. Giovanni col Luogo di Casbeno, Squadra di S. Dionigio col luogo di Bosti, Squadra di Biumo Superiore e Squadra di Biumo Inferiore, alla quale Squadra di Biumo inferiore” era annesso “il Luogo di Belforte detto Tredecenno”.
La squadra di Biumo di Sotto disponeva di alcuni beni comunali, con gli scarsi proventi dei quali pagava la congrua del parroco, il salario dei campanari e del “sagrista”, oltre ad altre spese che capitavano.
La comunità di Varese non chiedeva alcuna separazione, volendo restare dipendente e annessa alla provincia del ducato.
Secondo la norma “delle antiche sue approvate costituzioni, ordini, e statuti” il borgo era retto da sei persone civili, una per ogni squadra, provviste di estimo reale, che assumevano il nome di reggenti. Questi ultimi rimanevano in carica per un biennio. Successivamente si teneva una nuova elezione, o si confermavano gli eletti con dispensa successiva del senato. I reggenti costituivano il consiglio ordinario e curavano gli affari della comunità e la conservazione delle pubbliche rendite.
Le riunioni avvenivano nella sala del consiglio “coll’intervento del notaro cancelliere, e vicecancelliere per essere rogato, e registrare le determinazioni ed ordinazioni che si fanno giusta le contingenze… ed emergendo poi alle volte cose di singolare sostanza e merito s’eccitano li principali Signori Estimati, il console, ed Uomo di Provisione di ciascuna Squadra coll’interessenza del giudice ad intervenire al pubblico Convocato, ed allora dicesi consiglio generale, e proponendosi dal cancelliere l’affare antecedentemente comunicato agli Invitati, si pesa, si esamina, indi si risolve lo che credesi più conveniente, ed utile per il Pubblico”. Venivano invitati inoltre tutti i principali estimati ogni anno al consiglio generale che si teneva in occasione della “collettazione de carichi personali, e mercimoniali”, cioè nel mese di marzo, e si fissava il valore dell’estimo totale della comunità, in osservanza alle disposizioni delle gride. Si effettuava poi la pubblicazione e affissione delle cedole contenenti l’importo dell’estimo, delle rate e del tempo, entro il quale i censiti dovevano pagare la quota di loro spettanza al cassiere della comunità.
I reggenti formavano anche il tribunale di provvisione, indipendente da qualunque altro e approvato con supremi sovrani dispacci, Il tribunale trasmetteva ordini e disposizioni al giudice di provvisione, che procedeva ad eseguirle per il pubblico bene. Tra i suoi compiti vi era quello di vigilare sull’osservanza dei calmieri e dei decreti di provvisione, regolandosi in tutto secondo gli usi cittadini.
Nel comune aveva la sua residenza il “notaro cancelliere”, presso cui si trovavano i catasti e gli altri libri e documenti concernenti l’amministrazione della comunità. Il medesimo cancelliere aveva le chiavi della stanza ben difesa che serviva per archivio, annessa alla sala del consiglio. Il cancelliere veniva pagato per le sue ordinarie operazioni 600 lire all’anno. Veniva inoltre retribuito anche un “notaro” vicecancelliere, con la paga di 100 lire annue, per il lavoro di assistenza effettuato. Altro impiegato era il ragionato e compilatore delle imposte, abitante nel borgo, che percepiva 350 lire all’anno per la compilazione dei riparti e per altri lavori.
La comunità di Varese disponeva in Milano di un avvocato, che era l’avvocato Ghirlanda, e di un procuratore, Carlo Francesco de’ Cristofori, entrambi estimati della medesima comunità; c’era inoltre un assistente, Francesco Maria Tognola. A queste persone era affidato il compito di trattare gli affari e i ricorsi, nonché di assistere la comunità nelle liti: ognuno di essi veniva pagato secondo le prestazioni professionali fornite.
Per quanto riguarda il numero degli abitanti, considerando anche i vecchi, i fanciulli e i numerosissimi religiosi, si raggiungeva probabilmente in tutto il territorio la cifra di 7300 anime, di cui 6800 laici. Solo in Varese, senza le castellanze, vi erano “più di 1200 anime, che non giungono all’età per la santa Comunione” (Risposte ai 45 quesiti, 1751; cart. 3036, vol. D XVII, Como, pieve di Varese, [2], fasc. 27).

ultima modifica: 13/10/2003

[ Claudia Morando, Archivio di Stato di Varese ]