priorato di San Nicolò sec. XI - sec. XV

Priorato cluniacense maschile.
Non si conosce l'atto di fondazione del priorato di Rodengo e per questo nel corso del tempo diverse sono state le ipotesi sulla sua origine. Secondo gli studi più recenti, la fondazione sarebbe da collocarsi negli anni '80 dell'XI secolo (Spinelli 2002 b, pp. 25-28; Archetti 2002 a, p. 61). Il fondatore del monastero è sato tradizionalmente identificato con Carlo Magno (Baronio 1979-1981, p. 208), quindi con Oddone, secondo abate di Cluny (Spinelli 2002 b, p. 25). La fondazione è stata anche attribuita all'operato dei grandi cenobi benedettini bresciani di Santa Giulia e Leno (Guerrini 1959, pp. 55-56; Spinelli 2002 b, p. 25), ma si può collegare anche a un membro della famiglia "de Rodingo", proprietaria della chiesa di San Pietro di Rodengo, che avrebbe avuto rapporti con i cluniacensi (Baronio 1979-1981, pp. 209-211). Recentemente la creazione dell'ente è stata mezza in relazione all'operato di un prete della pieve di Gussago nel cui distretto si trovava la chiesa di Rodengo: egli avrebbe donato la chiesa, di cui era beneficiario all'abbazia di Cluny "manifestando nel contempo il proposito di diventare lui stesso monaco e di trasformare la propria chiesa in un monastero" (Spinelli 2002 b, p. 27) e sarebbe così plausibile la mancanza di un atto di fondazione dell'istituto (Spinelli 2002 b, p. 28). Per quanto riguarda la dedicazione, ad una primitiva intitolazione a san Pietro subentra nel 1100 quella a san Nicolò, che si alternerà alla precedente per poi prevalere nel XIII secolo (Archetti 2002 a, p. 64). Il primo documento ufficiale in cui compare il priorato di San Nicolò è la bolla del 16 marzo 1095 rilasciata da Urbano II all'abate Ugo di Cluny a conferma dei beni del monastero francese. Il priorato di Rodengo non ha celle dipendenti, a differenza degli enti che lo precedono e lo seguono nel documento: il fatto "sembra lasciar supporre che esso avesse una priorità dovuta alla sua antichità, più che alla sua consistenza patrimoniale" (Spinelli 2002 b, p. 23). Nel corso del XII secolo il monastero di San Nicolò visse una fase di forte espansione, caratterizzata dalla realizzazione di acquisti coerenti e compatti e sostenuta da una dinamica gestione economica (Archetti 1996 a, pp. 61-182; Archetti 2002 a, pp. 63-83). Furono acquistati terre arative, a vigna, campi e boschi in Franciacorta e in località della bassa pianura lungo il corso del fiume Oglio, poste all'inizio della fascia delle risorgive. Il monastero si interessò fin dalle origini allo sfruttamento delle acque: la documentazione testimonia l'acquisizione di diversi mulini e il possesso di acquedotti e condotte per la canalizzazione dell'acqua da convogliare ai mulini e per l'irrigazione dei campi (Archetti 2002 a, pp. 83-85). All'acquisizione di beni immobili si accompagnò spesso quella di beni e diritti (Spinelli 2002 b, p. 31; Archetti 2002 a, pp. 87-91). Il caso più lampante è quello di Comezzano, dove il monastero aveva cospicui interessi e i cluniacensi detenevano parte della signoria e godevano delle decime (Archetti 2002 a, pp. 64-71) e dove inoltre organizzarono e condussero con grande impegno un sistema di gestione diretta che richiamava quello delle nascenti grange cisterciensi lombarde, con un intenso sfruttamento del territorio ed elevati risultati nel corso del XII secolo (Fiori 1991, pp. 43-46; Archetti 2002 a, pp. 64-71). I beni e diritti furono confermati al priorato nel 1187 da Urbano III. In questo periodo risultano dipendenti dal cenobio piccole chiese e cappelle nei territori limitrofi a Rodengo (Spinelli 2002 b, p. 31). Il monastero perseguì una "accorta politica di buon vicinato con altri enti monastici ed ecclesiastici come le due grandi abbazie bresciane di San Faustino e di Sant'Eufemia e il vescovado stesso della città" (Spinelli 2002 b, p. 31). In questo secolo la comunità monastica appare formata da un numero massimo di dodici monaci; i priori rimanevano in carica da tre a cinque anni e spesso agivano anche come messi del cenobio (Spinelli 2002 b, p. 29). La famiglia cluniacense di Rodengo era legata alle principali famiglie della zona, tra cui i de Rodengo, de Salis, de Burnado, Brusati (Gatti 2000, pp. 115-131; Archetti 2003, pp. 44-48). Nel corso del XIII secolo il priorato, al pari di tutti gli enti religiosi bresciani conobbe un forte stato di crisi e risentì fortemente della difficile situazione politica ed economica della provincia, travagliata ininterrottamente da guerre e disordini. La politica economica mutò: si iniziò a gestire il patrimonio in maniera meno diretta,, aumentarono i contratti d'affitto e si ridusse il numero dei conversi (Gatti 1996, p. 214; Archetti 2002 a, pp. 70-71). Il patrimonio si concentrò nelle vicinanze del cenobio, e furono redatti nel corso del secolo numerosi inventari di beni per controllare e gestire al meglio le risorse (Gatti 1996, p. 281). Per quanto riguarda la vita interna dell'ente, regna uno stato di crisi che va peggiorando nel tempo a causa delle difficoltà politiche e sociali bresciane e dalla cattiva amministrazione. La comunità è composta da un esiguo numero di monaci e per diversi anni dal solo priore, in carica mediamente per circa sei sette anni (Spinelli 2002 b, p. 32). Alla fine del secolo gli edifici costituenti il cenobio erano in gran parte distrutti e la comunità monastica ridotta ai minimi termini (Spinelli 2002 b, p. 32); dagli anni '70 il priore non risiedeva più a Rodengo e la struttura fu amministrata tra il 1284 e il 1309 da Pietro de Salis, che risiedeva per ragioni di sicurezza nel priorato di San Nicola di Verziano (Spinelli 2002 b, p. 33). Non sembra aver portato grandi benefici la decisione presa nel 1274 dal capitolo generale di Cluny che, in seguito alla "redistribuzione della giurisdizione sui priorati minori lombardi da parte dei priorati maggiori" decise di assegnare la cella di Santa Giulia di Cazzago, fino ad allora dipendente dal monastero di San Paolo d'Argon, a quello di Rodengo (Spinelli 2002 b, p. 33; Archetti 2002 a, p. 79 e p. 99): infatti dal 1313 il beneficio di Santa Giulia fu sempre appannaggio dei membri della famiglia capitaneale bresciana dei Cazzago (Archetti 2002 a, p. 99 nota 114; Spinelli 2002 b, p. 33), confermati in questa carica dal priore di Rodengo, che non mise mai in discussione la scelta del rettore (Archetti 2002 a, pp. 79-80). La situazione non migliorò all'inizio del XIV secolo, sia sotto il profilo patrimoniale sia sotto quello spirituale; i pericoli determinati dalle guerre locali impedirono una qualsiasi ripresa (Spinelli 2002 b, p. 35). Dopo che nel 1332 Mastino della Scala aveva occupato il territorio bresciano ed espulso i monaci da Rodengo affidandone la gestione dell'ente a laici fedeli, (Spinelli 2002 b, p. 36), gli sforzi di rilancio della comunità furono vani. I debiti continuarono a gravare sul monastero per tutto il secolo, per quanto l'ente continuasse a gestire dei mulini (Gatti 1996, p. 225) e concentrasse il proprio patrimonio nelle vicinanze del monastero e nei paesi limitrofi (Archetti 2002 a p. 75; Vecchio 2003 b pp. 282-319). Nel 1369 gli edifici erano bruciati e il priorato era deserto (Spinelli 2002 b, p. 36); nove anni dopo il priore rimase solo nel monastero, abbandonato dall'unico monaco ancora presente (Gatti 1993, p. 57 e p. 81 nota 73; Spinelli 2002 b, p. 36). L'esperienza cluniacense a Rodengo può considerarsi quindi conclusa (Spinelli 2002 b, p. 36). Il priorato risultava già in commenda nel 1399 e affidato al cardinale Angelo d'Anna Sommariva (Spinelli 2002 b, p. 39). In punto di morte il cardinale manifestò il desiderio di cedere la commenda agli olivetani senza però dar seguito al provvedimento: nel 1428, alla sua morte, divenne commendatario di Rodengo il cardinale Giordano Orsini (Spinelli 2002 b, p. 41) che cedette, dietro congruo compenso (Picasso 2002 a, p. 105) il beneficio al quindicenne Corradino appartenente alla famiglia capitaneale bresciana dei Caprioli (Picasso 2002 a, p. 105). Con Corradino iniziò il periodo più buio della commenda: il Caprioli dilapidò i beni dell'ex priorato e provocò la reazione della popolazione di Rodengo, che si appellò a Eugenio IV tramite il vescovo di Brescia. Il 23 ottobre 1445 il papa (Spinelli 2002 b, pp. 41-42: Picasso 2002 a, p. 105) affidò il monastero di Rodengo agli olivetani affinché lo riformassero, confermò il passaggio agli olivetani il 3 giugno 1446 e lo stesso fece il governo di Venezia il 14 luglio; la definitiva presa di potere avvenne il 14 novembre 1446 (Picasso 2002 a, pp. 105-106).

ultima modifica: 13/12/2005

[ Diana Vecchio ]