comune di Monza sec. XII - 1757

Le origini del comune di Monza vanno ricercate nel secolo XII, nei “vicendevoli patti stipulati tra il console, che nell’atto di entrare in carica annunciava come avrebbe reso giustizia durante l’anno di attività, ed il popolo, che prometteva di sottostare alle sue decisioni”: è lecito infatti pensare che il “Liber Statutorum Communis Modoetiae”, redatto al tempo di Azzone Visconti, sia per gran parte un’opera di riordinamento e revisione – soprattutto politica, data la tendenza accentratrice del governo visconteo – di materiale già esistente (Barni 1975).
La documentazione in cui per la prima volta viene citata la magistratura consolare, testimoniando così l’avvenuta instaurazione del regime comunale, è rappresentata dall’istrumento datato 19 febbraio 1174 con cui l’archiprete della chiesa di Monza, alcuni abitanti del borgo ed i consoli notificavano gli accordi presi relativamente alla fondazione dell’Ospedale di San Gerardo (Gazzini 1996).
Negli “Statuti delle acque e delle strade del contado di Milano fatti nel 1346” il borgo di Monza risulta incluso nella corte omonima e viene elencato tra le località cui spettava la manutenzione della “strata da Monza” come “el borgo da Monza” (Compartizione delle fagie 1346).
Secondo quanto stabilito nel “Liber Statutorum Communis Modoetiae” alla soglie del XIV secolo la comunità monzese era retta da un capitano – detto capitano di Monza e più tardi capitano di giustizia – e da due organi collegiali: il consiglio maggiore, composto da 150 membri con a capo un rettore, spesso chiamato anche vicario, ed il consiglio dei dodici sapienti “della Camera del Comune”, che collaborava strettamente col rettore esaminando petizioni, ambasciate ed in generale tutti gli affari del comune. Capitano e consigli erano inoltre affiancati da altri ufficiali a cui venivano attribuite particolari mansioni: “canepari” addetti alle attività finanziarie, procuratori, notai, stimatori, “rationatores”, annunciatori, trombettieri (Statuti di Monza).
Ancora nei primi secoli dell’età moderna l’organizzazione della comunità monzese risultava ancorata ai precetti statutari del secolo XIV: il consiglio maggiore, detto anche generale, di durata annuale e detentore del potere decisionale, continuava ad essere affiancato, nell’adempimento di mansioni si carattere esecutivo e di compiti di controllo, dal consiglio dei dodici sapienti, che a sua volta coordinava l’azione di tre reggenti procuratori, chiamati a rappresentare la comunità e soprattutto a mettere in pratica le direttive del consiglio generale. “Tuttavia, nonostante la proclamata immobilità delle istituzioni e l’insistente quasi monotono riallacciarsi dei monzesi alla normativa codificata al tempo di Azzone Visconti, l’organizzazione cittadina, già allo schiudersi dell’età moderna, si andava lentamente strutturando secondo modalità che meglio rispecchiavano le mutate condizioni della società locale” (Superti Furga 1979).
Sullo scorcio del secolo XV la generale tendenza accentratrice del governo milanese incominciava a manifestarsi anche nell’organizzazione delle strutture amministrative monzesi. Le ripetute “riforme” relative alla composizione degli organi di governo rispecchiano infatti la tendenza alla limitazione delle forze chiamate a dirigere la politica locale: nel 1492 il consiglio maggiore o generale, fino ad allora composto da 150 membri, veniva ridotto a 60 così distribuiti: 45 consiglieri, 12 sapienti e 3 reggenti. La riduzione del numero di consiglieri lasciava sussistere ancora una numerosa presenza nell’organo decisionale ma sanciva il definitivo passaggio dell’amministrazione locale nelle mani dei soli cittadini “idonei e capaci”.
Anche le modalità di formazione del consiglio dei XII sapienti – detto anche consiglio di provvisione – riflettevano i sintomi di apertura a forme istituzionali rinnovate che meglio rispecchiassero le mutate condizioni sociali della società monzese. Nel 1520 veniva ribadita la disposizione statutaria, accantonata nel corso del tempo, che ordinava il rinnovo totale dei membri del consiglio dei XII sapienti ogni sei mesi e che affidava la nomina ad una commissione formata dal capitano, dai due reggenti e da quattro notai: con questo ritorno al passato si voleva sottrarre al consiglio dei XII quel potere di cooptazione che, sostituitosi alla disposizione statutaria, aveva facilitato la continua chiamata di una ristretta cerchia di cittadini alla carica di sapiente. Era una precauzione contro l’installarsi negli organi di governo comunale di chiusi gruppi oligarchici.
L’organizzazione amministrativa del borgo veniva completata da una schiera di officiales e servitores, nominati dai due consigli, il consiglio generale e quello dei XII sapienti, a cui venivano attribuiti in prevalenza incarichi di natura finanziaria e di piccola amministrazione.
Nel corso del secolo XVII le istituzioni amministrative che regolamentavano la vita politica del borgo subirono ulteriori evoluzioni. Nel 1625 un giureconsulto monzese presentava al consiglio generale una nuova normativa, gli “Ordines” che dava vita ad una rinnovata regolamentazione della vita amministrativa del comune: il consiglio generale, organo che godeva di poteri decisionali ed esecutivi, già ridotto, come si è detto, a 60 membri, veniva limitato nelle sue competenze alle sole funzioni di nomina; a sostituirlo si prevedeva l’elezione, da parte del consiglio generale, di 4 funzionari detti conservatori, con carica quadriennale che, radunandosi due volte alla settimana, avrebbero affiancato i due reggenti, oramai unici responsabili dell’amministrazione monzese, nella concreta gestione degli affari comunali.
Ciò che più differenziava i nuovi “Ordini” del 1625 dalla antica “reformazione” del 1492 era il rilievo dato agli organi esecutivi rispetto a quelli decisionali: le decisioni spettavano oramai sempre più al rappresentante del potere centrale: il capitano di giustizia o podestà (Superti Furga 1979).
L’intenso processo di rinfeudazione, fenomeno già noto al mondo milanese dai tempi del duca Sforza ma accentuato con la dominazione spagnola e proseguito a ritmo serrato soprattutto nel corso del Seicento, per ragioni legate in particolare alla sempre più precaria situazione finanziaria in cui versava lo stato milanese, portò anche a Monza una più intensa ed attiva presenza del potere feudale. Nel 1648 “Monza e la sua Corte”, già infeudata intorno agli anni Trenta dal Cinquecento al conte Antonio De Leyva, condottiero di Carlo V, passava nelle mani dei conti Durini. Ai discendenti del militare, feudatario assenteista, si sostituiva una famiglia esponente della nuova nobiltà, le cui benemerenze verso la corona non consistevano in servigi al sovrano bensì nella capacità di sovvenzionare la Camera: i Durini erano milanesi, ricchi finanzieri, proprietari immobiliari e titolari di un non trascurabile patrimonio terriero ed immobiliare nella corte di Monza e nelle zone limitrofe, che li rendeva particolarmente influenti. L’investitura feudale non fece altro che accrescere tale influenza, assicurando alla famiglia feudale anche la possibilità di limitare la libertà d’azione dei notabili locali: la formula di investitura mero et misto imperio delegava infatti al feudatario la facoltà di nominare il podestà o – come veniva chiamato a Monza – capitano di giustizia.
La vita cittadina veniva così a subire sempre più l’influente volontà del feudatario da un lato e del potere centrale dall’altro: in quegli stessi anni il potere centrale cercava infatti di scavalcare gli organi municipali per giungere ad un loro maggior controllo ed il capitano di giustizia, giudice penale e civile di primo grado e organo di controllo delle amministrazioni locali, ne rappresentava lo strumento (Superti Furga 1979).
Nei cinquant’anni compresi tra la pace di Aquisgrana (1748) e la discesa degli eserciti giacobini in Italia (1797) lo stato di Milano – o meglio la “Lombardia austriaca” secondo la nuova denominazione introdotta a designare le province rimaste sotto il governo della monarchia absburgica – vide radicali mutamenti nelle istituzioni politico – amministrative. Le riforme che caratterizzarono quel periodo, agirono in profondità sulla vecchia organizzazione che aveva continuato a reggere il dominio milanese, “sconvolsero il differenziato particolarismo delle diverse tradizioni locali per creare strutture omogenee, spezzarono la poliedricità degli uffici che convergevano nelle varie magistrature, stroncarono le autonomie provinciali per immettere tutta la regione nel più vasto circuito burocratico del grande stato centralizzato” (Annoni 1977).
Dalle risposte ai 45 quesiti della giunta del censimento del 1751, compilati al fine di disporre di un quadro riassuntivo delle realtà amministrative locali, emerge che il comune di Monza, che contava a quell’epoca circa 6.300 anime, era ancora regolato dal consiglio generale, detto consiglio dei LX decurioni o consiglieri, a cui erano attribuite competenze decisionali in materia soprattutto finanziaria e facoltà di nominare altri ufficiali, dal consiglio dei XII sapienti e da tre reggenti, ai quali erano affidati compiti esecutivi.
Dal consiglio dei XII dipendevano poi altri ufficiali: due giudici delle vettovaglie, due giudici delle strade, due protettori dei carcerati, tre tampari “o sia mietatori del pane venale”, due estimatori ed infine i deputati della Chiesa Maggiore e dei luoghi pii di Monza.
La comunità era inoltre assistita da un “notaro cancelliere”, un “ragionatto” ed un fattore, tutti e tre nominati dal consiglio generale e residenti in loco.
A metà del XVIII secolo il borgo, ancora infeudato alla famiglia Durini, era subordinato alla giurisdizione del giusdicente feudale, residente in loco “col rispettabile titolo di capitano di giustizia”, a cui la comunità non corrispondeva alcun onorario: essa era tuttavia “obbligata alla providenza e mantenimento delli utensiglj di cucina, letti, scanni e simili come altresì alla manutenzione e restaurazione del Pretorio e Carceri; soggiace inoltre la comunità solo al pagamento del salario del baricello e quatro fanti che continuamente servono in detti Pretori”.
Dalle suddette risposte ai 45 quesiti emerge inoltre che gli organi amministrativi monzesi estendevano la loro giurisdizione anche a diverse cascine ad essa aggregate, ” cioè le cascine dette Boatti e Caprotti, parte del luogo della Santa e parte del luogo di Brugherio […] inoltre che relativamente al circuito della parte di detto luogo di Brugherio aggregata alla comunità di Monza si trova una Cassina detta la Torrazza” e che la “giustizia minuta” era infine amministrata da sette consoli tenuti ogni anno a prestare l’ordinario giuramento presso la banca criminale del capitano di giustizia (Risposte ai 45 quesiti, 1751; cart. 3063).
Con la “Riforma al Governo ed Amministrazione delle Comunità” del 1757, alla molteplicità di metodi e norme particolari il governo centrale opponeva un sistema uniforme valido per tutte le comunità minori dello stato: la riforma, che in generale rivoluzionava gli antichi sistemi che fino ad allora avevano retto le città ed i maggiori centri, non arrivò però all’abolizione immediata di tutti i vecchi organi amministrativi monzesi ma giunse ad un compromesso: inutile risultava “cancellare con un colpo di spugna il passato, abolire l’antico sistema di cui Monza era tanto orgogliosa, abrogare totalmente lo schema di governo che rendeva Monza non inferiore a qualsivoglia provinciale città, alienarsi le simpatie di sudditi tranquilli e fedeli” (Superti Furga 1979).
La riforma della comunità di Monza, emanata il 30 settembre 1757 mediava così le richieste di continuità ed autonomia avanzate dai decurioni monzesi: consiglio generale e reggenti procuratori venivano mantenuti e continuavano a svolgere funzioni di ordinaria amministrazione e rappresentanza, affiancati però dal nuovo convocato generale degli estimati, a cui erano demandati le questioni di carattere finanziario, e dal cancelliere del censo, funzionario del governo a cui, oltre alle funzioni di controllo precedentemente svolte dal capitano di giustizia, erano affidate la conservazione dell’archivio e la compilazione degli atti amministrativi (Riforma Monza, 1757; editto 30 settembre 1757).

ultima modifica: 03/04/2006

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