archivio di stato 1875 - [1971]

Il consolidamento, durante il XX secolo, di una tradizione di studi archivistici riconosciuta e condivisa, ha portato definire gli archivi come un insieme di carte che trovano la propria unità nell'organismo produttore. Tale legame, meglio noto come vincolo archivistico, implica che le carte di un archivio non possono essere considerate autonome l'una dall'altra, ma connesse tra loro nella serie dei documenti prodotti da un ente, da un'azienda, da un individuo ecc. In altre parole, un archivio è il complesso delle scritture attraverso cui è avvenuta l'attività amministrativa di un istituzione o di una persona, reciprocamente legate dal vincolo determinato dalla natura e dalla competenza dell'ente o della persona cui quelle scritture si riferiscono.

L'interesse dello Stato moderno nei confronti degli archivi nasce a partire da due differenti ordini di motivi:

  • La certezza del diritto, che deve essere garantita al cittadino (anche se suddito) attraverso la conservazione degli atti che possono contribuire a ricostruire vicende personali e collettive di interesse giuridico o amministrativo;
  • Le esigenze della cultura storica e, più in generale, delle scienze, che trovano negli archivi degli strumenti di lavoro insostituibili. In Italia, la regolamentazione e la tenuta degli archivi correnti è normalmente riservata alle amministrazioni dalle quali dipendono e per le quali sono sorti gli archivi medesimi. La conservazione degli atti, invece, fu affidata al Ministero dell'interno (decreto 5 marzo 1874), che dunque trova negli Archivi di Stato una propria articolazione periferica. Per la verità, a proposito del periodo trattato, l'Italia è stata (insieme alla Repubblica Democratica Tedesca) l'unico paese in cui questa attribuzione sia rimasta in essere lungo i primi tre quarti del XX secolo. In paesi come la Francia, il Belgio, l'Olanda (ed in generale in tutti gli Stati dell'Europa continentale) - che pure in passato avevano affidato l'amministrazione degli archivi al Ministero 'politico' per eccellenza, cioè quello degli interni, - il patrimonio archivistico fu infatti gestito, a partire dai primi decenni del secolo, da ministeri di natura culturale quali quelli della pubblica istruzione o dei beni culturali. Questa tendenza si è affermata in seguito al maggiore riconoscimento attribuito, con il passare del tempo, alla natura culturale e scientifica degli archivi.

In Italia si perverrà alla piena affermazione di questa tendenza solo nel 1975 con l'istituzione del nuovo Ministero dei Beni Culturali e Ambientali che estende la propria competenza oltre che sul patrimonio librario, storico artistico, architettonico, archeologico e sugli istituti statali che lo gestiscono, anche su quello documentario e sugli Archivi di Stato addetti alla sua conservazione.

Subito dopo l'unificazione del paese lo stato italiano si trovò in presenza di una situazione variegata di istituti archivistici ereditati dalle cessate amministrazioni preunitarie, che, per una scelta contingente di continuità con il passato, continuarono a dipendere in parte da amministrazioni centrali diverse. Ancora nel 1870 dei quindici Archivi di Stato allora esistenti, otto dipendevano dal Ministero dell'Interno e sette dal Ministero della Pubblica Istruzione, mentre gli archivi dei capoluoghi provinciali meridionali, già dipendenti dal Ministero dell'interno, erano stati trasferiti nel 1866 sotto la diretta competenza delle stesse amministrazioni provinciali (decreto 21 gennaio 1866). Il problema di una più funzionale gestione amministrativa dell'intero settore si pose fin da quel periodo, ma l'unità amministrativa degli archivi fu realizzata gradualmente. Con vari interventi normativi emanati tra il 1872 e il 1874 si riportarono sotto la competenza del Ministero degli Interni gli Archivi di Stato già esistenti, concentrandovi anche le documentazioni provenienti da preesistenti archivi di deposito di altre amministrazioni giudiziarie e finanziarie di cui si dispose la contestuale soppressione. L'unificazione degli Archivi di Stato sotto il Ministero dell'Interno venne definita con il regio decreto 5 marzo 1874, n. 1852 (decreto 5 marzo 1874): essi erano presenti nelle principali città italiane, che in gran parte erano state le capitali degli antichi stati preunitari, e dove peraltro già esistevano archivi delle amministrazioni centrali preunitarie che furono ereditati, dal costituendo Stato italiano, in base al principio di territorialità degli archivi.

Con il regio decreto 27 maggio 1875, n. 2552 si istituiva anche l'Archivio Centrale del Regno (poi Archivio Centrale dello Stato - legge 13 aprile 1953), espressamente preposto alla conservazione della documentazione di interesse storico prodotta dai dicasteri dell'amministrazione centrale dello stato italiano.

Il passaggio sotto la competenza statale del Ministero dell'Interno degli archivi provinciali meridionali venne attuato solo nel 1932. Successivamente, la legge 22 dicembre 1939, n. 2006 (legge 22 dicembre 1939), ha previsto che in ogni capoluogo di provincia venissero costituite sedi dell'Archivio di Stato, allo scopo di conservare gli atti delle amministrazioni e magistrature a carattere provinciale dello Stato italiano e degli stati preunitari. Dal punto di vista economico, fu previsto poi che le spese per la provvista dei locali, per la manutenzione degli archivi e per la fornitura delle attrezzature e dei mobili fossero a carico delle province.

Negli Archivi di Stato italiani, in quello che è un elenco esemplificativo e non tassativo, è possibile rinvenire:

  • atti e documenti prodotti o conservati dai dicasteri, delle amministrazioni e delle magistrature centrali e periferiche dello Stato italiano a partire dal 1860 e non più occorrenti alle finalità istituzionali degli stessi soggetti produttori;
  • atti e documenti prodotti o conservati dai dicasteri, dalle amministrazioni e dalle magistrature centrali e periferiche degli Stati che precedettero la formazione del Regno d'Italia, a qualunque periodo storico appartenessero;
  • atti delle corporazioni religiose pervenuti al demanio dello Stato italiano e degli Stati precedenti l'unità all'atto delle varie soppressioni avvenute nei secoli XVIII-XIX;
  • atti notarili di data anteriore ai cento anni versati dagli Archivi distrettuali notarili;
  • atti e documenti di diversa provenienza e natura affidati all'Archivio di Stato in virtù di leggi speciali o pervenuti allo stesso Archivio di Stato per acquisto o dono.

I documenti conservati negli Archivi di Stato fanno parte del demanio pubblico sono beni inalienabili e lo Stato detiene su di essi diritti imprescrittibili. Sono liberamente consultabili, ad eccezione di quelli riservati per motivi di politica estera o interna, consultabili dopo 50 anni dalla loro data, e di quelli dei processi penali, consultabili dopo 70 anni.

Generalmente, gli Archivi di Stato accrescono il proprio patrimonio attraverso la procedura del versamento da parte delle amministrazioni statali. Queste ultime, infatti, sono obbligate a depositare presso l'Archivio di Stato gli atti e le pratiche concluse da quarant'anni (decreto 30 settembre 1963). Fanno eccezione a questa regola le liste di leva, versate dall'Ufficio di leva dopo 70 anni dall'anno di nascita della classe cui sono riferite e gli atti dei notai, versati dagli Archivi distrettuali notarili solo quando siano trascorsi 100 anni dalla cessazione dell'attività dei notai stessi.

Un'altra forma di accrescimento del materiale archivistico è quella della donazione, dell'acquisto o del deposito - che può essere reversibile, e quindi temporaneo - di documenti dai privati. L'attivazione delle procedure di acquisto, dono o deposito è naturalmente subordinata al riconoscimento di un effettivo interesse degli Archivi di Stato ad accogliere l'insieme di documenti proposto: solitamente si dà corso all'operazione in presenza di complessi documentari di comprovato valore storico - ad es. archivi privati di enti, corpi, famiglie o persone completi - o di fondi documentari che possano integrare quelli già posseduti.

Attività simmetrica, ma non meno importante, rispetto a quella del versamento, della donazione o dell'acquisto è lo scarto di materiale archivistico prodotto dagli uffici dell'amministrazione statale. La procedura delle operazioni di scarto degli atti d'archivio prevede una selezione ragionata dei documenti da avviare alla distruzione, che si applica preventivamente al versamento. Tale selezione richiede una conoscenza approfondita dell'iter formativo della documentazione stessa che consenta di comprenderne il diverso valore e di salvarne il contenuto informativo essenziale.

Tale procedura è stata disciplinata tanto dal Regolamento per gli Archivi di Stato del 1911 (decreto 2 ottobre 1911) quanto dai provvedimenti, più sopra citati, del 1939 e del 1963.

Il Regolamento del 1911 prevede che alle procedure di scarto degli atti d'archivio degli uffici dell'amministrazione centrale e periferica dello stato siano preposte apposite Commissioni di scarto di cui deve fare parte il direttore dell'Archivio di stato competente. La legge del 1963 ha innovato le procedure per lo scarto prevedendo l'istituzione di apposite Commissioni di sorveglianza miste, nominate periodicamente con decreto ministeriale e formate da membri degli uffici interessati e da un funzionario archivista. Alle commissioni, oltre alle funzioni di sorveglianza sugli archivi di deposito degli uffici vigilati, è affidata anche la selezione degli atti proposti per gli scarti. Il personale degli Archivi di Stato ha un proprio ruolo ripartito, per la carriera direttiva, in archivisti, direttori, soprintendenti, ispettori generali e soprintendente dell'Archivio Centrale del Regno (poi dello Stato). Alla formazione tecnica, tanto teorica quanto pratica, del funzionario d'archivio provvedono le Scuole di archivistica, paleografia e diplomatica, istituite presso i principali Archivi di Stato italiani.

ultima modifica: 12/06/2006

[ Fulvio Calia ]