diocesi di Como sec. IV - [1989]

Una diffusione organizzata del Cristianesimo nella regione comasca avvenne dopo l’episcopato di sant’Ambrogio, il quale, ad alcuni vescovi già effettivi nelle città di Vercelli, Pavia, Bergamo ne aggiunse altri, tra cui Felice, che fu consacrato vescovo di Como in un anno (forse il 386) compreso tra il 381 (anno del concilio di Aquileia, in cui non risultava presente un vescovo di Como) e il 390 (anno del concilio di Milano, al quale partecipò il vescovo Felice). Nell’istituzione della diocesi di Como, Ambrogio si era probabilmente attenuto al criterio di ricalcare l’andamento dei confini municipali romani, i quali tuttavia possono essere oggi determinati più su prove indirette che immediate. Il primo presule di Como consolidò la chiesa cittadina e preparò il terreno per la missione nelle aree rurali; non risulta però che avesse un precisio piano per l’organizzazione ecclesiastica: egli lamentava la scarsezza di diaconi. E’ probabile che la chiesa matrice della città sia rimasta a lungo l’unica chiesa battesimale, alla quale concorrevano i neofiti per il battesimo. Solo successivamente cominciarono a sorgere oratori rurali per le adunanze dei fedeli e per le pratiche di culto. Una meditata organizzazione ecclesiastica delle comunità iniziò a svilupparsi dal V secolo, ma sul Lario in particolare si delineò chiaramente a partire dal VI secolo in avanti ed ebbe probabilmente impulso durante l’episcopato di Abondio, che divenne il venerato patrono della diocesi. Se le vicende politico-militari, a cominciare dalla guerra goto-bizantina, dovettero gravare sui modi e sui tempi del processo di evangelizzazione, la complessa questione legata prima alla confessione religiosa dei longobardi e poi alla loro politica verso il papato influì in modo decisivo sulla storia della diocesi comense. L’episodio più eclatante dello scisma dei Tre Capitoli, ricomposto da un punto di vista dell’ortodossia religiosa, dopo circa un secolo dalla sua origine, nel sinodo di Pavia del 689, si ebbe con la rottura della comunione con il metropolita milanese voluta dalla diocesi di Como. Il distacco maturò tra il 599 e il 606 e durò fino alla fine del XVIII secolo. Forse per forti ragioni politiche fu il re longobardo Agilulfo a favorire il legame di Como con il patriarcato di Aquileia. Da Aquileia Como ebbe anche il rito patriarchino che venne sostituito dal rito romano solo con il vescovo Filippo Archinti (1595-1621) in attuazione delle direttive del Concilio di Trento.
Con l’ingresso nell’epoca medievale, l’antico territorio municipale di Como si venne disgregando da un punto di vista politico, ma si mantenne intatto nella circoscrizione ecclesiastica, anche se non è possibile documentare fino a dove giungesse la giurisdizione spirituale del vescovo di Como in età longobarda. Il reticolo delle chiese battesimali si delineò nel VII e VIII secolo per espansione progressiva. Tra il IX e il X secolo, l’appellativo ecclesia veniva riservato alle chiese battesimali con un loro territorio, le pievi, che dovettero ricalcare almeno in parte la distrettuazione dei più antichi pagi.
Fonti tardo-medievali attestano l’esistenza in Como di un clero decumano la cui presenza, secondo il Bognetti, si spiega in seguito alla composizione dello scisma dei Tre Capitoli. I decumani avrebbero costituito un ordine minore contrapposto a quello del clero maggiore (detto cardinale), che era alla diretta dipendenza dal vescovo. I decumani di Como non dovettero assumere in età longobarda il ruolo e l’importanza dei decumani di Milano, anche se le fonti attestano una loro organizzazione in un istituto corporativo denominato decumania o decimania. Facevano parte del collegio, governato da capi elettivi (ministri o ministrales, oficiales, primicerius) che ne amministravano le rendite, rappresentavano il consorzio e agivano in nome di tutti i membri, i rettori delle più antiche chiese urbane e suburbane (Diocesi di Como 1986).
Ancora all’inizio del regno franco, non è possibile precisare l’organizzazione diocesana periferica. L’epoca feudale, con la sua molteplicità di diritti e di concessioni, non consente di definire la spettanza di un dato territorio a questo o a quel potere. Già con i primi sovrani carolingi le concessioni di diritti di contenuto più o meno pubblico, patrimoniale o ecclesiastico si sovrappongono. Le donazioni ai vescovi e ai monasteri si fanno ancora più cospicue con la dinastia degli Ottoni. Il vescovo di Como ottenne dagli imperatori non pochi privilegi e donazioni nel territorio della sua giurisdizione ecclesiastica: gli furono trasferiti i comitati di Chiavenna e Bellinzona; ottenne diritti e regalie sui mercati di Como e Lugano. La documentazione del IX-X secolo, per quanto frammentaria, permette di ricostruire con sufficiente precisione i possedimenti temporali dei vescovi e dei grandi monasteri anche nell’area lariana, la cui giurisdizione spirituale era già divisa tra i presuli di Como e Milano. Cernobbio e Menaggio furono cedute da Ugo e Lotario nel 939 alla chiesa vescovile di Pavia; la corte di Nesso, sempre dai due sovrani, venne ceduta nel 951 al monastero di Santa Maria del Senatore di Pavia, e allo stesso passò anche la corte di Porlezza; Pianello con il castello di Musso fu concesso quale corte all’abbazia benedettina di San Carpoforo di Como forse da Liutprando; Dervio e Bellano erano già corti dell’arcivescovo di Milano certamente prima del 905; Varenna fu corte della chiesa di Monza fin dai tempi longobardi; Lierna appartenne al monastero di San Dionigi di Milano; Limonta fu donata dal re Lotario nell’835 all’abate del monastero di Sant’Ambrogio di Milano; parte del mandellasco fu dei benedettini di San Pietro di Abbadia, aggregati nell’833 al monastero di San Vincenzo di Milano; Lecco e la Valsassina forse concessi alla chiesa di Milano da Enrico II agli inizi dell’XI secolo.
Con la morte di Attone, conte di Lecco, avvenuta nel 975, la maggior parte dei suoi vasti possessi fu divisa tra i vescovi di Como, Milano e Bergamo. I vescovi infeudarono a loro volta nel contado i distretti rurali delle pievi ai capitanei, scelti tra la piccola nobiltà o tratti da famiglie cittadine; si delineò quindi una nuova feudalità di carattere amministrativo legata ai vescovi. Agli inizi dell’XI secolo, sul Lario si trovavano affacciati i vescovi di Milano e Como, tesi a contendersi tra loro non tanto la giurisdizione spirituale, quanto quella territoriale. In questo periodo si consolidano le anomalie confinarie tra le due diocesi. Sotto il presule milanese infatti erano ormai tutte le pievi dell’oriente lariano, compresa la Valsassina; Mandello rimaneva religiosamente comasca; Porlezza e la Valsolda, probabilmente tolte dall’imperatore Enrico II ai conti del Seprio, passarono al vescovo di Milano con la Valtravaglia, insieme alla castellanza di Varese e di Legnano, con le terre del lago Maggiore e con le valli Blenio e Leventina, mentre lo stesso Enrico II cedeva al vescovo di Como la corte di Barzanò in Brianza.
Solamente con l’epoca comunale il territorio di Como tornò all’integrità e all’estensione che aveva avuto nell’antico ordinamento municipale romano. La circoscrizione ecclesiastica che su di esso si era modellata rimase integra atraverso i secoli del medioevo e la disgregazione compiuta dagli ordinamenti longobardi, franchi e feudali e ritornò a segnare i termini del potere civile rinnovato nell’istituto comunale.
Lo studio dei registri delle rationes decimarum degli anni 1295-1298, permette di ricostruire l’organizzazione ecclesiastica della città di Como. Le rationes non accennano a parrocchie, ma nominano le chiese più importanti (Santa Maria Maggiore, San Fedele, San Giorgio di Vico, San Marco di Vico) e i principali monasteri, e distinguono le chiese di dipendenza vescovile, chiese soggette al capitolo della cattedrale e chiese appartenenti alla pieve di Zezio, che si estendeva agli immediati dintorni della città. La pieve di Zezio era suddivisa a sua volta in quattro circoscrizioni minori, ciascuna delle quali prendeva il nome di una delle porte cittadine; nella pieve di Zezio le rationes nominano dieci chiese in tutto: nel quartiere di porta San Lorenzo le chiese di San Giacomo e di Coliniola, nel quartiere di porta Sala San Nazaro e Sant’Eusebio, nel quartiere di porta Torre San Sisto e San Donnino e nel quartiere di porta Monastero San Benedetto, San Salvatore di Vico, la chiesa di Prestino e San Michele di Cavallasca. Al di fuori della città, il territorio diocesano risultava diviso in ventinove circoscrizioni plebane, cioè Fino, Uggiate, Balerna, Riva San Vitale, Lugano, Agno, Bellinzona, Locarno, Cuvio, Nesso, Intelvi, Isola, Lenno, Bellagio, Mandello, Menaggio, Dongo, Gravedona, Olonio, Samolaco, Chiavenna, Ardenno, Berbenno, Sondrio, Tresivio, Villa, Poschiavo, Mazzo, Bormio. Un caso particolare era costituito da Teglio, soggetta al dominio temporale dell’arcivescovo di Milano, sebbene inserita in un territorio, quello della Valtellina, totalmente soggetto in spiritualibus alla giurisdizione del vescovo di Como. In base ai registri delle rationes non è possibile ricostruire puntualmente l’estensione delle singole pievi, per quanto in territorio montano i confini fossero segnati per la maggior parte da elementi naturali, quali crinali e corsi d’acqua. Le rationes si limitano a indicare l’intitolazione della chiesa plebana e il nome dei canonici, forniscono un elenco non sistematico del clero detentore di benefici e preposto alle cappelle minori nell’ambito della pieve, nonché, in qualche caso, alle fondazioni regolari. Tutte le chiese capopieve hanno titolo e organizzazione di canonica, con un arciprete avente alle sue dipendenze altri sacerdoti. La sola eccezione è costituita da Samolaco, indicata non come canonica ma come ecclesia, sprovvista di arciprete e con un solo cappellano o beneficiale. All’epoca delle rationes, infine, la plebana di Olonio risultava probabilmente abbandonata, o comunque i canonici usufruivano dei benefici di cui erano titolari nelle chiese di Traona, Sorico, Cosio e Colico, e non nell’antica battesimale di Santo Stefano (Perelli Cippo 1976).
Nella prima metà del XV secolo, l’organizzazione eclesiastica dei territori del Lario, della Valtellina e della Valchiavenna cominciò una trasformazione profonda. Agli occhi dei vicari del vescovo Gerardo Landriani, la cura d’anime risultò ancora organizzata sul sistema delle pievi, con le eccezioni rappresentate dal declino dei centri di Olonio e di Samolaco, anche se l’antica organizzazione della cura d’anime imperniata su ampi distretti, ciascuno dei quali facente capo a un collegio di chierici responsabili dell’assistenza religiosa, era in via di essere soppiantata da un reticolo di chiese parrocchiali, organicamente inserite nel tessuto della comunità locali (Visita Landriani 1444-1445, Introduzione).
Il passaggio dal XV al XVI secolo determinò una frattura della situazione politica nelle terre che costituivano la diocesi di Como. Le valli ticinesi, infatti, cedute da Luigi XII di Francia, erano dal 1500 divenute baliaggi elvetici, la Valtellina e i contadi di Bormio e Chiavenna dal 1512 furono soggette al dominio delle Tre Leghe, mentre Como e il suo territorio con il Lario rimasero al ducato milanese.
In Valtellina e nei contadi, favorito dalla tolleranza religiosa dei dominanti Grigioni, si diffuse il movimento evangelico, che si consolidò con la fondazione di comunità riformate in diversi centri, tra cui Chiavenna, Dubino, Caspano, Mello, Regoledo, Morbegno, Sondrio, Teglio. La questione della Valtellina sfociò, come è noto, nella rivolta antigrigione e antiprotestante del 1620. Le aspre contese religiose e politiche in Valtellina si chiusero con la forma del Trattato di Milano il 3 settembre 1639; l’articolo 27 del capitolato sanciva la norma che, nel dominio grigione al di qua delle Alpi, non dovesse essere ammessa altra confessione che la cattolica apostolica romana, pur essendo pienamente riconosciuto il dominio politico delle Tre Leghe su Valtellina e contadi di Bormio e Chiavenna.
Il papato promosse l’esecuzione anche a Como dei decreti tridentini attraverso il Consiglio della Congregazione Tedesca, fondato nel 1568, inviando nunzi nei paesi minacciati dall’eresia. In diocesi di Como si distinse come visitarore apostolico il vescovo di Vercelli Giovanni Francesco Bonomi, il quale riuscì a compiere una visita di tutta la diocesi, compresa la Valtellina, negli anni 1578-1579. Carlo Borromeo arcivescovo di Milano fu visitatore apostolico della pieve di Bellinzona nel novembre-dicembre del 1583. Il presule comasco che presenziò al periodo finale del Concilio di Trento e ne curò l’applicazione in diocesi fu Gian Antonio Volpi, che tenne due sinodi diocesani e curò le congregazioni plebane del clero. Al Volpi successero il domenicano Feliciano Ninguarda e Filippo Archinti, ai quali si devono la redazione di accurati atti di visite pastorali compiute nel territorio diocesano.
Il processo di enucleazione delle parrocchie in tutti i territori componenti la diocesi di Como appare sostanzialmente compiuto all’epoca delle visite pastorali della seconda metà del XVI secolo; fino ai primi decenni del XVII secolo, tuttavia, continuano nuove separazioni di comunità minori dagli originari centri plebani ed erezioni di viceparrocchie e parrocchie. In seguito, di fatto fino alla seconda metà del XIX secolo, le fondazioni di nuove parrocchie si fanno rare.
Nell’opera di riforma cattolica in epoca post-tridentina, si deve al vescovoArchinti la fondazione del seminario di Como (1614), al quale si aggiunse nel 1629 il collegio Gallio e nel 1646 il seminario Benzi. In quel periodo gli alunni comaschi che si impegnavano per la vita clericale studiavano a Como, quelli ticinesi frequentavano il collegio-seminario Papio di Ascona, presso Locarno, mentre i valtellinesi erano ammessi, almeno in parte, con alcuni ticinesi, nel collegio Elvetico di Milano; altri venivano istruiti in scuole locali riunite presso i capopieve principali, con l’obbligo di presentarsi a Como per subire i relativi esami, in conformità alle prescrizioni del visitatore apostolico.
Per quanto riguarda l’organizzazione periferica della diocesi, sulla base territoriale delle antiche pievi, la cui giurisdizione era rimasta inalterata rispetto al tardo medioevo, si venne a sovrapporre, ma non sempre a coincidere, la struttura vicariale, di valenza più marcatamente istituzionale. Sopravvivevano infatti gli antichi collegi canonicali, con residui privilegi e prerogative sui centri minori nei quali si erano venute costituendo le nuove parrocchie, ma spettava ai vicari foranei presiedere le congregazioni dei parroci, e sui parroci gravava pienamente l’onere della cura d’anime.
Dal XVII secolo alla fine del XVIII secolo le parrocchie delle pievi comasche di Valcuvia e Marchirolo, Bormio, Chiavenna, Uggiate, Dongo, Sorico, Gravedona, Menaggio, Mandello, Montronio (Valle Intelvi), Nesso, Fino, Isola (unitamente a Bellagio e Lenno) risultano costituire vicariati foranei (Ecclesiae collegiatae 1651; Ecclesiae collegiatae 1758; Ecclesiae collegiatae 1794). Alla metà del XVII secolo risultavano probabilmente costituiti nella diocesi di Como tre vicariati estesi al territorio dei terzieri valtellinesi. Nel terziere di mezzo della Valtellina erano unite le pievi di Berbenno, Sondrio e Tresivio, quest’ultima indicata unitamente alla pieve di Ponte, ciascuna delle quali corrispondeva a una “congregatio” del clero; nel terziere inferiore della Valtellina erano unite la squadra di Morbegno e la squadra di Traona, la prima delle quali coincideva con una “congregatio” del clero, la seconda con due “congregationes”, con centro rispettivamente a Traona e Ardenno; nel terziere superiore della Valtellina erano unite la pieve di Teglio, la pieve di Villa con il contado di Poschiavo, la pieve di Mazzo, ciascuna delle quali corrispondeva a una “congregatio” del clero. Alla metà del XVIII secolo le pievi valtellinesi erano identificate come vicariati a sè (Ecclesiae collegiatae 1758); ai vicariati corrispondenti alle antiche sedi plebane si era aggiunto nel 1664 Grosio. Nel corso del XVIII secolo vennero istituiti nuovi vicariati: Montagna, Chiuro, Talamona, Sondalo.
Per quanto riguarda i rapporti esterni della diocesi, Benedetto XIV, a istanza dell’imperatrice Maria Teresa e della Repubblica di Venezia, con bolla del 9 gennaio 1751 soppresse il patriarcato di Aquileia, e in suo luogo elevò alla dignità arcivescovile le sedi di Udine, per le diocesi già suffraganee di Aquileia in territorio veneto, e Gorizia, per le diocesi già suffraganee di Aquileia in territorio austriaco. La diocesi di Como pertanto rimase suffraganea dell’arcidiocesi di Gorizia. Alla morte del vescovo di Como Mugiasca (5 gennaio 1789) l’imperatore Giuseppe II, che si era riservato il conferimento dei vescovati e abbazie nella Lombardia austriaca e aveva presentato come nuovo vescovo l’agostiniano Giuseppe Bertieri, dichiarò la sede di Como suffraganea di quella di Milano (Diocesi di Como 1986).
L’assetto territoriale diocesano non ebbe mutamenti fino 1869-1870: il 23 ottobre 1869 venne firmato l’accordo tra il governo del cantone Grigioni e la Santa Sede per il passaggio delle parrocchie di Poschiavo e Brusio dalla diocesi di Como alla diocesi di Coira; l’accordo venne ratificato il 29 agosto 1870 dai delegati del pontefice e della confederazione elvetica (Boldini 1984). Il passaggio delle parrocchie della valle poschiavina alla diocesi di Coira avvenne quasi al termine di un lungo periodo di vacanza della diocesi di Como. Agli esordi dell’episcopato di Pietro Carsana, che prese possesso della diocesi il 6 gennaio 1872, la questione più grave che si presentava sotto l’aspetto giurisdizionale era il divieto da parte delle autorità elvetiche di esercitare qualsiasi giurisdizione ecclesiastica nel cantone Ticino. Ma il mutato orientamento politico del governo ticinese, coinciso con l’inizio del pontificato di Leone XIII, consentì di affrontare la questione religiosa del Ticino, sorta fin dalla nascita della repubblica cantonale. Gli obiettivi erano sanare l’esclusione dei vescovi stranieri decisa unilateralmente dal governo federale (22 luglio 1859) dall’esercizio della propria autorità in territorio svizzero e creare un ordinamento ecclesiastico consono con le leggi elevetiche. Furono predisposte tre convenzioni tra Santa Sede e governo svizzero, firmate nel 1884, e già il 1 agosto 1885 monsignor Eugenio Lachat prendeva possesso dell’amministrazione apostolica eretta per l’intero Ticino, staccato per mutuo consenso dalla diocesi di Como e in parte dalla diocesi di Milano, mentre il 7 dicembre 1888 Leone XIII emetteva la bolla di fondazione, promulgata nel duomo di Lugano il 15 agosto 1889. L’atto pontificio disponeva che l’amministrazione apostolica del cantone Ticino fosse canonicamente unita alla diocesi di Basilea, il cui ordinario avrebbe assunto il titolo di vescovo di Basilea e Lugano: la costituzione elvetica, infatti, non permetteva l’erezione di nuovi vescovadi. Solo una volta espunto il divieto dalla costituzione, l’amministrazione divenne diocesi di Lugano, il 28 febbraio 1971 (Diocesi di Como 1986). Il territorio diocesano comasco passato all’amministrazione apostolica ticinese comprendeva il territorio delle antiche pievi di Agno, Balerna, Bellinzona, Locarno, Lugano, Riva San Vitale.
I decenni compresi tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo videro la nascita nell’intero territorio diocesano di numerose parrocchie o viceparrocchie, sotto la spinta della crescita demografica ma anche di una precisa politica pastorale volta ad assicurare la cura d’anime anche a comunità di ridotte dimensioni. In particolare, con decreto 17 novembre 1886 del vescovo Pietro Carsana venne attribuito il titolo di parrocchiale a numerose chiese della diocesi, i cui rettori erano già a quell'epoca in legittimo possesso ed esercizio dei diritti parrocchiali, ma erano ancora formalmente amovibili "ad nutum episcopi", sebbene l'ordinario avesse rinunciato da tempo all'amovibilità, conferendo ai sacerdoti nominati o presentati alle chiese vicarie la possessione canonica dei diritti parrocchiali (decreto 17 novembre 1886) (Registri protocollo diocesi di Como 1886). La struttura vicariale della diocesi rimase invece sostanzialmente stabile. Nel corso del XIX secolo furono istituiti i nuovi vicariati di Caspano, Prosto, Bianzone, e Lavena; nel corso dei primi decenni del XX secolo i vicariati di Colico, Livigno, Laglio, Lomazzo. Una sostanziale revisione della distrettuazione vicariale si ebbe negli anni ’30 del XX secolo: nel 1932 fu costituito il vicariato di Olgiate, nel 1937 Tremezzo, nel 1938 i vicariati orientale e occidentale della città di Como, Cernobbio, Sorico, Torno, Tavernerio, Alzate, San Fermo della Battaglia, Prosto, Delebio, nel 1942 Novate.
I vicariati foranei storici della diocesi di Como cessarono di esistere solo con la revisione della struttura territoriale della diocesi attuata nel 1968. Con il decreto 29 gennaio 1968 del vescovo Felice Bonomini, mediante il quale vennero abolite le vicarie fino ad allora esistenti, il territorio della diocesi di Como venne infatti diviso in zone pastorali, comprendenti uno o più vicariati foranei di nuova istituzione (decreto 29 gennaio 1968) (Bollettino Ecclesiastico Ufficiale Diocesi di Como 1968). Con il decreto 10 aprile 1984 del vescovo Teresio Ferraroni, al fine di rendere più adeguato e meno oneroso l'adempimento dei compiti assegnati ai vicari foranei, vennero costituiti i nuovi vicari foranei e indicati i raggruppamenti di parrocchie assegnati ai rispettivi vicariati, all’interno delle zone pastorali (decreto 10 aprile 1984) (Bollettino Ecclesiastico Ufficiale Diocesi di Como 1984).
Negli anni del secondo dopoguerra, coincidenti con un generalizzato spopolamento delle comunità montane, vennero attuate numerose unioni aeque principaliter di benefici parrocchiali. Con l’attuazione della normativa sulla revisione del sistema beneficiale (anno 1986) vennero decretate le definitive fusioni o accorpamenti tra parrocchie; i nuovi enti parrocchia nella diocesi di Como furuno costituiti con il decreto vescovile 16 luglio 1986 (decreto 16 luglio 1986) (Bollettino Ecclesiastico Ufficiale Diocesi di Como 1986).

ultima modifica: 19/01/2005

[ Saverio Almini ]