governo milanese 1816 gennaio 2 - 1848 marzo 18

Le province lombarde e venete, annesse all’Impero austriaco sin dal 12 giugno 1814, furono ufficialmente costituite in Regno Lombardo-Veneto con la sovrana patente del 7 aprile 1815. Il nuovo Regno comprese tutti i dipartimenti del cessato Regno d’Italia con le sole esclusioni di quello di Novara, tornato al Regno di Sardegna, e di quello dell’Alto Adige, riacquisito dall’Austria ma inglobato nel Land del Tirolo. Il nuovo Regno, unito dalla figura del viceré, era suddiviso in due governi distinti, ognuno dei quali riferito ad un area regionale separata dal fiume Mincio. Dei due territori governativi citati nella sovrana patente all’art. 6, a quello alla destra del fiume venne dato il nome di “governo milanese” (patente 7 aprile 1815). A loro volta ognuno dei due territori era diviso in province (delegazioni); ogni provincia in distretti e ciascun distretto in comuni. Del governo lombardo fecero parte le province di Milano, Como, Bergamo, Brescia, Pavia, Cremona, Mantova, Lodi-Crema e Sondrio.
Il governo milanese, cui rimase affidata l’amministrazione generale del territorio fino all’insurrezione del 1848, faceva capo naturalmente al governo centrale viennese, anche se l’organo di collegamento era il viceré. Dal governo centrale dipendevano gli uffici dell’amministrazione statale periferica, in particolare le delegazioni provinciali e i commissariati distrettuali.
Il governo era composto da un collegio governativo presieduto dal governatore – in sua assenza dal vicepresidente di governo – e da dieci membri, definiti “consiglieri” (il cosiddetto senato politico), da cui dipendevano altrettanti dipartimenti amministrativi (istruzione pubblica, acque e strade, sanità, ecc.) con a capo un presidente generale il cui ufficio era denominato presidenza generale di governo. Per gli affari finanziari dall’aprile del 1816 fu creato in seno al governo il senato camerale o di finanza le cui attribuzioni furono stabilite da un regolamento apposito.
L’ordinamento, le attribuzioni e l’attività del senato politico furono stabilite dal “regolamento per il governo ed il senato politico”, che specificava anche gli oggetti che rimanevano riservati ai dicasteri aulici (Sandonà 1912).
Se il primo articolo disponeva che “il governo è la superiore autorità politico-amministrativa per tutto il territorio che gli è assegnato”, l’articolo quattro, per cui “il governo dipende immediatamente e secondo la diversità degli oggetti di sua competenza dai relativi dicasteri aulici di cui deve eseguire gli ordini” ne sottolineava la subordinazione da Vienna. In pratica le proposte del governo – cioè del senato politico e del senato di finanza e poi del Magistrato camerale – passavano direttamente nella cancelleria del viceré, che apponeva il suo visto e le inoltrava a Vienna. Successivamente esse venivano esaminate e giudicate dal dicastero aulico di competenza (gli affari politici dalla cancelleria aulica riunita; gli affari camerali dalla camera aulica generale; gli affari di polizia dal dicastero di polizia e censura). Riguardo alle materie sulle quali la decisione era specificamente riservata all’imperatore, le relazioni dei dicasteri aulici contenevano la descrizione del fatto concreto e le proposte di decisione. In caso di proposte legislative gli atti venivano ulteriormente inoltrati al consiglio di Stato.
Il regolamento per il governo ed il senato politico definiva specificamente le attribuzioni e l’attività del governo divise per argomenti. In materia di costituzione politica e dello stato formale del territorio al governo venivano assegnate in particolare “la cura e la vigilanza per il mantenimento de’ diritti del sovrano; i confini e la politico-topografica divisione delle province; la sorveglianza sulle autorità assolutamente o relativamente subordinate e sulla condotta dei loro rispettivi impiegati […]; le ammissioni alla cittadinanza ed il riconoscimento della medesima, le nozioni nÈ casi di emigrazione, il permesso di effettuarla e le misure per impedirla; la tutela de’ diritti, delle prerogative di rango e quella delle distinzioni acquistate a titolo di nascita o di speciali concessioni; materie feudali”.
Le materie riservate alla decisione o disposizione del dicastero aulico erano invece “i reclami per violazione de’ confini contro gli stati esteri; tutti i cambiamenti dello scomparto provinciale, distrettuale e comunale; tutte le nomine a quelle cariche alle quali è affidata la direzione d’un ufficio o d’un dipartimento […]; l’accettazione delle rinunzie a quegl’impieghi la di cui collocazione è come sopra riservata al dicastero aulico; i congedi agl’impiegati per portarsi in stato estero o alla capitale dell’Impero, ovvero quando oltrepassano il periodo di sei settimane; il permesso di scambio degl’impiegati da un territorio all’altro […]; tutte le destituzioni degli impiegati che hanno prestato giuramento e tutte le gratificazioni per gl’impiegati; il permesso di emigrazione alle persone coscritte e abili al servizio militare, ai possessori di beni stabili, agli artieri e negozianti patentati, ai possessori di capitali superiori alla somma di fiorini diecimila, alle persone nobili; le nomine e conferme di nobiltà; il permesso di portare decorazioni estere; le alienazioni di beni feudali e la conversione degli stessi in beni allodiali”.
Al governo venivano riservati “tutti gli oggetti che hanno rapporto al culto”. In particolare erano comprese “la tutela de’ diritti del sovrano e dello stato, contro gli attentati e le usurpazioni della gerarchia ecclesiastica; la cura di promuovere gli interessi della religione dominante e di proteggere le sette tollerate entro i limiti prescritti dalla legge; la divisione topografico-ecclesiastica; la nomina dei curati ai benefizi ecclesiastici di patronato regio e quella per le religioni tollerate; l’ispezione di disciplina sugli oggetti secolari della chiesa; la sorveglianza e direzione delle istituzioni dirette all’istruzione ed educazione del clero; il culto esterno e le relative disposizioni; l’ispezione sopra tutte le comunità e associazioni religiose e sull’economica amministrazione delle loro sostanze; l’incremento ed amministrazione delle fondazioni mobili ed immobili dedicate al culto in generale o a particolari istituti religiosi”.
Si specificava inoltre che non avrebbe potuto aver luogo “veruna disposizione che regoli affari che hanno relazione alla facoltà o alle persona ecclesiastiche a meno che il governo preventivamente non si accordi col preventivo ordinario”.
Al governo veniva inoltre concessa la facoltà di accordare il permesso di inviare a Roma le petizioni per le dispense matrimoniali, oltre alla facoltà di “impartire placet regium ai relativi brevi di dispensa” purché consegnati senza che cagionassero alcuna spesa. Al dicastero aulico venivano invece riservate le decisioni “ove trattasi di impartire il placetum regium ai brevi ed alle bolle pontificie oppure di concedere la licenza per le ricerche e per altri atti di ufficio che i rispettivi ordinari dirigono alla sede politica”.
Sempre in materia di culto spettava inoltre ai dicasteri aulici la divisione delle diocesi, la creazione di nuove parrocchie o la concentrazione delle già esistenti, la concessione per l’istituzione di nuove abbazie, monasteri e corporazioni ecclesiastiche, così come il permesso per la loro soppressione o il loro ripristino, tutte le condanne alla perdita di qualunque prebenda, la nomina ai benefici di patronato regio che oltrepassassero i mille fiorini e il sequestro delle rendite temporali dei vescovi e arcivescovi. All’imperatore erano infine riservate le nomine di vescovi e arcivescovi e le collazioni e ratifiche delle altre prebende (propositure, canonicati effettivi e titolari, ecc.).
Le competenze del governo si estendevano anche a “tutti gli oggetti di pubblica istruzione e quelli che influiscono sull’educazione del popolo e sulla cultura della nazione”. La norma comprendeva quindi tutti gli stabilimenti di pubblica istruzione e di educazione, le scuole comunali e triviali, le scuole normali, i seminari, i licei e le università, le accademie scientifiche e le case di educazione. Naturalmente anche le istituzioni private di educazione restavano sotto il controllo governativo, così come la sorveglianza e l’amministrazione dei fondi e stabilimenti destinati a soccorrere la gioventù studiosa, al mantenimento di maestri e alla conservazione degli istituti.
Al governo erano poi demandati “tutti gli oggetti che hanno rapporto alla legislazione di polizia”, e quindi la polizia per le sussistenze (cioè quelle disposizioni dirette a procurare in sufficiente abbondanza, in buona qualità e a prezzi convenienti gli articoli che servivano ai bisogni della vita); la polizia di sicurezza; la polizia dei costumi (disposizioni inerenti alla decenza e alla moralità); la polizia di beneficenza e quella per i poveri (le disposizioni per impedire la questua); la polizia di sanità e quella medica, anche se il regolamento specificava che “le singole leggi su questi diversi rami di pubblica polizia che già esistono, ovvero quelle che saranno in avvenire da emanare, contengono gli oggetti sopra i quali è competente e dispone soltanto l’aulico dicastero”.
Un’altra forma di intervento era destinata al governo in sede di collaborazione con l’amministrazione militare, in particolare il completamento delle truppe attraverso la leva, le forniture dei viveri e del vestiario all’armata, l’acquartieramento delle truppe.
In generale il regolamento attribuiva al governo facoltà di intervento in rapporto all’industria nazionale e ai mezzi per promuoverla, agli oggetti di pubblica economia e di diritti di privativa dello Stato (imposte dirette e indirette, rendite demaniali e camerali); e anche le norme per l’amministrazione di tutti quegli oggetti che avevano rapporto ai fondi pubblici e comunali, alle fondazioni pie ed ecclesiastiche, anche se “riguardo ai fondi pubblici ed alle fondazioni si presenteranno annualmente al dicastero aulico i conti preventivi ed i conti consuntivi” e allo stesso dicastero aulico venivano riservate le spese superiori a 500 fiorini non contemplate nei conti, le gratificazioni agli inservienti, l’approvazione di nuove “fabbriche” per la conservazione o il restauro degli stabilimenti che eccedessero l’importo di 5.000 fiorini le prime e 10.000 fiorini i secondi, il permesso per la vendita dei fondi. Infine il governo doveva consultare “la ragionateria, rispettivamente la Congregazione centrale per tutte quelle operazioni che riguardano l’amministrazione de’ predetti fondi e domanda i dati rispettivi per conoscerne la forza ed il dettaglio” (Sandonà 1912, p. 105-110).
Fino alle rivoluzioni del 1848 quindi, nonostante la stretta dipendenza da Vienna, rimase in vigore una sorta di distinzione tra l’amministrazione del Regno Lombardo-Veneto e quella centrale viennese. La situazione cambiò con l’emanazione della carta costituzionale del 10 marzo 1849 e la trasformazione dell’Impero. Con il decreto imperiale del 25 ottobre 1849 in luogo del viceré fu istituito il governatore generale del Regno Lombardo-Veneto con funzioni sia civili che militari e, con la circolare ministeriale del 3 novembre 1849, furono istituite due luogotenenze (quella lombarda e quella veneta), che subentrarono ai governi generali soppressi (Meriggi 1981 b; Meriggi 1983; Meriggi 1987; Raponi 1967; Spellanzon 1960 a).

ultima modifica: 19/01/2005

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