pieve sec. IX - sec. XVI

Il termine pieve deriva dal latino plebs, avendo assunto a partire dall’epoca longobarda le accezioni sia di nucleo di popolazione cristiana sparsa nella campagna, corporativamente concepita anche sul piano civile e sociale, sia di preciso luogo di culto fornito di fonte battesimale e di cimitero (Coradazzi 1980). Nei documenti medievali pervenutici a partire dal IX secolo, data la loro natura prevalentemente amministrativa, risulta della pieve un’identità più economico-giurisdizionale che pastorale, venendo a definirsi i confini tra le chiese battesimali in ordine alla riscossione delle decime. Nella pienezza del suo significato il termine plebs-pieve ha indicato una porzione ben definita di popolazione e di territorio della diocesi, pastoralmente autosufficiente, subordinata al vescovo che vi era presente e agiva normalmente mediante il ministero del clero locale da lui incaricato di amministrare i sacramenti, di celebrare il culto, di catechizzare i fedeli, di assistere i bisognosi e di formare i futuri membri del clero. Questa pienezza di contenuto dell'istituto plebano si è verificata nei secoli IX-XIII, durante i quali il clero plebano era organizzato in vita comune nelle canoniche, fino alla frammentazione del territorio e della popolazione plebana per il progressivo distacco delle ecclesiae subiectae, riconosciute in seguito come parrocchie. La pienezza di contenuto non coincise peraltro con l'uso del termine stesso di plebs, al posto del quale poteva coesistere nell’uso quello di paroecia. Se circa la loro nascita sembra di poter ravvisare nell’epoca carolingia il momento di formazione della pieve in senso strettamente territoriale, è certo che le premesse della pieve siano state poste anteriormente, già nel IV-V secolo, almeno per alcune delle zone rurali del milanese. Centri commerciali, amministrativi, religiosi, viarii, portuali divennero i primitivi centri di irradiazione dell'evangelizzazione al di fuori delle città. Sempre per la mancanza di sufficienti testimonianze non è possibile localizzare precisamente tutte le chiese che anche in elenchi tardi sono definite plebane, nè conoscere se altre località, dotate di antiche chiese battesimali, si siano estinte. Per quanto riguarda gli indizi rivelatori della presenza dell'istituto plebano e l’epoca della sua origine si possono prendere in considerazione gli apparati architettonici del battistero e della chiesa; le citazioni della chiesa, chiamata ecclesia piuttosto che oraculum o capella o basilica nei documenti scritti; il ritrovamento di iscrizioni funerarie; il titolo della chiesa; le attestazioni riguardanti la riscossione delle decime; la rilevanza civile e commerciale, l’antica titolarità capitaneale di origine pagense; le testimonianze scritte o materiali circa la presenza dei diversi gradi della gerarchia ecclesiastica. Per ciò che concerne quest’ultimo aspetto, i termini di arcipretura e arciprete, prepositura e prevosto indicavano gli uni le cariche e la loro estensione nel tempo e nello spazio, gli altri i titolari della carica, designando il capo o prefetto del collegio dei canonici della chiesa plebana. Nelle canoniche plebane, soprattutto della diocesi di Milano, il praepositus sostituì l'archipresbyter fin dall’XI-XII secolo. Con il declino dell’istituto plebano, la dignità prepositurale al pari dell'arcipresbiterale e della vicariale vide crescere il suo valore onorifico a scapito di quello funzionale. Si ebbero così le prepositure e le arcipreture ad personam e in loco (DCA, Prepositura). Con il termine canonica si indicava tanto l'istituto stesso quanto il luogo dove si conduceva la vita in comune del clero plebano in ordine al migliore svolgimento del culto e della cura pastorale. Praticamente con il medesimo significato erano usati i termini collegiata; collegio canonicale; capitolo; capitolo collegiale. Le chiese cattedrali offrirono un esempio di vita comune del clero, secondo una regola ben precisa, organizzata in funzione della liturgia e dell'officiatura e con pertinenze anche di carattere giurisdizionale.

L’evoluzione dell’istituto plebano nelle diocesi lombarde a partire dal tardo medioevo (XIII-XIV secolo) presenta evidenti differenze. La sopravvivenza del termine stesso di pieve, sia pure per indicare un mero ambito territoriale, indipendentemente dalla valenza giurisdizionale-pastorale, è limitata ad alcune aree, tra le quali però spiccano quelle ambrosiana e comasca. Solo negli ultimi decenni del XVI secolo le diocesi vennero riorganizzate in circoscrizioni che almeno parzialmente ricalcavano l’antica struttura plebana e che presero il nome di vicariati foranei. Il vicario, quale fiduciario del vescovo nel forese, era stato istituito nel 1565 dal primo concilio provinciale milanese. Progressivamente, nelle aree nelle quali l’istituto plebano era rimasto in vita, andò coincidendo la persona del vicario foraneo con quella dell’arciprete o del prevosto, e tutti i vicariati foranei finirono per essere considerati pievi; il termine stesso di pieve divenne di fatto sinonimo di vicariato foraneo. La diocesi milanese, da questo punto di vista, rappresenta un’eccezione, dal momento che si ebbero formali erezioni di plebane, contemporaneamente vicarie foranee, ancora agli inizi del XX secolo.

ultima modifica: 03/01/2006

[ Saverio Almini ]