subeconomato per i benefici vacanti 1860 - 1929

Per antica consuetudine i frutti dei benefici vacanti costituiscono una regalia; è dunque la sovranità civile ad essere investita del possesso dei suddetti benefici, amministrandone e distribuendone, nel contempo, i proventi che ne dovessero derivare. Il Regno di Sardegna, che aveva da sempre esercitato, pur con una certa varietà di misura e forma, questo diritto nei suoi storici territori, sentì il bisogno - non appena conquistati i territori degli antichi Stati italiani, ma prima di giungere alla formale proclamazione del Regno d'Italia - di disciplinare in maniera più uniforme la materia dei benefici vacanti.

La legge 26 settembre 1860, n. 4314 (legge 26 settembre 1860) ricevette dunque applicazione tanto nelle antiche province piemontesi quanto nelle altre "aggregate pel libero voto" (così nel preambolo della legge). Il provvedimento era ispirato, come accennato, da un desiderio di uniformità nella gestione dei benefici vacanti, soprattutto in considerazione dell'ampliamento territoriale appena avvenuto, ma anche dalla convinzione che la stessa causa religiosa e le opere pie in generale si sarebbero avvantaggiate dal nuovo regime di gestione dei benefici.

Il diritto di possesso e di amministrazione dei benefici vacanti verrà, da questo momento in avanti, uniformemente esercitato in tutto lo Stato, senza distinzione fra benefici maggiori e minori e senza distinzione circa la natura dei benefici medesimi. Il rilascio dei beni ai nuovi ecclesiastici investiti avverrà, inoltre, solo dopo il placet del Re.

I frutti dei benefici, detratte le spese di amministrazione ed un equo assegno da corrispondersi al nuovo ecclesiastico investito (assegno proporzionato alla durata della vacanza e comunque non superiore alla rendita di un anno), verranno (art. 2) utilizzati per migliorare la condizione dei parroci e dei sacerdoti maggiormente bisognosi, per le spese di culto in genere, per il restauro delle chiese povere e per altri utilizzi caritatevoli.

Dal punto di vista dell'amministrazione dei benefici vacanti, la legge prevedette l'istituzione di Economi generali, nominati dal Re e dipendenti dal Ministro di grazia e giustizia ed affari ecclesiastici. Gli Economi generali avrebbero dovuto riferire annualmente al Ministro l'andamento della gestione, presentandone il conto consuntivo.

Scendendo a livello subprovinciale, la legge istituiva i Subeconomati per i benefici vacanti, direttamente dipendenti dagli Economati generali e, anche se in via indiretta, amministrazione periferica del Ministero di grazia e giustizia ed affari ecclesiastici.

Se gli Economati generali avrebbero tenuto l'amministrazione dei benefici vacanti di più province, la circoscrizione amministrativa dei Subeconomati era ridotta a quella di una diocesi o di più mandamenti compresi nella stessa diocesi (ricordiamo qui che la legge Rattazzi 23 ottobre 1859, n. 3702 aveva suddiviso amministrativamente il Regno di Sardegna in province, circoscrizioni, mandamenti e comuni) (legge 23 ottobre 1859).

Così stabilito, l'ordinamento della gestione dei benefici vacanti praticamente non variò, sul piano legislativo, sino al periodo fascista. Quando il fascismo, col duplice intento di rendere più accentrato il sistema dei benefici vacanti ed mettere in pratica gli impegni assunti a seguito dei Patti Lateranensi del 1929, modificò la disciplina di questa materia, i Subeconomati per i benefici vacanti, perché fonte di spreco ed inefficienza e per la loro esigua competenza territoriale, furono soppressi.

La legge 27 maggio 1929, n. 848, emanata poco più di un mese dopo la firma del Concordato con la Santa Sede, intendeva dettare Disposizioni sugli enti ecclesiastici e sulle amministrazioni civili dei patrimoni destinati a fini di culto e naturalmente si occupò anche di Subeconomati per i benefici vacanti (legge 27 maggio 1929 b).

Per ciò che riguarda l'argomento trattato, l'art. 18 della legge sopprimeva gli Economati generali ed i Subeconomati dei benefici vacanti e disponeva che i loro patrimoni fossero riuniti in un patrimonio unico "destinato a sovvenire il clero particolarmente benemerito e bisognoso", oltre naturalmente che "per favorire scopi di culto, di beneficenza e di istruzione".

Dal punto di vista organizzativo, le funzioni di possesso e di messa a frutto già svolte dagli Economati generali e dai Subeconomati per i benefici vacanti venivano attribuite direttamente al Ministero della giustizia e degli affari di culto, dove era prevista la costituzione di un'apposita direzione generale.

Per quanto riguarda il personale a capo degli uffici soppressi, la nuova legge (art.30) dispose che i titolari o i reggenti dei subeconomati soppressi potessero vedersi concessa un indennità una tantum in una misura che sarà stabilita, in seguito, dal regio decreto 10 marzo 1930, n. 286 (decreto 10 marzo 1930). Il personale impiegato presso i subeconomati fu dalla legge trasferito presso gli uffici per gli affari di culto, in via di istituzione (art. 21) presso le procure generali delle corti d'appello.

Con l'emanazione del dispositivo citato, sembrava dunque profilarsi la soppressione immediata dei subeconomati dei benefici vacanti. In realtà, come spesso capita in casi del genere, tra le disposizioni transitorie della legge del 1930 (all'art. 31) era previsto che "fino a quando non siano definitivamente costituiti gli uffici per gli affari di culto… gli attuali economati e subeconomati… eserciteranno provvisoriamente le attribuzioni demandate agli uffici medesimi". Questa disposizione ebbe l'effetto di prolungare l'esistenza di fatto di una parte di tali uffici; occorre ricordare infatti che l'ultimo subeconomato smise di funzionare nel 1937 e che nel 1935 il Regno d'Italia contava ancora decine di queste amministrazioni periferiche del Ministero di grazia e giustizia 'soppresse' per legge cinque anni prima.

ultima modifica: 18/06/2006

[ Fulvio Calia ]