comune di Crema sec. XII - 1797

Castello fondato e controllato dalla famiglia comitale dei Giselbertini alla fine dell’XI secolo; poi libero comune, inserito negli anni trenta del Trecento nello stato territoriale dei Visconti, per breve tempo, dal 1403 al 1414, autonomo sotto la signoria dei Benzoni che si estendeva anche su Pandino, nel 1423 (28 gennaio) Crema ritornò ai Visconti fino al 1449 (16 settembre), quando divenne parte della Repubblica di Venezia. Rimarrà sotto il dominio veneto fino al 1797, ad eccezione dell’occupazione francese negli anni 1509-1512, durante le guerre d’Italia (Albini 1988; Albini 1988/1; Sforza – Benvenuti 1859).
Da castrum Crema si traforma in età moderna in città, assumendone tutte le caratteristiche e prerogative, nonostante non sia stata fino al 1580 sede vescovile. Ed è proprio la mancanza della sede episcopale che impedisce a Crema fino alla data citata di fregiarsi del titolo di città, anche se a metà Quattrocento il doge Francesco Foscari la erigeva a città “per quantum ad temporale spectat” (Albini 1988).
Il locus di Crema viene nominato per la prima volta nel 1082, ma solo nel 1084 è definito castrum, segno della avvenuta costruzione di una cerchia difensiva da parte dei conti Giselbertini, famiglia comitale bergamasca, che in questo periodo esercitava la propria giurisdizione sulla zona, contrastata dal vescovo di Cremona, che tendeva ad estendere verso nord la propria influenza. Fin da principio Crema dovette quindi lottare con Cremona per difendere la propria autonomia. Dalla fine dell’XI secolo compare nelle fonti il termine populus cremasco che indica una realtà socialmente più composita di una semplice comunità di villaggio (Albini 1988).
Tra la fine dell’XI secolo e i primi anni del XII si assiste ad un massiccio movimento di immigrazione che proveniva dalle immediate vicinanze del castrum, dalla zona tra Bergamo e Cremona (soprattutto dalle località che più tardi sarebbero appartenute alla Ghiara d’Adda), dal Bergamasco e da Milano, Mantova e Brescia e che interessò persone appartenti a gruppi sociali assai diversi, tra le quali numerosi elementi della feudalità del vescovo cremonese; si verificò probabilmente una sorta di secessione della curia del vescovo sostenuta dall’appoggio milanese (Menant 1988).
Tra XII e XIII secolo Crema muta la sua struttura originaria di castrum signorile e, organizzandosi secondo modelli cittadini, costituisce un proprio contado. Si trattò di una trasformazione molto contrastata soprattutto da parte cremonese; si concluse tuttavia con il rafforzamento di Crema che entrò a far parte del dominio visconteo in una condizione di consolidata autonomia del centro urbano. L’esistenza del comune di Crema è attestata con certezza dal 1146, quando per la prima volta sono nominati i consoli, menzionati nuovamente nel 1151; in ambedue gli atti risultano presenti i conti di Crema, che nel 1151 compaiono addirittura come consoli.
Nel 1160, nel periodo delle lotte fra Federico I e i comuni lombardi, Crema fu distrutta dalle truppe imperiali: Crema infatti alleata di Milano aveva tentato di sottrarsi alla giurisdizione di Cremona alleata dell’imperatore. Cremona fondava le sue pretese sulla appartenenza del territorio cremasco alla diocesi cremonese e sulla investitura che la chiesa e la città di Cremona avevano ottenuto nel 1098 nomine beneficii da parte di Matilde di Canossa sul comitato dell’Insula Fulcherii, circoscrizione dalle incerte origini e dai confini fluttuanti che comprendeva la parte di quello che sarebbe divenuto il territorio cremasco compreso tra i fiumi Adda e Serio e limitato da Pontirolo, a pochi chilometri da Bergamo, a nord, e da Pizzighettone a sud.
Nel 1185 i milanesi ottennero dall’imperatore la promessa della ricostruzione di Crema, che avvenne nello stesso anno, e nel 1186 Federico I imponeva ai Cremonesi di rinunciare ai privilegi su Crema e sull’Isola Fulcheria. Nel 1192 tuttavia Enrico VI riconobbe a Cremona, dietro pagamento di 3000 lire imperiali, la giurisdizione su Crema e su tutto il suo territorio comprendente non solo le località dell’Isola Fulcheria, ma tutti quei luoghi che anche successivamente avrebbero costituito il territorio cremasco. Il privilegio fu più volte confermato dagli imperatori Enrico VI e Federico II fino al diploma del 1226, anche se Crema nel corso del Duecento si sganciò sempre più dalla tutela cremonese e, ponendosi direttamente sotto la tutela imperiale, riacquistò l’autonomia e la piena giurisdizione sul suo territorio (Albini 1988). Nel 1192 abbiamo la prima menzione dei podestà cremaschi, mentre dal 1202 è attestata la presenza di un podestà forestiero; agli stessi anni risale quell’organizzazione in viciniae che, data la mancanza di un forte potere ecclesiastico e la presenza di famiglie importanti, alcune delle quali di antica tradizione feudale, presero il nome dai gruppi parentali invece che dalle chiese cittadine (Albini 1974). Nel XIII secolo è testimoniata l’esistenza dei comuni delle porte che rimasero operanti ancora in pieno Trecento e successivamente (Albini 1988; Storti Storchi 1988).
Dopo un lungo periodo di esperienze politiche diverse durante il quale Crema entrò a far parte di dominazioni signorili di carattere sovracittadino (come ad esempio quella di Oberto Pallavicino e Buoso da Dovara) il comune passò sotto il dominio visconteo con il territorio “conquistato” nei secoli precedenti. In questo periodo le forze locali, sostenuti nella loro azione dagli ufficiali viscontei, ridefinirono le competenze dei privati e dei comuni rurali nella manutenzione di strade e ponti e moltiplicarono gli interventi sul territorio attraverso opere di canalizazzione e regolamentazione delle acque (Albini 1974; Albini 1988).
Nel periodo di crisi dello stato visconteo seguito alla morte di Giangaleazzo, avvenuta nel 1402, si affermò in Crema la signoria di Benzoni, famiglia guelfa presente in Crema dalla fine del XII secolo, durata fino al 1423, quando i Visconti ripresero il potere, cacciando i Benzoni che si rifugiarono in Veneto. Il 16 settembre del 1449 Crema fu conquistata dall’esercito veneziano, aiutato dai Cremaschi fuoriusciti. Pochi giorni dopo, il 20 settembre 1449, furono stipulati tra il provveditore veneto, Andrea Dandolo, e i rappresentanti della comunità i patti di dedizione, in parte modificati dal doge il 4 marzo 1450. Crema ottenne subito il riconoscimento del mero e misto imperio, nel rispetto e nell’osservanza degli statuti e degli ordinamenti locali; la giurisdizione sul territorio che comprendeva una quarantina di ville; la facoltà del consiglio generale di nominare al proprio interno gli ufficiali locali; esenzioni fiscali, benchè temporanee, e una certa capacità di autogestione fiscale, con la possibilità di imporre a proprio vantaggio aggiunte ai dazi e ai pedaggi. Con le modifiche del marzo 1450 il doge riconobbe inoltre a Crema l’autorizzazione a istituire il collegio dei giuristi e il medesimo trattamento riservato a Brescia nella giurisdizione civile sia principale, sia d’appello. I patti di dedizione sembrano quindi riconoscere a Crema un ruolo di indiscusso predominio su un territorio di discrete dimensioni e il riconoscimento di autonomie e privilegi notevoli. Più di un elemento può contribuire a spiegare il trattamento di favore riservato da Venezia, ma determinante fu sicuramente la posizione di notevole importanza strategica del territorio cremasco posto ai confini delle Repubblica, a pochi chilometri da Milano. (Albini 1988)
Con l’inizio della dominazione veneta, succeduta ai Visconti e alla breve signoria locale dei Benzoni, si decise di procedere ad un generale riordinamento istituzionale e legislativo: il 4 gennaio 1450 il consiglio generale deliberò di provvedere alla riforma degli statuti. Durante il periodo visconteo principale organo di governo cittadino era il consiglio generale; le principali cariche locali, podestà, giudice ai malefici, giudice alle esecuzioni, referendario, erano nominate dai signori, mentre gli uffici minori erano affidati a cittadini eletti dal consiglio generale alla presenza del podestà. Dopo il 1449 massimo organo di governo continuò ad essere il consiglio generale accanto al quale operava il consiglio minore. Gli ufficiali di nomina signorile rimasero tali, anche dopo l’avvento del dominio veneto, mentre per quanto riguarda gli ufficiali di nomina consiliare furono introdotte alcune modifiche. Fu subito proposta la riforma dell’ufficio dei rationatores che furono poi aboliti dagli statuti di fine 400 e si deliberò l’introduzione di nuovi capitoli relativi ai dazi; nel 1450, prendendo a modello lo statuto promulgato a Verona l’11 ottobre 1450, fu introdotto l’ufficio del registro degli instrumenti notarili; fu isitituito il collegio dei notai e l’ufficio del collaterale che doveva occuparsi principalmente del commercio delle vettovaglie, dei pesi, delle misure e della pulizia delle strade. Nel 1450 il consiglio decise di eleggere un giurista “in sindicatorem et autmentatorem comunis Creme”, con l’incarico di recuperare beni e cose del comune, trattenuti indebitamente nella città e nel distretto non solo da privati ed estranei, ma anche da ufficiali pubblici: tale figura istituzionale divenne nello statuto del 1483 l’ufficio dei sindaci provisores et deffensores del comune. Nel 1453 i membri del consiglio generale, principale organo di governo cittadino, su sollecitazione di Venezia passarono da cento a sessanta membri, nominati dalla Dominante su designazione del podestà. Dagli statuti approvati il 12 luglio 1483 dal consiglio veneziano dei Rogadi infine fu confermata la magistratura, già esistente nel XIV secolo, dei tre deputati all’osservanza degli statuti, cioè al controllo della corretta applicazione degli statuti da parte di ufficiali e funzionari (Storti Storchi 1988).

ultima modifica: 27/10/2002

[ Valeria Leoni ]