monastero di San Faustino maggiore 841 - 1490

Monastero benedettino maschile.
La fondazione del principale monastero benedettino maschile della città di Brescia risale al 30 maggio 841 e si deve al vescovo Ramperto (Violante 1963, p. 1007; Belotti 2000, p. 113). Il cenobio fu edificato su strutture preesistenti (Mezzanotte 1996, p. 8), in corrispondenza dei boschi posti all'estremità occidentale del colle Cidneo presso il corso del Garza. Secondo la tradizione e la storiografia locale di età moderna il sito era occupato dalla chiesa di Santa Maria in Silva, edificata a sua volta sui resti di un tempio dedicato a Diana (Belotti 2000, pp. 112-113); la chiesa sarebbe stata riconsacrata o ricostruita in un luogo attiguo all'inizio del IX secolo, mutando la sua intitolazione a San Faustino in occasione della traslazione delle reliquie dei martiri Faustino e Giovita, conservate a Brescia nella chiesa di San Faustino "ad Sanguinem" (Violante 1963, p. 1002; Belotti 2000, pp. 112-113). Nel IX secolo ai corpi dei santi martiri si sarebbero aggiunte le sante croci e le reliquie di sant'Antigio (Belotti 2000, p. 116). Sempre secondo la tradizione, nel IX secolo il vescovo Pietro avrebbe edificato presso la chiesa un piccolo monastero benedettino per garantire la celebrazione all'altare dei santi e la cura delle reliquie (Belotti 2000, p. 113). Non è noto se Ramperto intendesse restaurare un antico monastero in rovina, riportare alla vita un collegio di canonici responsabili del culto dei martiri o ripristinare un monastero divenuto in seguito canonica (Violante 1963, p. 1007; Belotti 2000, p. 113): ad ogni modo, la creazione di un monastero di stretta fedeltà vescovile risponde pienamente agli intenti del vescovo riformatore impegnato nella valorizzazione della Chiesa cittadina e del potere vescovile, indebolito e limitato dalla presenza nella diocesi dei potenti monasteri di Santa Giulia e San Benedetto di Leno, esenti dalla giurisdizione episcopale. Oltre a valorizzare e celebrare il culto dei santi Faustino e Giovita, Ramperto volle creare un'istituzione modello di vita religiosa per consacrati e laici che cercavano una vita di perfezione cristiana. Il monastero venne affidato all'abate Leudegario e al monaco Ildemaro, teologi di Corbie giunti in Italia al seguito dell'imperatore Lotario I e passati poi al servizio dell'arcivescovo di Milano Angilberto (Violante 1963, p. 1008; Belotti 2000, pp. 113-114). Secondo le disposizioni del fondatore, i monaci avrebbero potuto eleggere l'abate all'interno della comunità, scegliere liberamente l'avvocato, dietro corresponsione al vescovo del censo annuo di una libbra d'argento, quale riconoscimento della subordinazione all'autorità episcopale (Violante 1963, pp. 1008-1009; Belotti 2000, p. 114). Appare chiaro l'intento di Ramperto di dare vita a un'istituzione di primaria importanza, capace di competere con i grandi monasteri benedettini bresciani sul piano religioso, per la preziosità delle reliquie conservate e sul piano culturale data la presenza di insigni teologi a guida dell'ente. A Leudegario e Ildemaro, trasferiti al monastero di San Pietro di Civate, subentrò in qualità di abate il monaco Maginardo proveniente da Reichenau (Violante 1963, p. 1009). Nel sinodo provinciale di Milano dell'842 Ramperto ottenne il riconoscimento ufficiale del suo monastero (Violante 1963, p. 1008; Belotti 2000, p. 114). Non si hanno molte notizie del primo periodo di vita del cenobio, che sicuramente si arricchì attraverso lasciti e donazioni "pro anima" come testimonia il testamento del vescovo di Verona Bilongo, risalente all'847 (Belotti 2000, p. 116).Per quanto riguarda il patrimonio monastico, Ramperto aveva donato a San Faustino diversi beni in Brescia, tra cui una "sablonaria", vigne e boschi, una taverna, una casa e un torchio. Nelle vicinanze della città il monastero ricevette in dote piccoli enti e ospizi rurali tra cui il monastero di San Martino di Torbole, nonché massari e chierici per garantire l'officiatura e la cura dei monasteri e degli ospizi. Altri beni nel bresciano furono donati al cenobio dal vescovo di Verona Bilongo nell'847. I privilegi concessi nel 1123 da Callisto II e nel 1132 da Innocenzo II (Kehr 1913, p. 330) a conferma dei beni e diritti del cenobio testimoniano che nel XII secolo il patrimonio e l'influenza del monastero si erano notevolmente accresciuti. Scomparsi dal patrimonio i primitivi ospizi, comparivano ora gli ospedali di Brescia e Ospitaletto; i beni fondiari erano ubicati in varie località, dalla Franciacorta alla Bassa bresciana, il monastero possedeva la chiesa di Santo Stefano a Sale di Gussago e le chiese dedicate a San Faustino a Bienno in Valcamonica e a Cimmo in Valtrompia. La presenza del monastero si era mantenuta forte a Bienno e Torbole: in quest'ultima località l'abate di San Faustino avrebbe esercitato dal XIII secolo una vera e propria signoria, riconosciuta dalla vicinia del paese (Belotti 2000, p. 117). Il XII secolo fu un periodo di grande prosperità per l'ente, che nel 1152 inaugurò una nuova chiesa, in sostituzione della chiesa primitiva (Mezzanotte 1996, p. 8). Alla fine del secolo il monastero, che traeva grande prestigio dal suo ruolo di "scrigno" di reliquie, dovette affrontare un lungo e acceso dibattito con i canonici di San Faustino "ad Sanguinem" sull'autenticità dei corpi dei santi Faustino e Giovita conservati nella chiesa del cenobio: a quest'epoca si era persa la memoria dell'ubicazione dell'arca con le loro spoglie all'interno della chiesa (Belotti 2000, pp. 119-120). Dalla metà del XIII secolo si hanno le prime notizie certe sull'ospedale di San Faustino, che probabilmente esisteva già al momento della fondazione in forma di ospizio per pellegrini e viaggiatori. Nel 1265 l'ente assistenziale era sicuramente attivo; soggetto al monastero e amministrato da una ministra con l'ausilio di converse e conversi, nel XIV secolo subì una forte decadenza, probabilmente per la concorrenza con i nuovi e più moderni enti assitenziali urbani (Mariella 1963, pp. 13-17). Nel XIV secolo anche il monastero risentì della crisi che investì tutti i grandi enti religiosi bresciani e della concorrenza con gli ordini mendicanti e gli umiliati stanziatisi in città non lontano dal monastero e protagonisti di una vera e propria esplosione di vocazioni (Violante 1963, pp. 1075- 1089); inoltre, qui come altrove, il lento adeguamento alle nuove e più flessibili regole economiche provocò un forte depauperamento (Belotti 2000, p. 17). All'inizio del secolo, secondo il computo dei monaci presenti nei monasteri della diocesi fatto redigere dal vescovo Federico Maggi, la comunità di San Faustino era composta da dodici sacerdoti più l'abate (Bezzi, Boschi, Navarrini 1980, p. 14). Pur continuando a ricevere donazioni e lasciti, il monastero dovette cedere parte dei suoi beni ad alcune potenti famiglie bresciane quali Palazzi, Caprioli, Gambara, Martinengo, feudatarie di San Faustino e di tutte le principali istituzioni monastiche della diocesi. Nel 1341 il monastero venne affidato in commenda (Belotti 2000, p. 121). Gli abati sottoposero il cenobio alla cura di amministratori, senza recarvisi di persona, portando a gravi livelli la crisi cominciata all'inizio del secolo; negli anni '80 il chiostro era addirittura disabitato e l'abate commendatario Crivelli dovette chiamare due monaci da Milano ad occuparlo. All'inizio del XV secolo il vescovo Francesco Marerio, nel tentativo di ristabilire la disciplina e l'ordine nelle istituzioni monastiche bresciane, richiamò i monaci di San Faustino al rispetto della Regola ed alla buona condotta (Bettelli Bergamaschi 1993, p. 439). L'abbandono e la decadenza del monastero continuarono fino al passaggio di Brescia sotto il dominio veneto (Belotti 2000, pp. 121-122). Nel 1427 il governo della città ottenne da Venezia il patronato sul monastero e i commendatari furono più attivi e più attenti all'ente che venne amministrato con maggiore cura sia dal punto di vista religioso, sia economico. Importante fu la figura dell'abate Benedetto Marcello che si occupò del riordino della corte di Bienno e tentò di svincolare il monastero dal legame con il vescovo rifiutandosi di pagare il censo annuo dovuto all'episcopato (Belotti 2000, pp. 121-122). Nel 1490 il monastero di San Faustino venne aggregato alla congregazione di Santa Giustina di Padova: il riconoscimento ufficiale del passaggio sarebbe avvenuto cinque anni dopo (Guerrini 1931 a, pp. 87-88; Belotti 2000, p. 123).

ultima modifica: 12/06/2006

[ Diana Vecchio ]