comune di Consonno sec. XIV - 1757

Comune del Monte di Brianza, appartenne alla pieve di Garlate.
Il toponimo è citato in una pergamena del maggio 1085: Albenga figlia del quondam Alberto “de loco Cussonno”, con Andrea del fu Giovanni, iugali, possedevano alcune vigne in Vimaggiore, pieve di Decimo (ASMi, Museo Dipl., n. 913).
Consonno fu possesso del monastero benedettino di Civate, e allo stesso riconfermato con diploma dell’imperatore Federico I nel 1162, con il quale erano interdetti a tutti ogni ingerenza e potestà sulle cose e sugli uomini dell’abbazia (Bognetti, Marcora 1957).
Negli statuti delle strade e delle acque del contado di Milano era compreso, nella pieve di Garlate, come “el locho da Consono o Sansono” (Stella, Farina 1992).
Nel 1412 il comune di Consonno, per mezzo di procuratori, prestò giuramento di fedeltà a Filippo Maria Visconti, che aveva riconfermato alla “Martesana superiore” (Monte di Brianza) le esenzioni fiscali già accordate da Bernabò nel 1373 e da Giangaleazzo Visconti nel 1385 ai “loca et cassine Montis Brianze” (Cazzani 1979).
In un prospetto comprendente tutte “le terre del ducato di Milano et altre con esse tassate per le stara di sale”, risalente al 1572 (Terre Ducato di Milano, 1572), era compresa anche Consonno.
Dalle risposte fornite nel 1751 ai 45 quesiti della real giunta del censimento, si desume che a quel tempo la comunità di Consonno, compresa nella pieve di Garlate – già infeudata con le comunità delle pievi di Garlate e Oggiono nel 1538 a Giovanni Agostino d’Adda (Casanova 1904) – non era infeudata, “per essere la più parte soggetta al commendatario abbaziale cardinale Millini”; non vi risiedeva iusdicente nè regio nè feudale; la comunità era sottoposta al regio officio della Martesana, presso la cui banca criminale il console era solito prestare giuramento.
Per quanto riguarda gli organi e gli aspetti della vita amministrativa, la comunità, che aveva allora 115 abitanti “collettabili” e 27 “non collettabili”, non aveva consiglio, ma in “occasione di qualche occorrenze”, ricorreva ai compadroni, affinché dessero “quelle dovute provvidenze”; le scritture pubbliche restavano presso il console “sotto chiave in casa sua”, con salario di lire 13 annue; l’esattore veniva eletto e si poteva confermare, con l’obbligo di pagare con propri denari anticipatamente la diaria, l’imbottato e tutte le spese locali (Risposte ai 45 quesiti, 1751, Consonno).

ultima modifica: 12/06/2006

[ Saverio Almini ]