consiglio segreto sec. XIV - sec. XVI

Se già dalla seconda metà del XIV secolo il signore di Milano per la direzione politica ed amministrativa di tutti i territori del dominio si serviva di un Consiglio, solo alla fine del Trecento, in seguito all’ascesa al potere di Gian Galeazzo Visconti ed alla sua ufficiale investitura del ducato, tale organo consiliare venne sdoppiato dando luogo al Consiglio segreto ed al Consiglio di giustizia, il primo prevalente sul secondo.
Suprema magistratura del dominio, al Consiglio segreto venne attribuita la duplice funzione di organo politico, il cui raggio di azione poteva estendersi, per delega del duca, ad ogni genere di “negozio”, e di tribunale di appello, con competenze civili e criminali. Come consulente del duca, il Consiglio prendeva le più delicate decisioni politiche ed amministrative: provvedeva alla sicurezza dello stato, concludeva alleanze e trattative di pace, manteneva i rapporti con le potenze estere, riceveva, in luogo del duca, ambasciatori, rilasciava salvacondotti; ed ancora regolamentava la gestione amministrativa, nominando i funzionari delle magistrature periferiche e dei vicari generali, esercitando funzione di sindacato su tutte le magistrature, stabilendo i salari e vigilando sulla loro assegnazione.
Data la ampiezza e genericità delle competenze ad esso riconosciute il Consiglio, nel corso del secolo XV, subì temporanee ma profonde modifiche e limitazioni nelle funzioni e nel numero dei suoi componenti, nominati direttamente dal duca, per lo più a vita – salvo rari casi in cui i consiglieri rinunciarono spontaneamente alla carica o vennero rimossi “perché caduti in disgrazia presso il duca”.
Essendo consuetudine, come si è detto, che i consiglieri mantenessero l’incarico a vita, il duca si trovò – quasi sempre – ad essere affiancato da un Consiglio i cui membri, o parte di essi, non erano stati da lui nominati, o ancora da officiali che non condividevano, e spesso ostacolavano, le sue scelte. La dilatazione o restrizione del numero dei consiglieri, rappresentò quindi per il duca un valido strumento attraverso cui garantirsi il loro appoggio e favore.
Numerosi furono gli interventi che il duca Galeazzo Maria, nei primi anni del suo governo, operò sulla consistenza numerica del Consiglio. Il 1468, anno in cui Gian Galeazzo si svincolò ufficialmente dalla reggenza della madre Bianca Visconti e prese il pieno potere, segna infatti una svolta per la magistratura: la crescita numerica dei suoi membri, mettendo in minoranza i vecchi consiglieri nominati dal padre, influì notevolmente sui rapporti tra il nuovo signore ed il Consiglio e quindi sulle scelte politiche e sulla gestione amministrativa degli affari del dominio.
Tuttavia l’irrobustimento numerico dell’organo consiliare, escogitato per ottenere una maggioranza certa, si rivelò subito ed a tal punto inadatto per la gestione “reale” degli affari che Galeazzo, nel corso dello stesso anno, incominciò ad appoggiarsi per governare ad una ristretta parte del Consiglio segreto, un “consilio cum domino residente”, che lo seguiva in tutti i suoi spostamenti.
Col tempo, consolidatasi l’esistenza dei due consigli – Consiglio segreto e Consiglio segreto ristretto ed itinerante – Galeazzo fu costretto ad emanare una serie di disposizioni per definire le competenze di entrambi ed evitare che le attività svolte dall’uno interferissero con quelle dell’altro.
Nel 1470 il duca stabiliva infatti che, essendo oramai consuetudine che durante i suoi spostamenti per i territori del dominio egli fosse seguito da un ristretto e fidato numero di consiglieri, “per parlare con loro delle necessità dello Stato e per rendergli onore con la loro presenza”, il solo “Consiglio itinerante” – limitatamente a quelle cause per cui il Consiglio segreto o il Consiglio di giustizia non erano stati già interpellati – potesse occuparsi della gestione della giustizia nei luoghi in cui il duca si trovava. E ancora nello stesso anno Galeazzo decretava un nuovo regolamento per il Consiglio segreto in Milano, limitandone notevolmente il peso politico in materia di giustizia. Il decreto affermava che “le cause di mera iustitia dovevano essere esclusivamente trattate dal Consiglio di giustizia, che i maestri delle entrate dovevano occuparsi dei processi riguardanti il fisco, mentre il Consiglio Segreto doveva intervenire solo in caso di contestazione delle sentenze emesse dalle ricordate magistrature, svolgendo in questo modo la sola funzione di supremo magistrato. [Ma soprattutto] il decreto ribadiva che, nel caso in cui il duca avesse deciso di affidare le stesse cause al Consiglio segreto, contasse solo il parere dei giureconsulti, e per le sentenze che contrastavano con quanto stabilito da statuti o diritto comune era necessaria la maggioranza dei 2/3” (Leverotti 1997). Con questi provvedimenti si voleva quindi sottolineare come, nonostante la partizione delle cause fosse materia ben definita, il duca potesse sempre decidere in ultima istanza a chi affidarne la trattazione.
L’esistenza di un Consiglio ristretto venne formalizzata dopo l’uccisione di Galeazzo Maria: l’organo prese il nome di Consiglio del Castello, dal luogo di residenza, e venne contrapposto al vecchio Consiglio segreto, denominato Consiglio di Corte o Consiglio dell’Arengo.
Ma quando nel 1479 Ludovico il Moro riuscì a rientrare a Milano ed a prendere il potere, il Consiglio del castello decadde dalle sue funzioni: pur non rimuovendo i consiglieri “ristretti” – come ci si sarebbe aspettati data la vena autoritaria ed accentratrice del personaggio – egli ne nominò altri, tutti a lui fedeli, e ricominciò a convocare il consiglio nella sua totalità.
”Allo stato attuale delle indagini non è possibile valutare appieno, per il Quattrocento, i legami del Consiglio segreto con i ceti dirigenti del ducato. Certamente [questa magistratura] non raccoglie una rappresentanza di tutte le città dello stato come al tempo di Francesco II, né è espressione esclusiva dell’aristocrazia milanese, come il Senato di fine Cinquecento. Per gli anni di Francesco Sforza la definizione più appropriata, in base all’esame dei suoi componenti, sembra quella di “consiglio di famiglia”, dal momento che le persone nominate, in gran parte già al servizio di Filippo Maria Visconti, sono in genere imparentate per matrimonio con la famiglia Visconti” (Leverotti 1997, p. 23).
Per la trattazione di tutti gli affari inerenti al suo ufficio il Consiglio segreto era assistito da un officio di cancelleria, composto da segretari, cancelliere, coadiutori, uscieri, il cui numero variava a seconda delle necessità e dei tempi. Tutte le suppliche indirizzate al Consiglio dovevano essere prima vagliate dai segretari, più alta carica dell’officio. Questi infatti dopo averle lette in riunione, alla presenza di tutti i consiglieri, riassumevano in calce alla supplica la decisione del Consiglio, in modo che i cancellieri potessero predisporre la minuta da sottoporre all’approvazione dei consiglieri (Leverotti 1994; Leverotti 1997).

ultima modifica: 19/01/2005

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