reale giunta di governo interinale e provvisoria 1733 - 1796

Nel 1730 la firma del trattato di Siviglia riaccendeva in Europa, dopo un ventennio di pace e di prosperità economica, sociale, culturale, l’allarme del conflitto “dinastico”. Minacciato nei suoi disegni di supremazia sulla penisola italiana, l’imperatore Carlo VI, dichiarò infatti illegali le clausole del trattato ed aprì con la monarchia francese una “guerra fredda” che dopo circa tre anni si tramutò in “guerra guerreggiata”. Allo scoppio del conflitto la Lombardia, sprovvista di milizie, divenne immediatamente oggetto di contesa e territorio di battaglia. Quando pochi giorni dopo lo scoppio del conflitto l’esercito francese si unì a quello piemontese ed insieme incominciarono a premere lungo la linea di confine con lo stato milanese, la difesa austriaca era già precaria: disponendo di un numero assai ridotto di soldati, il conte Daun, governatore di Milano, schierò parte degli uomini a Novara, a formale copertura dei confini, parte nel castello di Milano e il rimanete esercito lo portò con sé a Mantova, nella speranza di poter difendere la città sino all’arrivo delle truppe alleate.
L’inesistente resistenza delle truppe austriache consentì quindi all’esercito piemontese di varcare facilmente i confini, di occupare in breve tempo la città di Vigevano e di preparare la presa di Milano. Il 31 ottobre del 1733 il re Carlo Emanuele III, capo dell’esercito gallo-sardo, occupava infatti Pavia e ordinava di gettare tre ponti sul Ticino alla volta della città di Milano, che già da più di una settimana era stata abbandonata al suo destino. Il 22 ottobre, il conte Daun, dopo aver messo al sicuro alcuni importanti atti di stato – tra cui le mappe ed i sommarioni compilati dalla Giunta del censimento – aveva infatti abbandonato la città e si era ritirato a capo dell’esercito a Mantova. Tuttavia, il 18 ottobre 1733, prima di allontanarsi, il governatore Daun aveva predisposto la costituzione di una Giunta di governo provvisoria, incaricata di provvedere alle esigenze amministrative dello stato; Giunta mantenuta anche in seguito, durante il periodo di occupazione piemontese.
Incapace di far fronte militarmente alla situazione, lo stato milanese, guidato dalla capitale, si apprestò a consegnarsi al vincitore ed a patteggiare con lui le condizioni dell’occupazione. Il 4 novembre il Consiglio dei sessanta decurioni inviava al re sabaudo una delegazione di cittadini milanesi per la solenne consegna delle chiavi della città, che “accolta con cordialità amichevole” venne dallo stesso re “accomiata con lusinghiere parole e colla promessa che sarebbero state conservate le costituzioni ed i privilegi municipali” (Annoni 1959, p. 163).
Durante i tre anni di occupazione gallo-sarda, dal 1733 al 1736, l’organizzazione amministrativa della città di Milano e del territorio lombardo, venne mantenuta pressoché invariata: il desiderio del re piemontese di accattivarsi la benevolenza del patriziato milanese lo indusse a mostrarsi rispettoso di ogni consuetudine e ordinamento dello stato lombardo e quindi a cercare di rinnovare il meno possibile le magistrature che guidavano lo stato. Il Senato, i Magistrati ordinario e straordinario vennero riconfermati. La stessa Giunta di governo interinale e provvisoria, istituita poco prima che il conte Daun abbandonasse Milano, venne, per ordine del re Carlo Emanuele, non solo riconfermata, bensì rafforzata. Controllata dal conte Antonio Petitti, intendente di guerra, rappresentante del re piemontese sul territorio lombardo e organo di collegamento con le truppe di occupazione, la Giunta di governo si vide infatti delegati tutti i poteri di governo e di nomina delle magistrature vacanti, “nel rispetto delle consuetudini e tradizioni locali”.
Tuttavia la disponibilità del nuovo “padrone” non convinse il patriziato lombardo, che mantenne sempre un atteggiamento di aperta diffidenza. E ancora l’enorme pressione fiscale a cui lo stato milanese fu sottoposto durante il periodo di occupazione gallo-sarda, il continuo aumento del prezzo del grano, del vino e del sale, incentivato anche dalle pesanti carestie ed epidemie che, sempre più intensamente, si abbatterono sul territorio lombardo nel biennio 1733-1734, contribuirono ad aggravare l’urto tra il re piemontese ed il popolo lombardo.
La difficile situazione interna e lo sferzante attacco esterno delle truppe imperiali portarono ad un rapido ribaltamento delle sorti del conflitto e delle velleità piemontesi sulla Lombardia. I preliminari di pace firmati a Vienna tra Francia ed Austria il 3 ottobre 1735 e la definitiva stipulazione della pace a Vienna, nel 1738, stabilirono infatti che la Lombardia ritornasse all’Austria, con Parma e Piacenza, e che solo due province occidentali dello stato milanese – Novara e Tortona – venissero incorporate nel regno di Sardegna.
Alla immediata rioccupazione del territorio lombardo da parte delle truppe austriache fece seguito una altrettanto immediata opera di annullamento delle atti governativi compiuti dall’ “intruso governo” sabaudo. Dopo aver riconfermato, per un periodo transitorio, la Giunta di governo interinale e provvisoria che durante i tre anni di occupazione gallo-sabauda aveva gestito lo stato, Carlo VI si fece promotore di una pesante e violenta opera di sconfessione delle attività svolte dal governo franco-piemontese. Immediatamente l’imperatore fece infatti pervenire da Vienna una “Pianta del nuovo governo” che prevedeva l’annullamento di tutte le nomine effettuate dall’ “intruso governo” e l’immediato ripristino degli esuli spagnoli nei loro gradi al fine di restaurare al più presto lo status quo ante.
Tuttavia l’equilibrio che uscì dalla pace firmata tra le avverse coalizioni austriaca e borbonica nel 1738, ebbe breve durata. La morte, nel 1740, dell’imperatore Carlo VI e la successione al trono della figlia Maria Teresa portarono inevitabilmente il continente europeo ad imbarcarsi in un terzo conflitto “dinastico”: la guerra di successione austriaca.
Per la Lombardia si ripresentò la stessa precarietà di risorse, soprattutto militari, che già si era verificata circa dieci anni prima in occasione della guerra di successione polacca. Milano venne nuovamente lasciata in balia della coalizione borbonica ed abbandonata dal governatore Traun, che prima di assumere il comando dell’esercito si preoccupò, come già aveva fatto il conte Daun, di nominare una Giunta di governo interinale e provvisoria che si occupasse di governare e soprattutto di far fronte al grave problema finanziario che lo stato milanese stava ancora una volta attraversando.
A differenza di dieci anni prima, lo schieramento delle forze lombarde riuscì a reggere l’attacco sino al settembre del 1745 quando in seguito alla pesante avanzata borbonica ed alla occupazione di Pavia, la Giunta di governo si vide nuovamente costretta a consegnare le chiavi della città al nemico. Anche questa volta confermata dal nuovo “padrone”, la Giunta si vide incrementare i poteri ad essa precedentemente demandati e, soprattutto, attribuire l’importante ruolo – a favore del nuovo dominatore – di gestione delle somministrazioni di vettovaglie e alloggi alle truppe occupanti.
Tuttavia l’offensiva austriaca non tardò a farsi sentire. L’imperatrice Maria Teresa, mentre preparava l’impresa militare per la riconquista del milanese, da Vienna non riconosceva alcuna legalità all’attività della Giunta che agiva per conto del re Borbone, e creava a Mantova un nuovo ed articolato apparato di governo in contrapposizione a quello di Milano.
Con la vittoria della coalizione austriaca, ufficializzata dalla pace di Aquisgrana del 1748, il Milanese – decurtato di numerosi territori – ritornava definitivamente sotto il dominio asburgico e la Giunta di governo interinale provvisoria veniva privata di effettivi poteri e quindi svuotata di ogni suo significato. La sua definitiva soppressione avvenne però solo nel 1796 in seguito alla discesa in Lombardia delle truppe napoleoniche (Annoni 1959; Capra, Sella 1984).

ultima modifica: 29/05/2006

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