territorio di Como sec. XIV - 1757

In epoca comunale il territorio comasco risultava articolato in circoscrizioni di diversa ampiezza, comprendenti diverse comunità e terre, che prendevano la denominazione di pievi o, più raramente, di squadre. Nelle zone montuose le circoscrizioni venivano in buona parte a coincidere con le valli definite dal complesso sistema orografico prealpino e alpino.
Il termine pieve designava analogamente una circoscrizione ecclesiastica del contado facente capo a una chiesa battesimale, detta chiesa plebana, situata generalmente in un centro abitato di una certa importanza. Nel XII e sempre più nel corso del XIII secolo, in piena età comunale, la pieve, oltre a conservare il carattere di circoscrizione ecclesiastica, assunse gradualmente significato di giurisdizione civile. Quando, anche in area comasca, la città maggiore cominciò a estendere i propri poteri e la propria giurisdizione al di là delle mura cittadine, esercitando un controllo sempre più marcato dell’entroterra, si servì delle circoscrizioni pievane per organizzare le proprie funzioni di amministrazione e di controllo politico, mediante l’esazione dei tributi e dei dazi.
L’antico “municipium” di Como, che dovette subire in epoca medioevale una parziale disgregazione (con l’area cittadina sottoposta ai milanesi e le zone più periferiche organizzate in comitati autonomi, come a esempio Chiavenna, Bellinzona, Lecco, o il territorio tra Varese e Lugano, costituente il comitato del Seprio), tornò alla sua integrità proprio nel periodo di sviluppo dell’istituto comunale. L’elemento di continuità fu essenzialmente lo stabile permanere della circoscrizione ecclesiastica che mantenne fondamentalmente inalterati gli antichi confini e sulla quale si venne a sviluppare il dominio comunale.
Il “municipium” di Como doveva estendersi, in epoca romana imperiale, su tutto il territorio corrispondente alle odierne province di Como e di Sondrio, a una parte di quella di Lecco, oltre che al Canton Ticino: sull’area cioè sulla quale si sviluppò successivamente la diocesi comense.
Dal punto di vista della giurisdizione ecclesiastica solo nelle zone periferiche si ebbero alcune defezioni: la val Bregaglia e la val Mesolcina passarono sotto il vescovo di Coira, mentre i territori delle tre valli di Blenio, Leventina e Riviera furono sottoposte alla giurisdizione spirituale e temporale milanese. Anche Bormio e Poschiavo, terre di confine, tentarono più volte di staccarsi dal dominio comasco per sottomettersi a quello retico. La riviera orientale del Lario e una parte del comitato di Lecco, l’alta Brianza e la Valsassina passarono in gran parte nelle mani dell’arcivescovo di Milano, e fecero in seguito sempre parte del ducato di Milano (Prosdocimi 1939).
Un’immagine precisa sulla consistenza del territorio comasco all’inizio del XIII secolo è fornita dal decreto del podestà di Como, Bertoldo di Hohemburg, che nel 1240 provvide a suddividere il territorio comasco in quattro parti, ognuna delle quali fu attribuita a un quartiere cittadino indicato con la denominazione della sua porta. Al quartiere di porta Monastero vennero attribuite le comunità di Vico e Cernobbio, la castellanza del Baradello, le intere pievi di Gravedona, Dongo, Poschiavo, Villa, Teglio, Riva San Vitale, Porlezza e Valsolda (queste ultime due in precedenza già poste sotto il dominio della chiesa milanese alla quale peraltro in breve sarebbero tornate); al quartiere di porta Sala le pievi di Bellagio, Isola, Nesso “fino a Zeno e Moltrasio compreso”, Bormio, Mazzo, Mendrisio e Balerna, i “concilii” di Rovenna, Piazza, Maslianico “sino alla Brengia”, Brunate, Civiglio, Ponzate e Camnago, il “concilio” di San Martino, Cavallasca e Vergosa; al quartiere di porta Torre le pievi di Menaggio, Lenno, Tresivio, Bellinzona, Criviasca, Agno e Uggiate; al quartiere di porta San Lorenzo e Coloniola le pievi di Chiavenna, Samolaco, Olonio, Intelvi, Sondrio, Berbenno, Ardenno, Lugano e Fino (ripartizione 1240).
Questa ripartizione, confermata nel 1279, suddivideva comunità e pievi senza attenzione alla loro contiguità geografica ma probabilmente con finalità solo fiscali o di natura militare (Prosdocimi 1939).
Verso la metà del XIII secolo, Como raggiunse il massimo della sua azione unificatrice e organizzatrice su tutto il territorio dell’“episcopatus”. Il comune cittadino rivestiva pienamente il carattere di organismo statale anche se, in alcuni casi, si sovrapponeva ad altri organismi pubblici e autonomi più o meno vasti.
Il territorio della “provincia” comasca si presentava come una vasta aggregazione di pievi e di terre. Oltre ai “castra” e alle antiche sedi di comitati come Chiavenna, Bellinzona, Bormio, esistevano i “burgi” (di solito capi pieve, centri del “commune burgi” formato dalle rappresentanze delle comunità minori), “loci” e “ville” che disponevano di un loro più o meno sviluppato ordinamento comunitativo. Talvolta le pievi erano comprese in formazioni più ampie, di antica tradizione per i territori alpini, quali le valli, i terzieri, le “cinquantene” e le “centene”. Sopra queste varie forme associative esercitava il proprio dominio Como con il suo comune. Già dagli statuti del 1281 e del 1292 (Ceruti 1876), e successivamente in quelli del 1335, è possibile individuare quali fossero i modi di espressione di tale potere.
Como aveva il diritto di approvazione e di conferma degli statuti delle singole comunità ed esercitava la giurisdizione esclusiva in materia criminale. Per le cause civile, a partire già dal 1198, il territorio era invece stato diviso in tre zone: mentre le comunità fino ad Argegno e Nesso erano del tutto soggette alla giurisdizione dei consoli di Como, quelle tra questi due luoghi e Lugano, Mezzola, Olonio, dipendevano da Como per le cause superiori ai sette soldi, mentre le terre al di là di quella linea ideale ne dipendevano per le cause oltre i dieci soldi, liberi in ogni caso i giudici locali di esercitare la giurisdizione volontaria o di conciliazione. Gli appelli spettavano sempre a Como (Prosdocimi 1939).
Con la fine del periodo comunale e il passaggio della città di Como sotto la signoria milanese (1335), i tentativi da parte delle terre del distretto di riaffermare la loro autonomia di fronte a Como, si fecero sempre più forti, anche in considerazione della politica dei Visconti che tendeva a rafforzare le spinte autonomistiche manifestatesi nell’ultimo periodo comunale (Prosdocimi 1939)).
Così, già intorno al 1370, per un breve periodo, la Valtellina ottenne dal duca Galeazzo II il “mero e misto imperio” e il godimento dei dazi e delle entrate oltre che la diretta subordinazione alla sua camera.
Analogamente, dopo la pace tra Loterio Rusca e il duca Filippo Maria, nel 1416 quest’ultimo cedette al primo la valle di Lugano, le pievi di San Vitale e di Balerna, Mendrisio, Luino, la Valtravaglia, Osteno, Cima, Valintelvi, i castelli di Morcote, Codelago, Sonvico, San Pietro, la torre d’Olonio e tutta la valle di Chiavenna (Cantù 1856). Il potere del podestà di Como si ridusse, in questi luoghi, sino a essere quasi nullo specialmente nei confronti dei capitani di Lugano, nominati direttamente dai Rusca, che si ritennero totalmente indipendenti da Como. Per quanto riguarda Chiavenna, dopo essere tornata nel 1419 sotto il dominio comasco, ottenne nel 1422 un privilegio ducale di esenzione dalla giurisdizione del podestà e del comune di Como (Prosdocimi 1939; Cantù 1856).
Dalla concessione di forme di autonomia più o meno accentuate si passò in seguito a vere e proprie separazioni dal territorio comasco: la pressione svizzera portò nel 1516 alla conquista, da parte degli stati confederati elvetici, del contado di Bellinzona, della pieve di Locarno e di tutto il Sottoceneri (a eccezione del feudo di Campione, da sempre possesso del monastero di Sant’Ambrogio di Milano), mentre già dal 1513 erano stati occupati dal libero stato delle tre leghe i territori della Valtellina e i contadi di Bormio e di Chiavenna (Prosdocimi 1939; Cantù 1856).
Anche nelle terre più vicine alla città, cioè le comunità del lago, quelle delle valle Intelvi e quelle verso la pianura milanese, vi furono sin dall’epoca di Gian Galeazzo Visconti alcuni tentativi, peraltro più moderati, per giungere a forme di amministrazione indipendente dalla città.
Questa tendenza si manifestò in modo più deciso da parte delle comunità del lago che tradizionalmente avevano costituito centri di opposizione a Como: Gravedona e Isola in particolare. Queste terre sin dal 1420, grazie all’appoggio dell’autorità ducale e tramite la costituzione di organismi “superplebani” convocati di norma dal “capitano del lago”, avevano cercato di contrapporsi alla città, discutendo con essa la ripartizione dei carichi e delle contribuzioni (Prosdocimi 1939). Le forme di parziale autonomia vennero ampliate nel 1452 con la concessione al capitano del lago di una parte della giurisdizione civile, oltre che di quella criminale.
A partire poi dal 1532, con decreto di Francesco II Sforza, la parte superiore del lago (le cosiddette tre pievi) ottennero di essere totalmente separate dalla città andando a costituire il primo nucleo di quello che sarebbe diventato il contado di Como (separazione tre pievi 1532).
La posizione delle comunità del lago si presentava in ogni caso diversa rispetto alle terre più periferiche del territorio comasco: con la Val d’Intelvi e con le pievi inferiori, le terre lacuali formavano infatti il naturale bacino economico della città e pertanto, più che alla separazione, miravano a partecipare attivamente all’amministrazione finanziaria in sede locale, in modo da poter difendere i propri interessi contro la tendenza della città a scaricare su di loro i maggiori oneri (Prosdocimi 1939).
Nel corso del XVI secolo, quando lo stato di Milano passò sotto il diretto dominio imperiale, l’irrazionalità del sistema fiscale fu avvertita in tutta la sua gravità. Nel 1543 Carlo V ordinò al governatore di Milano di compilare un nuovo estimo di tutto lo stato, punto di partenza indispensabile per porre in atto una generale e sistematica riforma del settore tributario. Nello stesso anno in cui fu ordinato il nuovo estimo, le città capoluogo delle province dello stato nominarono alcuni rappresentanti, gli oratori, incaricandoli di promuovere riunioni nella capitale e di far valere le proprie argomentazioni in merito al riparto delle imposte. Nell’attesa del nuovo estimo fu necessario procedere a un “riparto provisionale”, assegnando quote di imposta alle diverse province e lasciando alle amministrazioni locali il compito di fare il sottoriparto fra città e contadi, fra le varie comunità e i singoli contribuenti. Questa soluzione rese più violento lo scontro tra le maggiori parti in causa: le città protestavano contro Milano e i contadi erano in contrasto con le città. Fu proprio in questa situazione che, negli anni sessanta del XVI secolo, i contadi nominarono propri sindaci generali, accanto agli oratori, dando insieme origine alla congregazione dello stato. Entro lo stato, negli stessi anni, ogni provincia si organizzò a sua volta per la ripartizione dei carichi fiscali e militari (Pugliese 1924).
Nel caso comasco rimasero escluse dal contado tutte le comunità rurali del territorio civile che faceva capo alla città di Como e quelle della valle Intelvi che costituiva una terra separata. Tra la seconda metà del XVI secolo e gli inizi del XVII si venne così a formare intorno alla città di Como una “provincia” articolata in tre diverse entità territoriali autonome dal punto di vista fiscale e amministrativo: la città con il suo territorio, il contado con il proprio capoluogo a Gravedona e la val d’Intelvi.
Nella “relatione di tutte le terre dello stato di Milano” risalente al 1644 la “provincia” comasca risultava articolata nelle tre entità territoriali della città e suo territorio, contado e val d’Intelvi. A esclusione di quest’ultima, organizzata secondo il modello amministrativo tipico della comunità di valle, il territorio della città e il contado risultavano essere organizzati secondo le seguenti circoscrizioni: alla città facevano capo i “borghi” e i corpi santi esterni alla città murata, le “cinque terre” e le tre pievi di Zezio, Fino e Uggiate. Il contado a sua volta risultava diviso in dieci circoscrizioni, le pievi di Sorico, Gravedona, Dongo, Menaggio, Bellagio, Lenno, Isola, Nesso, la squadra di Rezzonico e i “cinque comuni della Mezena” (relazione Opizzone 1644).
L’articolazione della provincia comasca si consolidò al punto tale che, anche dopo la riforma operata in epoca teresiana, la tripartizione del territorio venne mantenuta e, tramite la riforma dei relativi organi, consolidata.
La riorganizzazione amministrativa del territorio comasco venne attuata con l’editto 19 giugno 1756 con il quale venne pubblicata la “riforma al governo della città e contado di Como” (editto 19 giugno 1756).
Oltre a ridefinire i confini dei cosiddetti “corpi santi” della città e a provvedere ad alcuni spostamenti di comunità tra una pieve e l’altra, tale riforma istituì la nuova pieve di Zezio superiore, costituita dai comuni già appartenenti alle cinque terre unite alla città (Moltrasio, Urio, Torno, Piazza e Rovenna), dai comuni di Maslianico e Blevio (staccati dalla pieve di Nesso), e dai comuni di Cernobbio e Brunate.
La riorganizzazione complessiva della Lombardia austriaca si concretizzò con l’editto 10 giugno 1757, quando fu pubblicato il nuovo compartimento territoriale dello stato (editto 10 giugno 1757). Nella compartimentazione del 1757 il territorio comasco, come peraltro già nella riforma del 1756, risultava distinto nei tre compartimenti della città e suo territorio, del contado e della valle Intelvi. A esclusione di quest’ultima, costituita dalle solite comunità, sia il compartimento del contado che il territorio civile della città erano a loro volta articolati in pievi: il contado risultava composto dalle pievi di Bellagio, Dongo, Gravedona, Isola, Lenno, Menaggio, Nesso, Sorico e dalla Squadra di Rezzonico; il territorio civile della città era invece composto dai borghi e corpi santi della città, e dalle pievi di Fino, Uggiate, Zezio superiore e Zezio inferiore.

ultima modifica: 11/01/2006

[ Domenico Quartieri ]