stato di Milano 1535 - 1749

La morte di Francesco II, ultimo duca Sforza, segnò una svolta decisiva per la storia dello stato di Milano: in linea di diritto – secondo le norme del diritto feudale – l’estinzione della dinastia sforzesca comportò la devoluzione all’imperatore del dominio ducale, feudo imperiale; in pratica il 1535, anno della morte del duca, segnò la fine dell’indipendenza dello stato milanese. L’imperatore Carlo V lo trattenne sotto il proprio diretto controllo e solo nel 1546 lo infeudò al figlio Filippo che presto sarebbe divenuto monarca di Spagna.
Lo Sforza morendo lasciava quindi al suo “erede” un fiorente dominio anche se considerevolmente ridotto in dimensione rispetto al periodo della sua massima espansione. Nel Quattrocento i possedimenti dei duchi milanesi si estendevano su di un territorio delimitato a nord dalla cerchia delle Alpi sino all’Appennino Ligure, ad occidente dal fiume Sesia, ad oriente dal corso superiore dell’Adda, poi dall’Oglio sino al suo sbocco nel Po, e sulla riva destra di questo fiume, “dal torrente Enza per tutta la sua lunghezza” (Pugliese 1924). Il dominio comprendeva dunque le città di Milano, Pavia, Lodi, Cremona, Como, Novara, Vigevano, Tortona, Alessandria, Valenza, Bobbio, Parma, Piacenza coi loro territori.
Ma nei decenni successivi, sotto il governo dei suoi successori l’estensione dei territori venne notevolmente ridimensionata: gli Svizzeri si impadronirono di Bellinzona e dei vicini Baliaggi, i Grigioni della Valtellina, ed il papa Giulio II riuscì, durante la guerra contro i francesi, a staccarne le città di Parma e Piacenza coi rispettivi territori aggregandoli allo Stato della Chiesa.
Nei primi decenni del secolo successivo i confini del dominio milanese soggetto all’imperatore Carlo V si presentavano così ridimensionati: a nord ancora la catena delle Alpi – “ma solo dal gruppo del Monte Rosa sino al passo di San Giacomo e dallo spartiacque ad oriente della Val Formazza milanese sino al Lago Maggiore” (Pugliese 1924) – separava lo stato milanese dai Cantoni Svizzeri; “a est lo spartiacque montuoso tra i territori delle valli ad oriente del Lago di Como ed il Bergamasco veneto, sino a Lecco, poi il corso dell’Adda sino a Vaprio costituivano la frontiera naturale con la repubblica di Venezia, cui apparteneva anche l’enclave costituita dal territorio cremasco”; il corso del fiume Po separava infine lo stato milanese dal Ducato di Parma e Piacenza; quello del fiume Sesia dai domini sabaudi (Pugliese 1924).
Lo stato di Milano così territorialmente definito si articolava in nove province: Milano, Pavia, Lodi, Cremona, Como, Novara, Tortona, Vigevano, Alessandria; questa suddivisione poneva in evidenza sia l’eredità della passata età comunale sia l’impronta del lento e tortuoso processo di formazione dello stato regionale visconteo-sforzesco.
L’organizzazione territoriale, amministrativa, giurisdizionale delle nove province conservava intatti molti tratti dello “stato cittadino”, di quell’ordinamento dualistico in cui le città e le oligarchie cittadine detenevano ampi poteri e privilegi dai quali erano invece totalmente esclusi i borghi e le terre del contado ed i loro abitanti. Le autorità cittadine avevano ad esempio giurisdizione in materia di viabilità, commercio di generi alimentari, calmieri dei prezzi, ubicazione di manifatture non soltanto entro le mura cittadine, ma sul territorio dell’intera provincia; i residenti milanesi godevano dell’ambito privilegium civilitatis che garantiva loro il diritto di essere giudicati, ovunque si trovassero, non dai giudici presenti nelle sedi periferiche, bensì dai soli organi giudiziari cittadini. Ma gli abitanti della città e quelli delle terre del contado erano soprattutto soggetti a due diversi sistemi di imposizione e ripartizione fiscale: prevalentemente indiretta – sotto forma di dazi – i primi, prevalentemente diretta – sotto forma di imposte quali perticato, tasso dei cavalli, tasso del censo, imbottato – i secondi. I beni fondiari posseduti dai cittadini – le cosiddette pertiche rurali – godevano di un trattamento fiscale di favore. E ancora sui sudditi del contado ricadevano, nei lunghi periodi di guerra che caratterizzarono i secoli di dominazione spagnola, gli oneri più gravosi, tra cui il tanto temuto ed osteggiato servizio degli alloggiamenti forzati delle truppe dell’esercito presso le comunità rurali da cui erano esenti le città.
Lo stato milanese si presentava quindi come una articolata confederazione di città e dei rispettivi contadi subordinati all’egemonia di un unico sovrano, e su cui Milano, capoluogo della più vasta tra le nove province, ma soprattutto capitale dello stato, rivendicava una posizione di egemonia; l’affermazione del ruolo egemonico della capitale venne costantemente combattuta, nel corso dell’età moderna, dalle altre “città provinciali”.
Se entrando a far parte dei possedimenti di Carlo V nel 1535 l’antico dominio dei duchi milanesi perse ogni autonomia in materia di politica estera, l’individualità giuridica e l’autonomia amministrativa dell’antico dominio non venne meno. Anzi Carlo V, con la promulgazione delle “Novae Constitutiones Mediolanensis Dominii” del 1541 – codice in cui si compendiavano le norme del diritto dello stato milanese ordinato a suo tempo da Francesco II Sforza ma portato a termine per volere di Carlo V – si preoccupò di dimostrare ai ceti dirigenti milanesi la ferma volontà di confermare l’assetto giuridico-amministrativo esistente, in quanto successore degli Sforza e fedele custode di una veneranda tradizione locale (Sella 1987).
Nel 1700 la morte senza eredi del re di Spagna, Carlo II, aprì nonostante i reiterati tentativi di Inghilterra e Olanda di dirimere diplomaticamente le rivendicazioni dinastiche di Austria, Francia, Piemonte, una lunga guerra per la successione – prima delle tre guerre dinastiche che caratterizzeranno la prima metà del secolo – la quale, pur divampando in tutta Europa, coinvolse direttamente lo stato milanese. Nel 1706 l’Austria si affermò infatti “signora” indiscussa della Lombardia: dominio che durò per circa 150 anni, interrotto solo dal ventennio rivoluzionario napoleonico.
Se durante il periodo della dominazione spagnola i confini del dominio milanese non subirono variazioni rilevanti, nel corso del XVIII secolo, in seguito alle guerre di successione spagnola, polacca ed austriaca, lo stato subì invece consistenti smembramenti territoriali a favore del Piemonte sabaudo.
In seguito al primo dei tre conflitti di successione, quello spagnolo, (1701-1715) lo stato di Milano fu costretto a cedere ai domini sabaudi le città di Valenza e di Alessandria col relativo contado, la Lomellina e la Valsesia. Con questo primo smembramento Pavia, la città più importante dopo Milano, veniva a trovarsi sul confine con lo stato piemontese, definito ora dal corso del fiume Ticino (Pugliese 1924).
Dopo la guerra di successione polacca lo stato milanese subì un secondo smembramento: l’imperatore Carlo VI fu infatti costretto a cedere al re Carlo Emanuele II altre due province del dominio milanese, il Novarese ed il Tortonese, riconoscendogli pure la superiorità feudale sui feudi delle Langhe ed il possesso definitivo del Siccomario, un lembo di territorio della Lomellina posto al confine del Ticino col Po, rimasto conteso sin dall’epoca del primo smembramento. Altro motivo di contrasto rimase, anche negli anni successivi, la sovranità sopra la Riviera d’Orta: mentre la casa Savoia pretendeva che tale territorio fosse passato, con la cessione del Novarese, sotto il proprio dominio, Vienna pretendeva al contrario che la Riviera d’Orta venisse considerata come feudo imperiale indipendente (Pugliese 1924).
Se gli smembramenti subiti dallo stato milanese in seguito alle guerre di successione spagnola e polacca ebbero prevalentemente come oggetto i territori delle province di Novara, Alessandria, Tortona, Pavia, quelli che seguirono alla guerra di successione austriaca, conclusasi con la pace di Aquisgrana del 1748, riguardarono principalmente i territori della provincia del Ducato: infatti oltre a ribadire l’acquisizione, da parte del Regno sabaudo, della città e contado di Vigevano, di tutto l’Oltrepò Pavese, la pace di Aquisgrana decretò la definitiva perdita, per lo stato di Milano, degli ampi territori dell’Ossola e delle terre poste sulla riva occidentale del Lago Maggiore (Pugliese 1924).

ultima modifica: 03/01/2006

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