tesoreria sec. XV - 1541

Di origine viscontea l’officio del tesoriere di tutte le città del Dominio – Milano inclusa – strettamente subordinato ai Maestri delle entrate, veniva messo all’incanto, e affidato “bonis hominibus et personis et quae sint bonae condictionis, vocia et famae”. Secondo quanto decretato nel 1384 da Gian Galeazzo Visconti l’officio della tesoreria doveva ricevere tutte le entrate ordinarie e straordinarie e, con tali somme, provvedere ai pagamenti delle bollette pervenutegli; alla fine di ogni mese l’officio doveva notificare ai Maestri delle entrate l’entità della somma rimasta in cassa.
Il decreto stabiliva inoltre che sui pagamenti ai salariati il tesoriere dovesse trattenere due denari imperiali per ogni fiorino che pagava; il decreto sottolineava infine che l’officiodi tesoreria non era autorizzato a concedere prestiti né al Comune né a privati senza l’autorizzazione del Signore.
E queste attribuzioni, oltre a più esplicite norme circa la composizione della tesoreria, vennero confermate e chiarite anche negli Ordini di Filippo Maria Visconti del 1445: in essi si ribadiva infatti come tutte le entrate ordinarie e straordinarie spettanti alla Camera ducale dovessero pervenire alla Tesoreria la quale sola, dopo aver presentato ai Maestri delle entrate una nota relativa alla stato giornaliero della cassa, avrebbe potuto provvedere ai pagamenti; ma si sottolineava soprattutto che a capo dell’officio dovesse esservi un cittadino milanese di provata esperienza, professionalità e fiducia.
Tuttavia con l’ascesa al potere di Galeazzo Maria Sforza la natura dell’officio di tesoreria venne profondamente alterata. Se fino al 1468 l’officio riceveva soldi ed emetteva pagamenti dietro il “recipiat” dei ragionieri ed era tenuto a trasmettere giorno per giorno l’esatta nota delle entrate e delle uscite al ragioniere generale ed ai Maestri delle entrate, a partire dagli anni ’70 del Quattrocento l’officio divenne “il centro di affluenza e di spesa di tutto il danaro: per eius viam transeat intratarum receptio quam expensarum et solutionum distributio”. All’ufficio venne aggregato un gruppo di otto ufficiali, “addetti rispettivamente a ricevere denaro, a pagare, a tenere il libro mastro, a scrivere il libro “Tabuli”, a tenere il libro delle truppe, a tenere il libro dei famigli, a tener nota del dato, del ricevuto e delle bollette, a tener nota delle ragioni della camera straordinaria e delle altre città”.
L’istituzione della Tesoreria generale, “che da ufficio puramente contabile divenne centro di affluenza e di deposito di tutto il denaro” – le cui competenze vennero specificate nelle Nuove Costituzioni – portò alla soppressione della tesoreria che funzionava presso la camera dei Maestri delle entrate straordinarie ed al trasferimento fisico della Tesoreria, per ragioni di sicurezza, dal Broletto – dove era stata trasportata durante il periodo della Repubblica Ambrosiana – alla corte dell’Arengo, nella camera della torre del castello (Leverotti 1994; Leverotti 1997).

ultima modifica: 19/01/2005

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