congregazione dello stato 1561 - 1786

Nel 1535, quando lo stato di Milano passò sotto il dominio di Carlo V, l’ordinamento che inquadrava l’organizzazione della Lombardia era ancora quello dello “stato cittadino”, fondato sulla netta distinzione tra città e contado e soprattutto caratterizzato dal predominio dei cittadini, titolari di estesi privilegi in materia giurisdizionale, tributaria ed economica, sui rurali.
Una relazione stesa verso la metà del XVIII secolo – “Risposta della Città di Milano al progetto dei Sindaci generali del Ducato, sul punto del nuovo sistema di amministrazione” (Relazione città di Milano, 1756) – fornisce significative notizie circa “l’antico sistema con cui venivano governate le città colle loro respettive provincie” nel periodo Comunale e via via, nei momenti successivi della Signoria, del Principato, sino al periodo della dominazione spagnola.
La relazione sottolinea la posizione di supremazia che attraverso i tempi ed il mutare della situazione politica le città dello stato milanese mantennero nei confronti delle campagne. Milano godeva inoltre di una posizione del tutto particolare tra le città lombarde: nel processo di formazione dello stato avvenuto attraverso la successiva aggregazione delle altre città con i rispettivi contadi, durante la signoria dei Visconti e degli Sforza, la città milanese aveva mantenuto una posizione egemonica, tenacemente difesa anche in seguito, che le aveva assicurato il ruolo di città dominante.
La supremazia delle città sulle campagne, ed ancor più la posizione preferenziale di Milano nei confronti delle città periferiche e naturalmente del suo Contado, si tradussero soprattutto in campo tributario, in una ripartizione degli oneri che privilegiava la capitale dello stato ed i suoi ceti patrizi cittadini. In questa prospettiva si spiega come e per quale motivo si facesse una distinzione tra beni civili, cioè terre ed immobili posseduti da cittadini, e beni rurali che, appartenendo agli abitanti dei contadi, venivano più pesantemente vessati fiscalmente.
L’irrazionalità di questo sistema fiscale che gravava sproporzionatamente sui ceti meno abbienti furono avvertite in tutta la loro gravità soprattutto quando lo stato cadde, nel 1535, sotto il dominio imperiale. Divenuto una provincia del vasto impero di Carlo V, esso fu coinvolto nella politica di potenza condotta dall’imperatore prima e dal re di Spagna poi, e dovette contribuire al sovvenzionamento dello sforzo bellico che prima l’impero e poi la Spagna andarono conducendo sui vari fronti europei.
L’inasprimento fiscale che questa politica di potenza comportò rese ancora più evidenti le “disfunzioni” del sistema tributario, ingigantendone gli effetti negativi, tanto che lo stesso governo centrale giudicò opportuno procedere ad una sua organica revisione. Nel 1543 Carlo V ordinò al governatore di Milano di compilare un nuovo estimo di tutto lo stato, punto di partenza indispensabile per procedere ad una generale e sistematica riforma del settore tributario.
L’iniziativa del governo generò, come è ovvio, inquietudini e preoccupazioni nei ceti fino ad allora privilegiati e mise in allarme soprattutto le città, che vollero tutelare i propri interessi sia di fronte al neo governo spagnolo sia di fronte a Milano.
Nello stesso anno in cui fu ordinato il nuovo estimo, le città minori dello stato nominarono alcuni rappresentanti incaricandoli di promuovere, nella capitale, riunioni e di far valere le proprie ragioni in merito al riparto delle imposte: fu il primo nucleo della Congregazione dello stato.
Nata come reazione delle città dello stato alla compilazione del nuovo estimo la Congregazione dello stato fu inizialmente composta dai solo rappresentanti delle città lombarde: gli oratori.
Nessuna normativa guidò nei primi decenni di attività l’operato degli oratori, eletti dagli organi consiliari delle singole città, residenti in Milano, ed incaricati appunto di curare sia gli interessi di coloro che erano chiamati a rappresentare sia gli eventuali interessi comuni a tutte le città dello stato. Trascorsi alcuni decenni dalla nascita dell’organismo la città di Milano preferì tuttavia farsi rappresentare non da oratori eletti dal Consiglio dei sessanta decurioni bensì dal vicario di provvisione al quale fu riconosciuta anche dagli altri membri la funzione di presidente, funzione che mantenne sino al 1786 quando, in seguito all’azione riformatrice di Giuseppe II, la congregazione dello stato venne soppressa.
A più riprese i governatori furono costretti ad intervenire per regolare l’attività degli oratori al punto che intorno alla metà del Cinquecento il duca di Terranova, governatore in incarica, emanò una grida allo scopo di regolamentarne l’operato e di fissare i limiti di azione tanto degli oratori quanto delle città che rappresentavano le quali spesso inviavano nella capitale numerosi delegati per assistere i rispettivi rappresentanti nel disbrigo degli affari.
Con tale grida si ordinava che le città, per la gestione dei loro interessi, dovessero servirsi dell’opera del solo oratore residente in Milano. Le città dovevano solo inviare al loro rappresentante le direttive da seguirsi e a sua volta l’oratore era obbligato a rendere conto mensilmente del suo operato ed inviare una specificata nota delle spese sostenute comprovate, quando superiori all’importo di uno scudo, da debite ricevute (decreto Terranova 1584).
Questa mancanza di autorità degli oratori costituì sin dall’inizio un gravoso impedimento ad un’efficace funzionamento della congregazione al punto che il vicario di provvisione, intorno alla fine del secolo XVI, facendone aperta denuncia, propose un piano di riforma.
Preparato dallo stesso vicario, in collaborazione con i Conservatori del patrimonio, istituiti nel 1594, il piano dopo aver esposto le cause del “disordine e danno comune” in cui l’organo versava – la dipendenza degli oratori dalle città che rappresentavano, in primis – proponeva che, al fine di rendere più efficace e veloce l’opera della Congregazione, gli oratori, come rappresentanti delle città, potessero trattare autonomamente i vari negozi senza dover preventivamente ottenere approvazioni dalle città. Così già a partire dalla fine del Cinquecento, pur restando sottoposti ai consigli e organi di governo cittadini, gli oratori ottennero maggiore libertà di azione. Solo nel caso di imposizione di nuovi carichi fiscali l’oratore era tassativamente tenuto a consultare i suoi “superiori” prima di prendere alcuna decisione (piano di riforma). Anzi talvolta la necessità di informare gli organi amministrativi delle città che rappresentavano fu espediente assai usato per temporeggiare sulle questioni – specialmente di natura fiscale – più gravose.
Se come si è detto, agli inizi della sua attività la Congregazione dello stato era costituita dai soli rappresentanti delle città, dopo la metà del XVI secolo incominciarono a farne parte anche i sindaci rappresentanti delle campagne. Intorno agli anni ’60 del Cinquecento infatti, i Contadi di ciascuna delle province dello stato riuscirono a darsi un’amministrazione autonoma, in grado di trattare con le rispettive città capoluogo per stabilire le quote di carico da ripartire tra le diverse parti e di portare a conoscenza del potere centrale gli interessi dei Contadi.
Riuniti in Milano i procuratori delle città e dei contadi, il governatore in carica in quegli anni dispose che la Congregazione dovesse essere composta da diciotto membri, cioè un oratore per ciascuna delle nove città capoluogo di provincia ed altrettanti rappresentanti dei rispettivi Contadi, denominati sindaci.
Nulla venne stabilito circa la durata della carica di oratore e di sindaco, la quale veniva riconfermata quasi automaticamente dalle città e dalle comunità rurali allo scadere del mandato.
Dopo il 1594, anno di istituzione della Congregazione del patrimonio, oltre agli oratori ed ai sindaci furono ammessi alle riunioni della Congregazione dello stato anche i conservatori del patrimonio in rappresentanza della città di Milano.
Per ordine regio i membri della Congregazione non potevano adunarsi senza la presenza del luogotenente regio, colui che avrebbe ricoperto la carica di vicario l’anno seguente; qualora non gli fosse stato possibile intervenire, occorreva che il governatore nominasse un sostituto, scelto tra i dottori del collegio dei giureconsulti oppure tra i conservatori del patrimonio già presenti in Congregazione (Richieste Congragazione dello Stato, 1594; verbali di seduta).
Tra i componenti della Congregazione un posto di preminenza era attribuito ai rappresentanti di quelle città e province più ricche e quindi più tassate.
Milano, rappresentata dal vicario di provvisione e dai conservatori del patrimonio, cercava di imporsi come città guida; e tale primato, nonostante le controversie che minavano i rapporti tra i diversi membri della congregazione, le era tacitamente riconosciuta. Pavia e Cremona erano, dopo la capitale, le città più importanti. Nei verbali di seduta dalla congregazione di metà Seicento i loro oratori venivano definiti i rappresentanti “delle due città principali dopo Milano”; del resto il fatto che il loro governo fosse, per volere del potere centrale, affidato a due senatori milanesi, indica quanto fossero ritenute importanti.
Tra i contadi, il Ducato di Milano, rappresentato, a differenza degli altri contadi, da due sindaci, esercitava sicuramente il ruolo di guida. E logicamente, al pari degli oratori, anche i sindaci dei contadi di Pavia e Cremona godevano di largo prestigio tra i membri della congregazione.
Ma oltre agli oratori, ai sindaci ed ai conservatori del patrimonio alle riunioni della Congregazione partecipavano anche un segretario ed un cancelliere. La necessità di poter contare sull’opera di questi funzionari altamente specializzati si era già fatta sentire sin dagli inizi della sua attività. Segretario e cancelliere dovevano provvedere alla compilazione dei verbali di riunione, alla registrazione delle decisioni, al rilascio di copie autenticate di documenti, oltre ad occuparsi di far recapitare repentinamente a ciascun membro gli avvisi di convocazione (Piano riforma Congregazione dello Stato, sec. XVI).
Inoltre la Congregazione aveva alle proprie dipendenze un “ragionatto”, incaricato di controllare tutti i conteggi delle imposte di cui essa doveva farsi carico, oltre una folta schiera di funzionari minori, in parte dipendenti della stessa amministrazione cittadina milanese, quali copisti, corrieri, messi.
Avvisati per iscritto almeno otto giorni prima di quello di convocazione, i membri della Congregazione si radunavano presso le stanze del Tribunale di provvisione.
La seduta, fatto l’appello, veniva aperta dal vicario di provvisione, in qualità di presidente della congregazione. Dopo aver espletato le formalità e letto l’ordine del giorno o ancora, qualora la riunione fosse stata sollecitata da uno dei membri, e dopo aver invitato costui ad esporre il motivo della convocazione, il vicario invitava oratori e sindaci ad incominciare il dibattito.
Come qualsiasi altra assemblea, la Congregazione dello stato non poteva adunarsi senza aver preventivamente ottenuto l’autorizzazione del governatore: i diciotto membri della Congregazione dovevano infatti far pervenire al rappresentante regio una lista degli argomenti che intendevano trattare i quali, in materia fiscale, potevano concernere le sole modalità di ripartizione dei carichi, essendo loro tassativamente proibito di ingerirsi nel processo di fissazione del loro ammontare, o di scelta del bene oggetto di tassazione, materie di esclusiva competenza del potere regio. Il Magistrato delle entrate o il governatore comunicavano infatti alla Congregazione l’intenzione di imporre nuovi carichi, o di aumentarne gli esistenti, o ancora di sospendere immunità, conferendole il “diritto” di prenderne atto, di discutere le modalità di ripartizione e riscossione, di prepararne i ruoli, i quali comunque dovevano essere sottoposti all’approvazione del Magistrato, e di versare poi alle casse regie l’importo totale riscosso.
Ma oltre al diritto di far conoscere al “principe” gli interessi dei contribuenti che rappresentava in occasione di modificazioni o ulteriori aggravi, la Congregazione dello stato si vedeva riconosciuta anche la facoltà di mandare suoi ambasciatori direttamente a corte al fine di perorare sgravi fiscali.
Nel corso dei decenni tuttavia l’organo vide dilatare le funzioni ad esso attribuite nei settori finanziario ed amministrativo: in conseguenza della concessione accordatagli circa la possibilità di compensare sul fondo del Mensuale l’importo delle somministrazioni in natura, erogate a favore dell’esercito da parte delle Terre e borghi alloggianti, la Congregazione si vide demandato l’incarico di ripartire gli sgravi tra le singole province e Terre. Ed ancora il potere centrale delegò alla medesima l’incarico di fornire alle truppe l’alloggio ed i viveri per mezzo dell’impresa del Rimplazzo e quindi la gestione e la sorveglianza delle spese militari (Alloggi militari, sec. XVI-XVIII).
Un altro importante settore legato all’amministrazione finanziaria venne ancora affidato alla gestione della Congregazione: spinta dalle sempre crescenti necessità finanziarie la Camera le alienò gradatamente l’amministrazione delle regalie.
L’attività dei sindaci, rappresentanti dei contadi, e degli oratori, rappresentanti delle città, fu sempre animata da sentimenti di ostilità e campanilismo al punto che la congregazione non riuscì ad approfittare delle continue e sempre crescenti richieste di danaro avanzate dall’erario pubblico, per accrescere il proprio peso nella gestione della cosa pubblica. Eterni, cavillosi litigi tra provincia e provincia, tra città e contado di medesime province, e ancora tra coalizioni di province contro Milano, intesi a dimostrare come la parte avversa fosse prospera e privilegiata, monopolizzarono l’attività dell’organo, fornendo al regio fisco buoni argomenti per vessare ora una parte ora un’altra.
Composta esclusivamente da persone esponenti dei ceti più favoriti – gli oratori erano infatti scelti tra i decurioni nobili, i sindaci tra i maggiori estimati del contado – i membri della Congregazione erano mossi da sentimenti egoistici e di esclusiva rappresentanza degli interessi materiali e morali del ceto di cui erano esponenti, concordi solamente quando si trattava di scongiurare il pericolo di una nuova imposizione, ma sempre pronti ad impugnare l’arma dell’ostruzionismo per ostacolare i propri “alleati”.
E ancora nel corso della prima metà del Settecento la Congregazione mosse sistematici ed ostinati ostruzionismi contro la prima e la seconda Giunta del censimento al fine di ostacolarne le operazioni per la formazione di un nuovo catasto, conscia del fatto che la sua applicazione avrebbe comportato l’eliminazione di tutte quelle situazioni di privilegio che rallentavano lo sviluppo dello stato ma che tanto favorivano gli interessi dei ceti di cui era composta (Capra, Sella 1984).
Nata come reazione alla compilazione del nuovo estimo, la Congregazione perse il carattere di organismo temporaneo che gli fu attribuito al momento della sua istituzione, e si trasformò in uno stabile organismo che si proponeva come scopo quello di ottenere un “sollievo” per lo stato gravato da numerosi e pesanti carichi fiscali.
Per lo svolgimento delle proprie mansioni essa entrava in contatto con tutti gli organi dello stato instaurando con alcuni di essi rapporti sporadici e con altri intensi.
Costanti furono infatti i contatti che la Congregazione dello stato intrattenne con il Magistrato delle entrate, organo preposto alla riscossione delle imposte dirette e indirette, ordinarie e straordinarie, il cui campo di azione interessava direttamente la Congregazione incaricata di pagare tali carichi.
E ancor più intensi erano i rapporti che la Congregazione intratteneva con i due rappresentanti della corona spagnola a Milano: il governatore ed il gran cancelliere.
A quest’ultimo essa attribuiva l’importante funzione di mediatore presso il governatore, alter ego del sovrano a Milano, dal cui potere la Congregazione direttamente dipendeva. Era infatti il governatore che ne richiedeva la convocazione, che con decreti ne regolava il funzionamento, che le concedeva i permessi di inviare oratori alla Corte di Spagna, che inoltrava ogni richiesta di sovvenzione, che le imponeva il pagamento dei carichi militari. E la natura del potere di cui il governatore era investito non poté che rendere sempre più dialettiche le sue relazioni con la Congregazione.
Con la seconda ondata di riforme promossa ed attuata da Giuseppe II la Congregazione dello stato venne soppressa (Annoni 1966; Capra, Sella 1984; Pugliese 1924; Valsecchi 1959; Visconti 1913).

ultima modifica: 29/05/2006

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