consolato sec. XII - sec. XIII

Il Consolato è l’organo principale a partire dal quale anche il comune milanese nacque e si sviluppò essendo infatti il nucleo originario da cui vennero strutturandosi numerose e nuove istituzioni fino al formarsi della complessa amministrazione comunale del sec. XIII.
Mentre nel periodo di supremazia dell’arcivescovo al Consolato, ancora organo cittadino unico, era delegato l’esercizio di tutti i poteri pubblici, una volta cessata l’ingerenza dell’arcivescovo negli affari civili, tale istituto incominciò direttamente ad abbracciare in sé tutte le attività comunali, tanto nel campo politico- amministrativo tanto in quello giudiziario. I consoli erano a capo dell’esercito, trattavano con le altre città e con il potere sovrano, sorvegliavano l’annona e l’erario, provvedevano alla manutenzione di strade e ponti, amministravano la giustizia criminale, poiché quella civile continuò per un certo periodo ad essere esercitata dai giudici e messi regi.
Dai documenti milanesi relativi al secolo XII ed ai primi decenni del secolo XIII (Manaresi 1919), non è possibile ricavare notizie circa le modalità seguite nella elezione dei consoli. Probabilmente anche a Milano, come già avveniva a Genova, Pisa, Pistoia, era in uso una forma indiretta e per ceti di elezione: i consoli in carica designavano, dapprima nelle pubbliche adunanze ed in seguito nelle adunanze del consiglio generale, le persone alle quali si raccomandava di scegliere gli elettori dei nuovi consoli. Ed ancora è molto probabile che l’elezione avvenisse per porte: infatti non solo nel numero di consoli eletti ricorreva sempre un multiplo di sei, quante erano le porte della città, ma nel giuramento del podestà di Milano dell’anno 1225 si dice espressamente che ciascuna porta o faggia dovesse pagare, come consuetudine, i propri consoli (Manaresi 1919).
Questa ipotesi trova ulteriore rispondenza “nel fatto che fin da tempo immemorabile le singole porte formavano altrettante comunantie con pascoli propri e con interessi propri, e nel fatto che ciascuna porta ha delle milizie proprie distinte da quelle delle altre. E nella ipotesi di elezione per porte mi conferma un documento dell’anno 1154 dal quale appare che la consoleria del comune di Chiavenna era fatta per tre quarti dagli abitanti di Chiavenna e per la restante quarta parte dalla località di Piuro, la quale era una contrata del comune di Chiavenna e concorreva per una quarta parte alle spese di esso. Se le singole contrade di un comune eleggevano rispettivamente i propri consoli, mi par verosimile che anche le porte di Milano, le quali formavano altrettante contrade o comunantie di per sé, eleggessero ciascuna i propri consoli” (Manaresi 1919, p. 38-39).
La convenzione dell’anno 1158 stipulata dalla città con l’imperatore Corrado III stabiliva inoltre che i consoli eletti dal popolo organizzato in ceti, dovessero essere confermati dall’imperatore stesso: qualora egli fosse stato in Lombardia, la metà dei consoli eletti aveva l’obbligo di prestare giuramento davanti all’imperatore e da lui personalmente ricevere l’investitura di console; qualora invece l’imperatore fosse stato Oltralpe, solo una delegazione di due consoli, scelti tra i neo eletti, si sarebbe recata dall’imperatore stesso per prestare il dovuto giuramento di fedeltà e ricevere a nome di tutti i consoli eletti dal popolo, l’ufficio del consolato.
In seguito, con la pace di Costanza, furono ribadite le disposizioni stipulate nel 1158: potevano essere eletti come console solo quelle persone che prima di assumere il consolato avessero prestato giuramento di fedeltà presso l’imperatore; l’investitura della carica doveva essere fatta, nel primo quinquennio, da un nunzio dell’imperatore residente nella città o nell’episcopato; passato il quinquennio, le città dovevano mandare un nunzio alla curia imperiale per ricevere l’autorità di investire i consoli per un altro quinquennio, salvo il caso in cui l’imperatore fosse stato in Italia. I consoli eletti – detti “consules de tractu futuri temporis” – non potevano tuttavia esercitare alcuna carica di governo della città, né pronunciare sentenze, finché non fosse giunto il giorno di entrare in carica e non avessero adempiuto alle richieste formalità. Un’altra norma veniva ribadita con la pace di Costanza: non potevano essere eletti consoli coloro i quali avessero ricoperto la carica l’anno precedente, era necessaria la “vacatio” di almeno un anno.
Ma dai documenti raccolti dal Manaresi emerge chiaramente come i nomi dei consoli, dopo intervalli più o meno lunghi, ritornassero costantemente: questo fenomeno è indubbiamente la prova che alla dignità consolare potessero aspirare solo poche persone, che gli elettori, come gli eletti, fossero quasi sempre gli stessi, e ancora che la vita cittadina nel corso del XII secolo non subì quelle alternanze che dopo il 1198 furono prodotte dalle lotte fra i vari ceti sociali.
Non sembra che l’età fosse una discriminante fondamentale al fine di essere innalzati alla dignità consolare: necessario era invece che alcuni dei consoli – il numero esatto non è possibile stabilirlo data la frammentarietà della documentazione – fossero giudici, poiché molti atti della repubblica non erano formalmente validi se non sottoscritti da un certo numero di consoli, e soltanto chi fosse giudice, almeno in questo periodo, poteva disporre della facoltà di sottoscrivere.
I pochi documenti consolari del periodo più antico non permettono di chiarire se a Milano sin dagli inizi fu stabilito il consolato annuale, ed ancor meno ci permettono di dire con certezza l’anno in cui tale principio fu applicato. L’analogia con Genova, dove il primo consolato di un solo anno si ebbe nel 1122, mentre prima si solevano attribuire incarichi consolari della durata di tre o quattro anni, induce a credere che anche a Milano nei primi tempi si avesse un consolato della durata superiore ad un anno. È certo però, secondo quanto emerge da una sentenza consolare, che già nell’anno 1138 a Milano vigeva il consolato annuale (Manaresi 1919). E ancora gli scarsi documenti relativi al periodo consolare più antico non consentono di stabilire l’esatto numero dei consoli che componevano il Consolato. Le prime notizie sicure si possono ricavare solo dallo statuto del podestà Uberto de Vialta del 1214: lo statuto, codificato negli anni precedenti la definitiva affermazione del potere podestarile, stabiliva che si dovessero eleggere sei consoli, uno per porta, i quali a loro volta erano tenuti a nominare un giudice.
Intorno alla seconda metà del XII secolo, in seguito al continuo accrescersi delle competenze e funzioni attribuite e svolte, il consolato venne sdoppiato nei due consolati del comune e di giustizia: al primo fu riservata la trattazione degli affari politici, amministrativi e penali, al secondo l’amministrazione della giustizia civile.
Alla fine del XII secolo anche a Milano come negli altri comuni italiani, l’istituto consolare si avviò alla decadenza. I contrasti sempre crescenti che incominciarono ad insorgere tra i consoli, la difficoltà nell’equilibrare i rapporti tra potere civile e potere militare, la lenta ed a volte contraddittoria azione pubblica del consolato, fecero venire meno quello spirito di coesione che era stato il fondamento dell’istituto consolare. Il bisogno sempre crescente di una magistratura suprema che esprimesse nell’esercizio delle varie funzioni l’unità di governo divenne sempre più una necessità: il governo consolare si vide così sostituire, non senza contrasti ed opposizioni, dal governo podestarile.
Nel 1205, con la cessazione del governo dei consoli, l’istituzione del Consolato andò via via perdendo forza sino a scomparire (Barni 1954; Manaresi 1919; Santoro 1968).

ultima modifica: 27/10/2002

[ Cooperativa Archivistica e Bibliotecaria - Milano ]