diocesi di Bergamo sec. IV - [1989]

Il territorio dell’episcopatus bergamasco, ricalcò, come già ampiamente testimoniato da molteplici studi sulle istituzioni ecclesiastiche di questo territorio, i confini del municipium romano. Con l’affermazione pubblica e la diffusione del cristianesimo, a seguito della pace di Costantino (313 d.C.), si dovette provvedere a un’organizzazione territoriale che prese a modello le circoscrizioni civili dell’Impero. La struttura gerarchica delle comunità religiose prevedeva al vertice la presenza di un episcopus. E’ accertata la presenza al sinodo di Sardica (343) del secondo vescovo Viatore, mentre sono incerti e convenzionali gli anni relativi all’episcopato del primo vescovo Narno (325-343). La sistemazione territoriale romana subì notevoli modifiche nel sec. VIII. I Longobardi, infatti, non si avvalsero più della precedente divisione in province, pagi e vici, ma privilegiarono il centro cittadino come nucleo governato da un duca. Crebbe pertanto l’importanza del vescovo che viveva a fianco di tale autorità. La prima sede episcopale di Bergamo fu la basilica alessandrina con la domus Sancti Alexandri situata “extra moenia”, alla quale per le esigenze di servizio e sicurezza dei fedeli si affiancò ben presto la chiesa di San Vincenzo (Diocesi di Bergamo 1988). La chiesa di San Vincenzo infatti compariva in qualità di sede pievana fin dall’VIII secolo, come attesta il testamento del gasindio regio Taido, redatto nell’anno 774, in cui la chiesa di San Vincenzo è nominata insieme alla basilica di Santa Maria, con il titolo di “ecclesia”. L’uso di quest’ultimo appellativo, come mostrano gli studi di Lupi e Mazzi, stava ad indicare, nei secoli che precedono l’anno 1000, la chiesa battesimale esistente nel capoluogo dell’antico pagus romano, conservatosi importante e accresciuto, per ragioni di transito o di mercato o di residenza di qualche autorità. I termini “basilica”, “oratorium”, “capella”, significavano invece la presenza di una chiesa secondaria sita in un vicus o in un quartiere. Entro il suddetto testamento venivano ricordate come eredi la chiesa di San Vincenzo con Santa Maria, la chiesa di Sant’Alessandro con San Pietro, la chiesa di San Viatore di Terno e le basiliche di Santa Grata in Borgo Canale, di San Michele al Pozzo Bianco, di San Lorenzo, di San Giuliano di Bonate e di Sant’Ambrogio di Zanica.
Le plebanie nacquero per diverse esigenze di ministero, prima fra tutte la necessità di conferire il battesimo, con sacerdoti residenti organizzati a volte in collegiate. Come già sottolineato la pieve più antica è quella di San Vittore di Terno d’Isola (774), alla quale seguirono San Lorenzo di Mologno, San Martino di Nembro, San Giovanni di Telgate, tutte e tre citate in un documento dell’ 830. Risalgono poi al X secolo le prime attestazioni delle pievi di Clusone (909), di Almenno San Salvatore (975), Calepio (977) (Pergamene archivi Bergamo 1988). La pieve di Ghisalba invece è documentata per la prima volta in una permuta del 1063 (Pergamene archivi Bergamo 2000), mentre quelle di Dossena, Scalve e Fara Olivana, secondo quanto riportato da Fornoni, rientrerebbero tra le chiese plebane della diocesi di Bergamo di cui si presume l’esistenza fin da prima dell’anno mille, seppur non se ne abbia notizia certa fino al XIII secolo (Fornoni 1897).
La diocesi di Bergamo nel secolo XII aveva un territorio che non corrispondeva a quello del comitatus bergomatis, anzi era di molto inferiore. I suoi confini a nord coincidevano con gli attuali, ad eccezione delle valli Taleggio ed Averara, soggette alla pieve di Primaluna. Sul lato occidentale giungevano solo fino a Pontida. Sul lato orientale la linea di demarcazione si identificava con l’attuale, con qualche piccola variante: Palosco, ora di pertinenza bresciana, apparteneva ancora alla diocesi di Bergamo. Infine entro il confine meridionale erano comprese le pievi di Fara Gera d’Adda, Pontirolo Vecchio, Canonica e Fara Olivana. Arzago con la sua pieve apparteneva alla diocesi di Cremona, così come Morengo e parte di Romano. Inoltre la diocesi si estendeva all’enclave di Paderno, Ossolaro, Acqualonga nella diocesi Cremonese.
La pieve urbana o cittadina era costituita, fino all’inizio del sec. XIII, dal territorio urbano e da quello suburbano che comprendeva tutta una fascia di territorio intorno alla città profonda tre miglia. Successivamente, il comune limitò i propri confini alla pieve urbana mentre nella fascia suburbana, che ecclesiasticamente faceva parte della pieve, promosse la formazione di comuni rurali. Anche in campo ecclesiastico si seguì la politica comunale: la fascia suburabana si staccò dalla pieve cittadina e si formarono tre primiceriati di Scano, Lallio e Seriate. Ciò avvenne tra il 1216 e il 1260.
Nei secoli XII, XIII, XIV si assiste al graduale frazionarsi dell’unità della pieve e all’affermarsi di tutti quegli elementi che diedero vita all’istituto parrocchiale. La pieve continuò a sopravvivere, ma come circoscrizione intermedia tra il centro della diocesi e le parrocchie (Pagani-Marchetti 1991).
Nel secolo XII, infatti, si assiste ai più significativi episodi di decentramento del clero dalla pieve alle comunità insorgenti: i casi di Almenno, Zogno e Almè sono esemplari di tale processo. Ad Almenno nel 1169 il vescovo donò ai canonici di Sant’Alessandro due chiese: ad esse doveva essere addetto un prete che le avesse ad officiare esercitando la cura d’anime. Già nel 1162 i canonici di Sant’Alessandro avevano stipulato una convenzione con il comune di Zogno per assicurare il sostentamento di un sacerdote che officiasse la chiesa di San Lorenzo. Nel 1174 la chiesa di San Michele di Almè, in una contesa contro i canonici della città, rivendicava davanti al vescovo il proprio diritto di battezzare (Codex diplomaticus). E’ il primo caso in cui si concede il fonte battesimale ad una chiesa che non è una pieve e in cui veniva recepito il principio pastorale di facilitare la pratica cristiana dei fedeli con nuove strutture. Infatti gli abitanti di Almè vantavano un certo diritto al fonte battesimale, perché concesso dai antichi loro conti; ma il vescovo concesse il fonte battesimale perché riconobbe il grave disagio cui andavano incontro nel portare i loro bambini alla cattedrale (Diocesi di Bergamo 1988).
La città mostrava analoghe dinamiche con le vicinie che di fronte all’incremento della popolazione crebbero di numero. E’ il caso di San Giacomo che nel 1173, sotto l’episcopato di Guala si staccò dalla vicinia di Santo Stefano. I fedeli chiesero che la loro chiesa fosse libera ed indipendente dalla matrice, con un proprio cappellano qui divinum officium continue celebraret (Ronchetti 1818). Le vicinie tendono a rendersi indipendenti dalle cattedrali sia nel disertarle nei giorni festivi, sia nell’amministrare abusivamente il battesimi. Risale al 1196 la proibizione ingiunta dal vescovo Lanfranco ai presbiteri delle chiese urbane di battezzare i bambini nelle proprie chiese (Marchetti 1999).
Una prima indicazione sistematica della distribuzione pievana in diocesi di Bergamo si rinviene in un documento del 1260. Entro una lista delle chiese sottoposte a un censo imposto alla Santa Sede, sono infatti nominate le pievi di Nembro, Clusone, Scalve, Solto, Mologno, Calepio, Telgate, Ghisalba, Fara Olivana, Terno, Almenno, Dossena e i primiceriati di Scano, Lallio e Seriate (Chiese di Bergamo sottoposte a censo). Un successivo quadro attendibile della diocesi risale al 1360. E’ possibile affermarlo grazie all’analisi di una serie di fascicoli che registravano, a partire da quella data, le taglie e le decime imposte al clero dai Visconti di Milano e dai papi. Tra di essi, un’ordinanza del 1360 di Bernabò Visconti riportava dapprima un indice generale, “nota ecclesiarum”, delle chiese e monasteri di Bergamo, per poi specificare per ciascuno di essi le rendite e la tassa, nominando di ogni beneficio il titolare. In questa fonte troviamo attestazione dei primiceriati di Scano, Seriate e delle pievi di Lallio, Terno, Almenno, Dossena, Ghisalba, Fara Olivana, Telgate, Calepio, Nembro, Clusone, Solto, Scalve, Mologno. Per la città invece, erano censite, oltre le cattedrali e Santa Maria Maggiore, 17 chiese con annessa la cura d’anime e relativo beneficio. Nel territorio le chiese sono 213 e i benefici 591. Purtroppo la nota non segnala quali sono i benefici con cura d’anime (Nota ecclesiarum 1360). Sotto l’episcopato Barozzi (1449-1465), le strutture diocesane ebbero un ulteriore notevole sviluppo. Vennero costituite per smembramento le parrocchie di Ossolaro da Paderno, Gaverina da Mologno, Valgoglio da Gromo, Colere da Vilminore, Cene da Vallalta, Cepino e Val Secca da Sant’Omobono, Selino da Berbenno, Somendenna da Endenna, Pianca da San Giovanni Bianco, Fuipiano da San Pellegrino , Cornalba da Lepreno, Bracca da Pagliaro, Rigosa e Sambusita da Costa Serina, Endine (Censuale Barozzi 1464). Al tempo della visita apostolica di San Carlo Borromeo (1575) la diocesi era divisa in 17 plebanie: Calepio, Solto, Vilminore, Clusone, Gandino, Nembro, Mologno, Seriate, Dossena, Piazza Brembana, Telgate, Ghisalba, Lallio, Scano, Terno, Almenno e il priorato di Pontida. Secondo invece una coeva fonte manoscritta recante l’elenco dei benefici censiti in diocesi di Bergamo, la circoscrizione di Calepio risultava smembrata in due porzioni territoriali, una inferiore e l’altra superiore facente capo a Predore. Questa inedita fonte rispecchia per molteplici aspetti la riorganizzazione diocesana che seguì le riforme tridentine. La primitiva divisione in pievi fu infatti messa in crisi sia per gli spostamenti degli interessi della popolazione, sia per la decisione di legare in maniera organica e giuridica la periferia con il centro. In occasione del II sinodo diocesano di Bergamo del 1568, il vescovo Cornaro, in ottemperanza alle risoluzioni del primo concilio provinciale del 1565, decretò l’istituzione dei vicariati foranei attraverso l’elezione di vicari foranei ad nutum del vescovo, ossia non legati ad una sede come invece erano i plebani. Tali disposizioni vennero ridefinite nel III sinodo del 1574, negli atti del quale l’ampia circoscrizione plebana di Clusone fu smembrata in due aree sottoposte, l’una al vicario foraneo di Sovere e l’altra a quello di Ardesio. Le porzioni territoriali di Fara Olivana, Bariano e Fara Gera d’Adda furono invece sottoposte alla giuridizione del vicario foraneo di Bariano. Esistevano inoltre due encleves territoriali storicamente identificate come nullius plebis, ma comunque affidate alla cura pastorale di due vicari foranei. Le comunità di Pontida, Somendenna, Endenna, Fontanella, Ambivere, Palazzago erano infatti affidate alla cura del vicario di Somendenna; diversamente, le comunità di Sedrina, Botta, Stabello, Zogno, Villa d’Almè, San Pellegrino, Santa Croce, Spino, Poscante, Grumello de’Zanchi erano sottoposte a quello di Poscante (Acta synodalia bergomensis ecclesiae). Ma il decollo dell’istituzione dei vicariati foranei non fu facile, sia per la sua novità che per l’opposizione dei plebani, che si vedevano esautorati nei loro diritti tradizionali e sottomessi spesso ad un loro inferiore, dato che il vicario foraneo, di nomina vescovile, non era sempre scelto tra le loro file. Da un vaglio delle fonti successive a tali disposizioni è possibile infatti riscontrare la persistenza della suddivisione del territorio diocesano in “pievi”, come testimoniato negli atti delle visite pastorali fino al XVIII secolo. Solo allora si va sistematicamente adottando il termine di “vicaria” per identificare la circoscrizione sub-diocesana, come mostra l’organizzazione dei registri dello stato del clero della diocesi redatti a partire dal 1734.
Contestualmente alla promozione di questa suddivisione diocesana nelle strutture vicariali, le riforme del concilio tridentino definirono anche il profilo istituzionale delle singole comunità parrocchiali che le costituirono. Il parroco divenne, infatti, nella periferia della diocesi il fulcro portante del rinnovamento pastorale. A quest’epoca, le fonti relative alla diocesi di Bergamo distinguono due tipologie di istituzioni parrocchiali: beneficiate e mercenarie. Nelle prime il parroco godeva di un beneficio, mentre nelle parrocchie mercenarie al sostentamento del parroco si provvedeva con la mercede (da qui il titolo di marcenaria) pattuito dal parroco con i parrocchiani. I parroci beneficiati erano inamovibili, mentre i mercenari venivano nominati per un anno e confermati poi tacitamente, ma sempre in via provvisoria. Esisteva una terza categoria di parrocchie così dette commendatarie. In tali circostanze il vescovo nominava quei parroci che, nè mercenari nè titolari di benefici, venivano stipendiati dalla comunità presso la quale si trovavano ad officiare a causa dell’esiguità del beneficio parrocchiale della stessa, insufficiente a mantenerne il curato. I presbiteri eletti secondo questa prassi erano sottoposti ad una conferma del vescovo ogni sei mesi (Commende 1550-1597). Alcune parrocchie inoltre godevano del diritto di iuspatronato, ossia della particolare facoltà concessa dall’autorità ecclesiastica ad una comunità di scegliere e presentare alla sede episcopale, per la canonica investitura, il soggetto da essa ritenuto idoneo ad un beneficio ecclesiastico.
Con l’episcopato di Barbarigo (1657-1664) vennero introdotte in diocesi alcune riforme nel sistema organizzativo vicariale, nel rispetto delle disposizioni tridentine. Il vescovo decretò l’aumento del numero dei vicari foranei, frazionando le pievi, per una più efficace azione pastorale. Dall’antica plebania di Terno vennero smembrate le nuove vicarie di Chignolo, Mapello, Terno; da quella di Dossena sorsero le vicarie di San Giovanni Bianco, Selvino, Dossena; dalla pieve di Ghisalba nacquero le circoscrizioni di Mornico, Spirano, Ghisalba; dalla plebania di Clusone furono erette le quattro vicarie di Clusone, Oneta, Ardesio e Sovere; dalla pieve di Mologno nacque la vicaria di Borgo di Terzo e da Nembro la vicaria di Alzano Maggiore. Risalgono alla seconda metà del sec. XVIII le attestazioni delle circoscrizioni ecclesiastiche aventi a capo le parrocchie di Villa d’Almè e di Zogno. Al 1720 invece, risale la prima menzione della vicaria di Sorisole, sorta per dismembramento di quella di Seriate.
Da un’analisi dell’intera serie dei registri manoscritti degli Stati del clero tra il 1734 e il 1822, la partizione vicariale della diocesi si mantenne pressoché invariata fino al 1784, quando ebbe inizio il processo di ridefinizione dei confini diocesani tra Bergamo e Milano. Nel 1784 l’imperatore d’Austria e il doge di Venezia decisero di unire alla diocesi di Bergamo le parrocchie appartenenti alla prepositurale plebana di Verdello, di alcune parrocchie della pieve di Brivio, di parte della pieve di Olginate, della prepositura di San Giacomo in Valle Averara, di quella di Santa Brigida, delle parrocchie della Valtaleggio e della parrocchia di Morengo che apparteneva alla diocesi di Cremona. Il processo di ridefinizione dei confini diocesani, iniziato nel 1784 per provvedimento dell’autorità civile, vide anche l’intervento della Sacra Congregazione Concistoriale. L’autorità pontificia con atto del 13 novembre 1786, autorizzava la procedura di passaggio dei suddetti territori alla diocesi di Bergamo, ufficializzata dalle autorità episcopali solo nel 1787 (Atti del passaggio 1784-1787).
Il sec. XIX vide il sorgere di due nuove circoscrizioni vicariali facenti capo a Rota fuori e a Serina. La prima venne smembrata dalla pieve storica di Almenno all’inizio del secolo, e la seconda succedette nel ruolo di capovicaria alla parrocchia di Dossena nel 1878.
Un significativo mutamento della struttura diocesana urbana si riscontra sotto il regime napoleonico, quando un disposto imperiale ordinò la riduzione delle parrocchie urbane in tutte le città principali del regno; così anche a Bergamo si operò una radicale modifica delle circoscrizioni territoriali e le vecchie parrocchie cittadine di San Salvatore, Sant’Eufemia, San Cassiano, San Michele dell’Arco, San Michele al Pozzo Bianco, San Lorenzo, e San Pancrazio restarono semplici sussidiarie di altre parrocchie (decreto 22 giugno 1805). Il decreto attuativo con cui il vescovo Dolfin recepiva le disposizioni civili era tuttavia più analitico nella ridistribuzione giuridica dei ruoli delle vecchie parrocchiali cittadine: in esso si decretava la riunione alla parrocchia della cattedrale delle chiese di Sant’Eufemia, San Pancrazio, San Cassiano, San Michele dell’Arco e una porzione del Santissimo Salvatore. Alla parrocchia di Sant’Andrea era unita quella di San Michele al Pozzo Bianco e alla parrocchia del Carmine erano invece unite quella di San Lorenzo e la restante porzione di quella del Santissimo Salvatore. Alla prepositura di Santa Grata inter vites era riunita la parrocchia di Castagneta. Le chiese delle parrocchie concentrate, prescindendo da quelle di San Cassiano e di Sant’Eufemia, di cui il vescovo disponeva la chiusura, stavano tutte sussidiarie delle tre parrocchiali alle quali erano state rispettivamente unite. La chiesa di San Salvatore restava sussidiaria della parrocchiale del Carmine. Entro le disposizioni napoleoniche, recepite e confermate da quelle ecclesiastiche, la chiesa della Cattedrale era costituita parrocchiale ad extra (decreto 10 gennaio 1806). Entro il registro degli Stati del clero relativo all’anno 1861, la diocesi risultava ripartita in 34 vicarie foranee e 15 parrocchie, di cui 6 del circondario e le restanti del centro cittadino. Queste ultime erano: Sant’Alessandro della Cattedrale, Sant’Agata nel Carmine, Sant’Andrea apostolo, Sant’Alessandro in Colonna, Sant’Alessandro della Croce, Santa Grata Inter Vites, Santa Caterina, Sant’Anna in Borgo Palazzo, Santa Maria e Marco dell’Ospedale maggiore (parrocchia interna). Le sei parrocchie del circondario erano San Rocco in Castagneta, Santa Maria in Longuelo, San Pietro apostolo in Boccaleone, San Colombano in Valtesse, San Sisto in Colognola e San Lorenzo in Redona. Le vicarie foranee erano: Almenno San Salvatore, Alzano maggiore, Ardesio, Borgo di Terzo, Caleppio, Calolzio, Caprino, Chignolo d’Isola, Clusone, Dossena, Gandino, Ghisalba, Lallio, Mologno, Mornico, Nembro, Ponte San Pietro, Pontida, Predore, Rota Fuori, Santa Brigida (di rito ambrosiano), San Giovanni Bianco, San Martino Oltre la Goggia, Selvino, Seriate, Solto, Sottochiesa (di rito ambrosiano), Spirano, Telgate, Terno, Verdello, Villa d’Almè, Vilminore e Zogno. Il numero complessivo delle parrocchie presenti a quest’epoca nella diocesi ammonta a 335; vi operavano 1.388 sacerdoti al servizio di 307.122 anime (GDB 1861). Con il XX secolo si verificarono numerosi mutamenti nella configurazione della struttura diocesana: nacquero le vicarie di Branzi (decreto 12 ottobre 1905), Brembilla (decreto 14 agosto 1906), Gromo e Pontenossa (decreto 4 marzo 1908)e infine quella di Gazzaniga (decreto 22 settembre 1917).
In occasione del Sinodo diocesano dell’anno 1923, il vescovo Luigi Maria Marelli decretò una nuova distribuzione delle circoscrizioni sub diocesane: costituì infatti quattro nuove vicarie (Capriate d’Adda, Gorlago, Romano di Lombardia e Sovere) e dispose la conseguente modificazione della circoscrizione di alcuni dei vicariati già esistenti (Atti Sinodo Marelli 1923). Sotto l’episcopato del medesimo vescovo, si procedette al trasferimento della sede vicariale da Lallio a Stezzano (decreto 24 giugno 1935); mentre per disposizione del suo successore Adriano Bernareggi, si ordinò la costituzione delle tre nuove circoscrizioni di Albino, Ponteranica e Scanzo (decreto 27 maggio 1939). Infine nel 1957 venne eretta la vicaria foranea di Dalmine (decreto 13 maggio 1957).
Il 28 maggio 1971, il vescovo Clemente Gaddi decretava la riorganizzazione territoriale diocesana in zone pastorali per un miglior coordinamento dell’attività pastorale nei vicariati e nelle parrocchie. Tale disposizione prevedeva la divisione della diocesi in 19 zone e l’accorpamento in una zona di più vicariati foranei. Si era giunti a questa struttura dopo una fase sperimentale che aveva inizialmento previsto 16 zone pastorali. Nella zona I confluirono le vicarie di Ardesio, Clusone, Gromo, Ponte Nossa e Vilminore; nella zona II le vicarie di Gandino, Gazzanica, nella zona III le vicarie di Albno, Nembro , Alzano maggiore (eccetto Torre Boldone che passò alla zona XVIII); nella zona IV le vicarie di Branzi, San Martino Oltre la Goggia, Santa Brigida; nella zona V le vicarie di Brembilla, San Giovanni Bianco, Selvino, Serina, Sottochiesa e Zogno; nella zona VI le vicarie di Calolzio e Caprino, nella zona VII le vicarie di Almenno San Salvatore, Rota fuori nella zona VIII le vicarie di Chignolo d’Isola e Terno (eccetto Botta di Sotto il Monte e Sant’Egidio di Fontanella al Monte annesse alla zona IX); nella zona IX le vicarie di Ponte San Pietro e Mapello (eccetto le parrocchie di Palazzago e Burligo che furono aggregate alla zona VII); nella zona X le vicarie di Dalmine, Stezzano; nella zona XI le vicarie di Ghisalba, Romano Lombardo; nella zona XII le vicarie di Ponteranica e Villa d’Almè (eccetto Sedrina già da tempo assegnata alla zona V); nella zona XIII le vicarie di Calepio, Predore, Telgate; nrlls zona XIV le vicarie di Scanzo, Seriate; nella zona XV le vicarie di Mologno, Solto e Sovere; nella zona XVI le vicarie di Borgo di Terzo e Trescore; nella zona XVII le vicarie di Capriate, Spirano (eccetto Pagazzano che confluì nella zona XI), Verdello (eccetto Levate, Osio Sopra, Osio Sotto comprese nella zona X); nella zona XVIII la zona periferica della città; infine nella zona XIX le parrocchie del centro cittadino (decreto 28 giugno 1971).
Nel 1979, vista la necessità di giungere a una forma di struttura intermedia fra le diocesi e le parrocchie, vengono eretti nella diocesi dal vescovo Giulio Oggioni ventotto vicariati, in sostituzione delle precedenti strutture delle vicarie e delle zone pastorali. Di questi, tre erano urbani (Nord-ovest; Sud-est e Sud-ovest) e venticinque foranei: vicariato locale di Vilminore, Ardesio-Gromo; Clusone-Pontenossa; Gandino; Gazzaniga; Albino-Nembro; Alzano; Solto-Sovere; Borgo di Terzo-Mologno; Trescore; Predore; Calepio-Telgate; Ghisalba-Romano; Scanzo-Seriate; Dalmine-Stezzano; Spirano-Verdello; Capriate-Chignolo-Terno; Mapello-Ponte San Pietro; Almenno-Ponteranica- Villa d’Almè; Calolzio-Caprino; Rota Imagna; Brembilla-Zogno; Selvino-Serina; San Giovanni Bianco-Sottochiesa; Branzi-Santa Brigida-San Martino Oltre la Goggia (decreto 27 maggio 1979). Nel 1984 venne approvato un nuovo statuto che rifondava e regolava i vicariati locali della diocesi, ma ciò non influì sulla struttura circoscrizionale dei suddetti vicariati locali (decreto 3 maggio 1984).
Entro il decreto ministeriale del 20 novembre 1986, con cui il Ministero dell'Interno conferiva la qualifica di ente ecclesiastico civilmente riconosciuto alle parrocchie della diocesi di Bergamo, risultavano soppresse alcune antiche comunità come: Collepiano, Costa d’Adrara, Sambusita, Brumano con Burro, Ganda, Amora, Ama, Dezzo di Scalve, Dosso, Sant’Agata al Carmine in Bergamo, Terzo, Catremerio, Camorone, Sopracornola, Fondra, Zamble Alta, Valzurio, Odiago, Baresi, Bordogna, Rota Dentro, Pianca, Barzesto, Pradella, Fontanella del Monte, Olda, Pizzino, Valcava, Sogno, Novazza, Nona, Teveno, Bueggio, Dezzolo, Spino, Miragolo San Salvatore, Miragolo San Marco (decreto 20 novembre 1986).
Negli ultimi decenni del sec. XX, oltre la nascita di numerose nuove parrocchie, si sono verificate alcune variazioni nelle circoscrizioni dei singoli vicariati delle quali si rende conto nelle relative schede.

ultima modifica: 05/09/2005

[ Roberta Frigeni ]