senato 1499 - 1771

Istituito nel 1499 dal re di Francia, Luigi XII, signore di Milano, sul modello dei parlamenti francesi, il Senato era composto da diciassette membri – due prelati, quattro militi, undici togati – e si vedeva attribuita una giurisdizione inappellabile nelle cause civili e criminali, economiche, fiscali ed ecclesiastiche.
Con il ritorno dello Sforza tale organo venne mantenuto e lievemente modificato: il duca infatti nel 1522 aumentò considerevolmente il numero dei suoi componenti, portandoli da 17 a 27: cinque prelati, nove cavalieri, tredici giureconsulti.
Tuttavia l’ordinamento sforzesco ebbe breve durata poiché, nel gennaio del 1527, gli eserciti francesi occuparono nuovamente il Milanese e Carlo il Borbone, luogotenente e capitano generale d’Italia, dispose che il Senato dovesse ritornare ad essere composto da diciassette membri – cinque militi e dodici giureconsulti – ribadendone la suprema giurisdizione criminale, già confermata nel precedente editto del 1499 del re Luigi XII.
Le competenze e l’autorità del Senato vennero notevolmente ampliate in età spagnola: le Novae Constitutiones, la cui compilazione venne iniziata da giuristi lombardi durante il governo dell’ultimo duca Sforza ma terminata solo nel 1541 per volontà dell’imperatore Carlo V, ne codificarono infatti dettagliatamente composizione, competenze, poteri, autorità (Pugliese 1924).
Punto di raccordo tra il patriziato lombardo – principalmente milanese – e il governo di Madrid, il Senato era composto da quindici membri – un presidente e 14 senatori – tutti patrizi “de gran literaratura y prudencia”, con un’età minima di trent’anni. Nominati a vita tali senatori, titolari di ampie immunità e privilegi, in caso di morte o di perenne impedimento venivano rinnovati attraverso un processo di cooptazione: i senatori in carica sceglievano una terna di nomi per ogni senatore da sostituire, terna che doveva essere sottoposta al vaglio del sovrano. Solo il presidente – membro di diritto della Giunta Interina e del Consiglio segreto – doveva essere nominato direttamente da Madrid.
Le Novae Constitutiones ribadivano inoltre che almeno tre dei quindici senatori dovessero essere di “nazionalità” spagnola, disposizione che suscitò nel corso dei secoli non pochi attriti tra il patriziato lombardo e la nobiltà castigliana (Signorotto 1996). Con la progressiva “chiusura” sociale che, a partire dalla fine del Cinquecento, andò escludendo dalle magistrature urbane tutti coloro che avessero praticato direttamente o indirettamente “le arti vili”, l’accesso alla carriera politica divenne esclusiva prerogativa del patriziato, i cui membri erano scrupolosamente filtrati dal Collegio dei giureconsulti. E proprio da questa ristretta cerchia la corona di Spagna andò via via, nel corso del dei secoli, scegliendo i togati destinati ai seggi senatorii.
La nomina dei candidati destinati a ricoprire incarichi chiave quali appunto quello di senatore rappresentò sempre un nodo centrale nel rapporto tra Milano e Madrid. Conscia di non poter accrescere né tanto meno imporre il proprio potere di controllo sul Senato – la distribuzione dei seggi rimaneva sotto la stretta vigilanza del patriziato lombardo ed ancor più milanese; tre senatori spagnoli su quindici non erano sufficienti a consentire una forte influenza sulle decisioni; la terna dei nomi che veniva sottoposta al vaglio del sovrano era designata dal Senato, o più precisamente dal potente Collegio dei giureconsulti, artefice principale del disegno di preservazione dell’assetto oligarchico – Madrid per fare gli interessi della monarchia ed al contempo domare l’aristocrazia provinciale, ricorse infatti alla cooptazione degli esponenti di spicco delle élite lombarde e soprattutto milanesi. Meccanismo che fu evidentissimo per la nomina delle più alte cariche dello stato, quali appunto la presidenza del Senato e dei due magistrati, e che si rivelò alquanto efficace anche per diversi altri offici politici di significativa importanza. Il processo di cooptazione consentendo ai tribunali la prerogativa di avanzare candidature “interne” consentiva a sua volta alla Corona di favorire l’ascesa di personaggi e famiglie “fedeli e confidenti” (Signorotto 1996, p. 115-116).
Il Senato era il più alto tribunale dello stato, in materia civile e penale: in materia civile, erano di sua competenza le controversie di grande rilievo, cioè eccedenti l’ammontare di mille scudi d’oro di interesse annuo; si trattava principalmente di cause dibattute tra grandi feudatari o tra feudatari ed il regio fisco.
In materia criminale il Senato era chiamato a giudicare tutti i reati che comportassero la pena capitale. In sede di appello il Senato era in potere di rivedere le sentenze emesse dal Capitano di giustizia, dai Collaterali, dai Magistrati ordinario e straordinario, dai prefetti dell’Annona e del Sale, “ad eccezione di quei giudicati che avevano come oggetto somme dovute al Regio fisco ed alla Camera, contro i quali non era possibile appellarsi – salvo occasionalmente davanti ai membri togati del Consiglio segreto (Pugliese 1924, p. 113). Nelle cause penali il Senato giudicava inoltre in seconda istanza sopra le sentenze emanate dai giudici ordinari e feudali. E infine alle sentenze da lui emesse non si poteva ricorrere in appello, salvo il caso in cui il ricorrente potesse depositare come garanzia una somma pari a duecento scudi d’oro: deposito che “generalmente andavano perduti, poiché difficilmente il Senato modificava le sue prime decisioni” (Pugliese 1924, p. 113).
Ma ancora al Senato le Novae Constitutiones delegavano la vigilanza sopra tutti gli ufficiali di giustizia. Esso infatti poteva punire e togliere la carica a tutti gli officiali con competenze giudiziarie, ad eccezione dei questori dei magistrati ordinario e straordinario, dei prefetti dell’Annona, dei collaterali, dei vicari generali e dei fiscali generali; il Senato inoltre era autorizzato a sindacare l’operato di tutti i giudici al termine del loro incarico.
Tra le attribuzioni riconosciute al Senato rientravano anche la facoltà di concedere ai “privati cittadini” abilitazioni, proroghe, modificando anche all’occorrenza i principi generali del diritto e sentenze date in precedenza; e la competenza di approvare e confermare le lettere regie in materia di donazioni, remissioni, indulgenze, privilegi, grazie, tanto in materia civile che criminale; oltre alla facoltà di poter sospendere e revocare quanto sopra elencato (Petronio 1972; Petronio 1978).
Ma la più importante delle attribuzioni riconosciute al Senato era il diritto di interinazione delle leggi, cioè la possibilità di confermare le disposizioni ordinate dal potere regio. e di opporsi all’applicazione di ordini del re o del suo rappresentante, qualora risultassero contrastanti con le leggi fondamentali dello stato.
Al Senato veniva inoltre delegato il diritto di nominare e sorvegliare i membri di diverse magistrature cittadine e statali e di controllare direttamente la vita amministrativa delle maggiori città dello stato: nominava il prefetto di sanità, previa approvazione del governatore; sorvegliava l’attività dell’università di Pavia; stabiliva che due senatori dovessero ricoprire la carica di podestà della città di Cremona e Pavia, seconde per importanza a Milano. E ancora affidava ad un altro senatore la presidenza dell’ufficio della Mezza Annata; alcuni senatori, tra cui il presidente, erano infine reggenti nel Consiglio supremo.
Al Senato veniva inoltre affidata la gestione dei rapporti con gli ecclesiastici in ambito giurisdizionale ed i rapporti con i principi confinanti.
Infine il Senato si ergeva a custode e interprete delle leggi dello stato, “un ruolo di grande peso, dato che la tradizione, in questo campo, contava almeno quanto la codificazione scritta” (Signorotto 1996, p. 107-108).
Le numerose contese ed i frequenti interventi sovrani a difesa delle competenze dei tribunali lesi, che nel corso dei secoli si andarono “tessendo”, soprattutto per questioni di natura giurisdizionale, tra il Senato ed i più importanti rappresentanti del potere centrale – primo fra tutti il gran cancelliere – testimoniano il prestigio e il potere di questo organo (Annoni 1959; Annoni 1966; Arese 1970; Bendiscioli 1957 a; Bendiscioli 1957 b; Capra, Sella 1984; Petronio 1972; Petronio 1978; Pugliese 1924; Signorotto 1996; Visconti 1913).
Il Senato “questo corpo rispettabile per la ruggine dell’età, che aveva introdotto il dispotismo nel santuario della Giustizia, vantandosi di giudicare tamquam Deus” (Pugliese 1924, p. 115), venne spogliato di gran parte delle sue attribuzioni nel 1771 – in seguito alla seconda ondata riformatrice iniziata dal governo austriaco all’indomani della conclusione della guerra dei Sette anni – e venne definitivamente soppresso nel 1786 per volontà del sovrano riformato Giuseppe II (Annoni 1966; Arese 1970; Arese 1979-1980; Petonio 1972; Petronio 1978; Pugliese 1924; Signorotto 1996; Visconti 1913).

ultima modifica: 29/05/2006

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