governo militare 1848 agosto 6 - 1857 febbraio 28

In seguito agli accordi armistiziali presi con gli inviati di Carlo Alberto dopo l’insurrezione del marzo e la successiva guerra decisa dal Piemonte, il 6 agosto 1848 le truppe austriache rientrarono in Milano. Fu il podestà Paolo Bassi, succeduto il 3 agosto ad Agostino Sopransi, a consegnare a Radetzky le chiavi della città.
Lo stesso 6 agosto il feldmaresciallo assunse “fino ad ulteriore disposizione il governo militare e civile delle provincie di Lombardia”; contemporaneamente dichiarò la città di Milano in stato d’assedio e promulgò la legge stataria, che contemplava la pena di morte anche per infrazioni relativamente lievi.
Governatore militare della città di Millano fu nominato il tenente-maresciallo principe Felice Schwarzenberg, sostituito il 1 settembre 1848 dal tenente maresciallo conte Francesco di Wimpffen (proclama 6 agosto 1848).
Lo stato d’assedio e l’immediata concentrazione di tutti i poteri nelle mani dei militari – lo stesso Radetzky prese inizialmente la sua residenza nel palazzo reale – mostrarono alla città quale fossero i reali intendimenti degli austriaci: lo Schwarzenberg dichiarò immediatamente sciolta la guardia nazionale (l’ordine pubblico sarebbe stato garantito dalle truppe di guarnigione), “vietò gli attruppamenti per le strade e ordinò di astenersi nei luoghi pubblici da discorsi contrari all’ordine delle cose” (Marchetti 1960, p. 458). Naturalmente lo stato d’assedio non consentiva in alcuna misura la libertà di stampa ed anzi si equipararono gli scrittori e i tipografi “di scritti tendenti a commozioni politiche” ai perturbatori della quiete pubblica. Infine si intimò ai cittadini di consegnare le armi da fuoco, da taglio e le munizioni di guerra sotto pena di essere trattati a norma della legge marziale. Nei mesi successivi alla riconquista della città furono inevitabilmente arrestati e fucilati numerosi cittadini e altri sottoposti alla cerimonia della “pubblica bastonatura”.
Contemporaneamente Radetzky prese una serie di provvedimenti demagogici in materia fiscale tendenti a far pagare alle classi abbienti, considerate le vere responsabili della ribellione, le spese di guerra. Con questi provvedimenti Radetzky si guadagnò paradossalmente l’epiteto di “comunista”: furono emanate particolari esenzioni del bollo; provvisoriamente sospesa la controlleria doganale sulle merci di cotone greggio o manufatto puro o misto; dichiarata la “desistenza d’ufficio da ogni procedura penale per contravvenzioni finanziarie pendenti”; ordinato di soprassedere “all’esazione delle restanze dei crediti per tasse arretrate dipendenti da tasse giudiziarie e multe civili ed anche da tasse criminali fondate nel regolamento austriaco 18 giugno 1818”; abolita la tassa personale e ridotto il prezzo del sale; soppresso provvisoriamente il dazio consumo principale ed addizionale civico sulla farina. Inoltre furono occupate, saccheggiate e trasformate in alloggi militari le “case dei signori” (primi furono i palazzi Borromeo, Casati, Greppi e Litta). In seguito, sempre per far fronte alle spese militari, furono notevolmente aumentate le tasse ordinarie e furono creati nuovi gravami: tra questi una sovraimposta comunale di 6 centesimi da pagarsi in due rate (19 agosto e 20 settembre) per 288.549 lire; un prestito forzoso di 2.800.000 “da levarsi sulle famiglie, persone anche morali, e ditte mercantili agiate e facoltose dimoranti o stabilite in Milano (31 agosto e 10 settembre); una sovraimposta straordinaria sull’estimo di otto centesimi (2.365.884 lire); un prestito forzato sul commercio della città per 1.500.000. Infine, l’11 novembre Radetzky annunciò una requisizione straordinaria di guerra di venti milioni a carico di coloro che avevano capeggiato l’insurrezione del marzo o avevano avuto cariche nel governo provvisorio (tra questi anche Alessandro Manzoni, tassato per 20.000 lire).
Il 12 marzo 1849 il Piemonte denunciò formalmente l’armistizio. Il 17 marzo Radetzky “per difendere i sacri diritti del nostro sovrano e respingere tale ingiusto e sleale attacco”, lasciò Milano con le sue truppe. Con il proclama del 17 marzo fece un sunto degli otto mesi di governo militare imposto alla città: il governo si era assunto “l’incarico di mantenere l’ordine e la tranquillità, non meno che di tutelare la sicurezza delle persone e delle sostanze degli abitanti di questa città. Il governo […], vigilante con incessante cura e zelo, indefesso al ben essere dei cittadini, crede di aver adempito religiosamente a questi doveri, prendendo a norma del suo agire i sacrosanti principj della giustizia e dell’equità […]” (notificazione 17 marzo 1849).
Il supremo comando delle truppe rimaste a presidiare Milano venne quindi assunto dal colonnello de Heyntzel che, come comandante superiore, prese residenza al castello. Al nuovo comandante militare della città, il colonnello de Duodo, già comandante il corpo della gendarmeria, furono aggiunti, per l’amministrazione di concerto della capitale, il dirigente della regia delegazione provinciale locale, il podestà della città di Milano ed il capo dell’ufficio dell’ordine pubblico col personale da loro dipendente. La sede del nuovo governo militare fu “trasportata” in casa Litta.
Nonostante la rapida vittoria delle truppe austriache su quelle piemontesi – le operazioni belliche si conclusero in soli quattro giorni, tra il 20 e il 23 marzo – la proclamazione della carta costituzionale “per l’unito e indivisibile Impero austriaco” e la riorganizzazione dell’Impero e del Lombardo-Veneto, decisa nell’ottobre del 1849, lo stato d’assedio rimase in vigore fino al primo maggio 1854. Il ventuno aprile 1854 infatti un’ordinanza dei ministeri dell’interno e della giustizia, del comando superiore dell’armata e del dicastero di polizia annunciava che Francesco Giuseppe, alla vigilia delle nozze con Maria Elisabetta Amalia di Baviera, aveva deciso la cessazione dello stato d’assedio in tutto il Regno e che quindi alle autorità e ai giudici civili competenti sarebbero stati restituiti il pieno esercizio delle loro prerogative e delle loro giurisdizioni; inoltre gli atti dei reati maggiori sarebbero stati trasmessi ai tribunali ordinari. A norma del codice penale poi si annunciava l’istituzione di una speciale corte di giustizia per i reati di alto tradimento, ribellione e sollevazione (ordinanza 21 aprile 1854). Cinque giorni dopo un’altra ordinanza confermò che le potestà politiche dovevano tenersi vincolate alla legge nella forma e nella esecuzione dei loro atti, pur riconoscendo ad esse la facoltà di emanare prescrizioni e divieti che si riferissero anche ad una singolare azione o ad una determinata serie di azioni e di aggiungervi sanzioni di pene pecuniarie, afflittive e corporali (Marchetti 1960; Mazhol-Wallnig 1981; Meriggi 1987; Raponi 1967).

ultima modifica: 19/01/2005

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