diocesi di Milano sec. IV - [1989]

Si può presumere che l’organizzazione della Chiesa a Milano, con a capo un vescovo, possa datare verso la fine del secolo II e l’inizio del III. La prima attestazione documentaria di un vescovo di Milano risale al 313 (concilio dei vescovi a Roma) e al 314 (concilio di Arles). Dopo l’editto di Milano del 313 l’importanza della Chiesa milanese crebbe notevolmente, ed è a partire da quest’epoca che si consolida la gerarchia ecclesiastica, costituita dal vescovo, dai presbiteri e dai diaconi. Solo dati approssimativi, però, permettono di arguire i confini anche solo approssimativi della diocesi all’epoca di sant’Ambrogio. Più nota è l’estensione della circoscrizione metropolitica.
Nell’esercizio delle sue funzioni, il vescovo era aiutato dai presbiteri, dai diaconi e dai chierici. Pare che già ai tempi di Ambrogio prestassero la loro opera i lettori, gli esorcisti e i custodi.
Un tema storiografico assai dibattuto riguarda la progressiva evangelizzazione della popolazione nell’area rurale e la progressiva formazione delle comunità cristiane (Majo 1981).
Se ci si basa sui dati archeologici disponibili, la diffusione del cristianesimo nelle campagne di Milano deve essere avvenuta innanzitutto tra i dipendenti delle ville appartenenti a possessores convertiti. Tra i primi centri, attestati dagli scavi archeologici, si possono annoverare Locarno e Angera. L’azione di conversione divenne più sistematica tra IV e V secolo, supportata dall’azione di missionari, ad esempio nelle aree del lago Maggiore e del lago d’Orta, per le quali rimangono memorie agiografiche e testimonianze archeologiche. Dati sicuri che testimoniano una presenza effettiva di comunità rurali cristiane sono offerti dai battisteri e dalle chiese di Galliano, Castelseprio, Incino; dati più incerti per Corbetta e Oggiono.
Nella seconda metà del V secolo, in una situazione ancora labile di diffusione del cristianesimo, papa Gelasio I antepose al principio romano della territorialità nella delineazione della diocesi il principio del legame sacramentale. L’impostazione data dal papa, necessaria per dirimere le frequenti incertezze nell’attribuzione degli oratori campestri, imponeva di riconoscere la diocesi non come una circoscrizione territoriale, ma come il popolo dei fedeli che faceva capo a un vescovo. Una comunità rurale era cioè attribuita non automaticamente al vescovo che era a capo del rispettivo territorio municipale, bensì al vescovo da cui la comunità aveva ricevuto la fede attraverso i sacramenti. Nell’ambito della diocesi così concepita, i fedeli erano però liberi di ricevere il battesimo in una qualsiasi chiesa diocesana. Durante il pontificato di Gelasio I numerose furono le nuove chiese sorte per iniziativa vescovile o privata ma comunque dipendenti dai vescovi. Nel VI secolo le testimonianze e le fondazioni di chiese nel contado si fanno più frequenti, e l’istituzione della chiesa battesimale (paroecia) appare organizzata in rapporto al clero e alle funzioni da svolgere, pur non essendo inquadrata in confini territoriali (Andenna 1990).
Lo sviluppo delle comunità locali subì indubbiamente una crisi con l’invasione dei Longobardi, ariani, che vessarono il clero locale e depredarono i beni delle chiese. Dal 569 al 643, inoltre, gli stessi vescovi di Milano vissero in esilio a Genova. Al ritorno dell’arcivescovo, il clero cittadino che aveva operato negli anni di lontananza della curia venne inserito, in forma subordinata, nella tradizionale gerarchia. Si trovarono a condividere le responsabilità pastorali e di governo del vescovo due “ordines” o “collegi” sacerdotali, i cui rappresentanti si trovano designati, a partire dall’VIII-IX secolo, con gli appellativi di “cardinales” e “decumani” (Majo 1981).
In area rurale, la ripresa delle comunità fu lenta, e certamente favorita dalla progressiva conversione dei Longobardi stessi al cattolicesimo, al cui contesto va ascritta, oltre alla celebre fondazione della basilica di San Giovanni Battista a Monza a opera della regina Teodolinda e forse del battistero di San Giovanni a Varese, l’origine della chiesa battesimale di Desio. Tra VII e VIII secolo, si ricostituì lentamente la rete di chiese a cui faceva capo una comunità e che viveva in un determinato territorio (pieve), la cui definitiva costituzione avvenne però solo in età franca. Nel concilio tenuto a Roma nell’826, i vescovi stabilirono che le chiese battesimali fossero sottoposte all’autorità dei vescovi, nominando in esse degli arcipreti e non dei semplici diaconi. Con il sinodo di Pavia dell’850 fu riconosciuta una paritetica gerarchia di chiese e uffici entro le rispettive circoscrizioni, stabilendo che il vescovo era a capo della chiesa matrice diocesana come gli arcipreti erano posti a capo delle pievi. I nuovi centri ecclesiastici, anche se fondati presso preesistenti chiese battesimali, erano diversi per struttura e funzioni di cura d’anime, alle quali si annetteva l’obbligo di restaurare la chiesa plebana e di pagare a essa la decima da parte degli abitanti del luogo. La precisa identificazione di un territorio determinò la formazione di una gerarchia delle chiese rurali, il cui clero era dipendente dell’arciprete e che erano soggette al pagamento delle decime. Da una tale organizzazione erano svincolate solamente le chiese private, che non dipendevano dal vescovo, e i territori soggetti ai diritti patrimoniali dei grandi cenobi. Nell’opera di razionalizzazione delle diocesi, avviata dai Carolongi sulla base del principio di territorialità, non poterono essere scavalcate le ragioni patrimoniali, che crearono il fenomeno delle esenzioni e la nascita delle enclaves nei territori diocesani. In età ottoniana il vescovo poteva disporre della pieve e dei suoi redditi a titolo di ufficio: questa facoltà permise all’arcivescovo Landolfo II da Carcano, per assicurarsi il favore delle più potenti famiglie cittadine, di concedere loro il godimento in beneficio feudale, divenuto in seguito ereditario, dei redditi delle decime delle pievi milanesi. Questo fattore, se da un lato depauperò i proventi che erano raccolti a favore delle chiese, contribuì a mantenere stabile l’assetto pievano dal X fino al XIII secolo (Andenna 1990).
Nella fase di sviluppo cittadino, cioè nell’XI-XII secolo, i fedeli di Milano favorirono con le loro offerte il moltiplicarsi di oratori, cappelle, chiese. Così, accanto al celro decumano, al quale rimaneva affidato l’impegno di custodire e officiare le antiche basiliche o chiese matrici, comparvero i cappellani. Anche l’organizzazione delle chiese matrici della città subì una lenta evoluzione, che portò alla costituzione delle canoniche. Sorte nell’XI-XII secolo sono le canoniche cittadine di Sant’Ambrogio, San Nazaro, San Lorenzo, San Giorgio, Santo Stefano; altre si formarono nella stessa epoca nelle pievi rurali. Più o meno direttamente, la costituzione delle canoniche preparò la costituzione delle parrocchie, per l’istituzione delle quali deve ritenersi elemento decisivo il riconoscimento del diritto di ogni chiesa a eleggersi il “presbiter officialis”, concesso da Urbano II nel corso della sua visita a Milano nel 1096.
I “presbiteri officiales” divenuti così titolari delle chiese locali ebbero il diritto di ricevere in dono beni, di accettare legati, di celebrare pubbliche funzioni, e, presumibilmente intorno alla prima metà del XIII secolo, la facoltà di amministrare il battesimo. Il principio di formazione dell’istituto parrocchiale fu lento, soprattutto nel contado, dove la formazione delle parrocchie, assecondando lo sviluppo demografico e la crescita sociale ed economica delle comunità locali, si protrasse per un arco di tempo assai lungo, tra il XIII e il XVI secolo.
Sul decentramento delle istituzioni ecclesiastiche milanesi influì anche la mutata organizzazione del clero secolare. La distinzione tra cardinali e decumani cominciò nel XIII secolo a perdere rilevanza, in concomitanza con l’affermarsi di altre strutture, come quella della curia vescovile e dei suoi officia, a cominciare dal vicario generale, stabilmente istituito dall’arcivescovo Ottone Visconti (1262-1295) (Majo 1982).
Alla fine del XIII secolo deve ascriversi il Liber notitiae sanctorum Mediolani, dal quale è stato ricavato un quadro complessivo dell’articolazione della diocesi ambrosiana (Liber notitiae; Vigotti 1974). Pievi certamente ambrosiane erano Olivone (Val Blenio); Biasca; Capriasca (Tesserete); Porlezza; Cannobio; Valtravaglia (Bedero); Leggiuno; Arcisate; Dervio; Bellano; Varenna; Primaluna (Valsassina); Brebbia; Angera; Varese; Mezzana; Somma; Arsago; Castelseprio; Appiano; Gallarate; Olgiate; Dairago; Parabiago; Nerviano; Corbetta; Cesano Boscone; Rosate; Decimo; Casorate; Trenno; Bollate; Seveso; Galliano; Incino; Asso; Lecco; Oggiono; Garlate; Mariano; Agliate; Missaglia; Brivio; Pontirolo; Vimercate; Desio; Monza; Gorgonzola; Bruzzano; Segrate; Mezzate; Settala; Corneliano; San Donato; San Giuliano; Locate; Decimo; Vigonzone; Chignolo; Frassineto. L’articolazione per pievi rimase invariata fino all’episcopato di Carlo Borromeo, che, nell’opera di riforma della diocesi, provvide a spostare in centri più popolosi, socialmente ed economicamente più vitali, talora più centrali rispetto al territorio, alcune sedi: da Galliano a Cantù, da Incino a Villincino (Erba), da Brebbia a Besozzo, da Olgiate Olona a Busto Arsizio, da Decimo a Mettone e poi a Lacchiarella, da Parabiago a Legnano, da Corneliano a Melzo, da Garlate a Olginate, da Castello a Lecco, da Castelseprio a Carnago.
Nelle “Instructiones ad Fori Archiepiscopalis reformandi usum pertinentes”, risalenti al 1580 circa, san Carlo organizzò la diocesi di Milano in regioni in funzione pastorale. Dopo aver delineato la fisionomia giuridico-pastorale di due prefetti-visitarori generali, di nomina arcivescovile e dal mandato biennale, aventi il compito di visitare rispettivamente la città (nell’arco di un anno) e il forese (nell’arco di due anni), Carlo Borromeo venne a configurare altri dodici prefetti-visitatori, essi pure da designarsi ad biennium, sei dei quali con giurisdizione sulle sei porte della città, sei altri invece su altrettante regioni della diocesi. Queste ultime si conservarono di fatto, senza mutamenti di rilievo, fino al decreto 2 febbraio 1968 dell’arcivescovo Giovanni Colombo. La regione I comprese, tra XVI e XX secolo, le pievi, prepositure, vicariati foranei e vicariati in loco di Abbiategrasso, Arsago, Casorate Primo, Cesano Boscone, Corbetta, Decimo, Frassineto Po, Gallarate, Lacchiarella, Legnano, Magenta, Mezzana, Parabiago, Rho, Rosate, Somma Lombardo, Trenno; la regione II comprese Angera, Arona, Besozzo, Brebbia, Brissago, Campione d’Italia, Cannobio, Gavirate, Laveno, Leggiuno, Luino, Maccagno, Porlezza, Sesto Calende, Val Blenio, Val Capriasca, Val Veventina, Val Riviera, Valsolda, Valtravaglia; la regione III comprese Appiano, Arcisate, Azzate, Busto Arsizio, Busto Garolfo, Carnago, Castano Primo, Castelseprio, Castiglione Olona, Cuggiono, Dairago, Gerenzano, Lomazzo, Malnate, Olgiate Olona, Saronno, Tradate, Varese; la regione IV comprese Agliate, Besana, Bollate, Bresso, Bruzzano, Cantù, Carate, Cucciago, Desio, Galliano, Lissone, Mariano, Monza, Palazzolo Milanese, Seregno, Sesto San Giovanni, Seveso; la regione V comprese Alzate, Asso, Bellano, Brivio, Canzo, Casatenovo, Costa Masnaga, Dervio, Erba, Garlae, Incino, Lecco, Lurago d’Erba, Merate, Missaglia, Oggiono, Olginate, Perledo, Valsassina, Valle Averara, Varenna; la regione VI comprese Carugate, Cernusco sul Naviglio, Chignolo Po, Corneliano Bertario, Gorgonzola, Inzago, Linate, Locate, Melegnano, Melzo, Mezzate, Pieve Emanuele, Pontirolo, San Donato, San Giuliano, Segrate, Settala, Sforzatica, Trezzo, Treviglio, Vaprio, Verdello, Vimercate, Zibido al Lambro. Gli elenchi dei visitatori regionari sono desumibili, oltre che dagli atti delle visite compiute, anche nelle annate del “Milano Sacro”, o annuario diocesano, edito dal 1764 circa fino alla fine del XIX secolo. In epoca più recente la figura del visitatore regionario risulta attenuata e sostituita dal teste sinodale (carica tratteggiata peraltro da Carlo Borromeo nel concilio provinciale IV del 1576). Nel sinodo diocesano 38° del 1902, ad esempio, la vigilanza sulla disciplina ecclesiastica è affidata in modo speciale ai testi sinodali (DCA, Regione).
I confini diocesani rimasero stabili fino al XVIII secolo; dal XVIII secolo ha prevalso la tendenza alla generale razionalizzazione dei confini in rapporto alle circoscrizioni civili. Tra il 1784 e il 1787 venne perfezionato il passaggio dell’arcipretura di Fara Gera d’Adda alla diocesi di Milano e il passaggio alla diocesi di Bergamo delle parrocchie di Sant’Antonio, Caprino, San Gottardo, San Gregorio, San Michele, San Paolo in Monte Marenzo, Villa d’Adda, Villasola già della pieve di Brivio; Calolzio, Carenno San Pietro, Castelrossino, Erve, Lorentino, Somasca, Vercurago già della pieve di Olginate; la prepositura plebana di Verdello e le relative parrocchie di Arcene, Boltiere, Brembate, Capriate, Ciserano, Grignano, San Gervasio, Levate, Lurano, Mariano, Osio Superiore, Osio Inferiore, Pognano, Sabbia, Sforzatica, Verdello Minore; la prepositura di San Giacomo in Valle Averara, la prepositura di Santa Brigida e le parrocchie di Cassiglio, Cusio, Mezzoldo, Ornica, Valtorta; le parrocchie di Olda, Pizzino, Preghera, Sottochiesa in Valtaleggio.
Nel 1806 passarono alla diocesi di Casale Monferrato la prepositura plebana di Frassineto e la parrocchia di Valmaca. Nel 1817 passarono alla diocesi di Novara l’arcipretuta collegiata di Arona; le parrocchie di Dagnente, Meina, Nebbuino, Pisano già della pieve di Angera; la prepositura plebana di Cannobio e le relative parrocchie di Sant’Agata, Cannero, Cavaglio, Creola, Cursolo, Falmenta, Guro, Gurrone, Orasso, Piaggio, Spozia, Trarego, Trafiume, Vigiona. Nel 1819 passò alla diocesi di Piacenza l’arcipretura di Cusani Boscone, tolta dalla pieve di Chignolo Po: Tra il 1819 e il 1820 fu risolta a favore della diocesi di Milano il conflitto giurisdizionale con Pavia su Sesto Calende.
Dopo la costituzione formale della diocesi di Lugano avvenuta nel 1883, passarono in amministrazione elvetica la Valle Riviera con la collegiata di Biasca e le parrocchie di Claro, Cresciano, Gnosca, Iragna, Lodrino, Moleno, Ossogna, Pontirone, Prosito, Preonzo; la Valle Leventina con le parrocchie di Airolo, Anzonico, Bedretto, Badio, Calonico, Calpiogna, Campello, Cavagnago, Chioggiogna, Chironico, Dalpe, Faido, Giornico, Mairengo, Mollare, Osco, Personico, Pollegio, Prato, Quinto, Rossura, Sobrio; la Valle di Blenio con le parrocchie di Aquila, Campo, Castro, Corzoneso, Dongio, Ghirone, Langario, Leontica, Lottigna, Ludiano, Malvaglia, Olivone, Ponte Valentino, Prugiasco, Semione, Torre; la Valle Capriasca, con la plebana di Tesserete e le parrocchie di Bidogno, Orilio con Carnago, Ponte Capriasca; la prepositura di Brissago.
Nel 1925 passarono alla diocesi di Pavia la prepositura plebana di Chignolo Po e le relative parrocchie di Alberone, Badia Caselle, Brissone, Camatta, Corte Sant’Andea, Costa de’ Nobili, Santa Cristina.
Con il decreto 2 febbraio 1968 dell’arcivescovo Giovanni Colombo, “allo scopo di rendere più agile e più efficace il governo pastorale” le “zone” dell’arcidiocesi furono raggruppate in sei regioni pastorali assegnate ai vescovi ausiliari in qualità di pro vicari generali. Le regioni pastorali erano stabilite nel modo seguente: regione prima: le parrocchie comprese entro i confini del comune di Milano; regione seconda: le zone di Varese, Besozzo, Tradate, Luino, Gallarate; regione terza: le zone di Lecco, Porlezza, Erba, Merate; regione quarta le zone di Saronno, Rho, Legnano, Busto Arsizio, Magenta; regione quinta: le zone di Monza, Desio, Cantù, Seregno, Vimercate, Sesto San Giovanni; regione sesta: le zone di Abbiategrasso, Melegnano, San Giuliano Milanese, Treviglio (decreto 2 febbraio 1968) (RDMi 1968).
Con decreto 11 marzo 1971 dell’arcivescovo Giovanni Colombo furono rivisti il numero, la consistenza e i confini dei vicariati foranei e furono costituiti i nuovi vicariati urbani. Questi ultimi erano stabiliti come segue: vicariato urbano del Centro A; Centro B; Zara; Venezia; Romana-Vittoria; Ticinese; Fiera; Sempione; Dergano; Affori; Niguarda; Turro; Città studi; Lambrate; Forlanini; Vigentino; Gratosoglio; Barona; Giambellino; Baggio; San Siro; Gallaratese; Cagnola; Quarto Oggiaro. I nuovi vicariati foranei erano così elencati: Abbiategrasso; Alto Lario; Appiano Gentile; Arcisate; Asso; Besozzo; Bollate; Bresso; Brivio; Busto Arsizio; Cantù; Carate Brianza; Castano Primo; Cernusco sul Naviglio; Cesano Boscone; Desio; Erba; Gallarate; Lecco; Legnano; Luino; Magenta; Melegnano; Melzo, Missaglia; Monza, Oggiono; Porlezza; Primaluna; Rho; San Donato Milanese; Saronno; Seregno; Sesto Calende; Sesto San Giovanni; Seveso; Somma Lombardo; Tradate; Treviglio; Trezzo d’Adda; Varese; Vimercate (decreto 11 marzo 1971) (RDMi 1971).
Con decreto 29 aprile 1971 dell’arcivescovo Giovanni Colombo furono costituite nel territorio della diocesi di Milano le nuove zone pastorali, per “garantire l’efficienza e il coordinamento della attività pastorale nei vicariati e nelle parrocchie”; la zona pastorale I di Milano città compendeva i vicariati urbani del Centro A; Centro B; Zara; Venezia; Romana-Vittoria; Ticinese; Fiera; Sempione; Dergano; Affori; Niguarda; Turro; Città studi; Lambrate; Forlanini; Vigentino; Gratosoglio; Barona; Giambellino; Baggio; San Siro; Gallaratese; Cagnola; Quarto Oggiaro; la zona pastorale II di Varese comprendeva i vicariati di Appiano Gentile; Arcisate; Besozzo; Gallarate; Luino; Sesto Calende; Somma Lombardo; Tradate; Varese; la zona pastorale III di Lecco comprendeva i vicariati di Alto Lario; Asso; Brivio; Erba; Lecco; Missaglia; Oggiono; Porlezza; Primaluna; la zona pastorale IV di Rho comprendeva i vicariati di Bollate; Busto Arsizio; Castano Primo; Legnano; Magenta; Rho; Saronno; la zona pastorale V di Monza comprendeva i vicariati di Bresso; Cantù; Carate Brianza; Cernusco sul Naviglio; Desio; Monza; Seregno; Sesto San Giovanni; Seveso; Vimercate; la zona pastorale VI di Melegnano comprendeva i vicariati di Abbiategrasso; Cesano Boscone; Melegnano; Melzo; San Donato Milanese; Treviglio; Trezzo d'Adda (decreto 29 aprile 1971) (RDMi 1971). Il sinodo diocesano 46° (Sinodo Colombo 1972, cost. 326), entrato in vigore il 21 maggio 1972, costituì nella diocesi di Milano i decanati (già delineati con la denominazione di vicariati urbani e foranei in base al decreto 11 marzo 1971), raggruppati in zone pastorali. Il decreto 2 maggio 1974 dell’arcivescovo Giovanni Colombo dispose una revisione della struttura territoriale della diocesi, concernente sia le zone sia i decanati (decreto 2 maggio 1974) (RDMi 1974). La principale innovazione fu costituita dalla creazione della zona pastorale VII di Sesto San Giovanni. Negli ultimi decenni del XX secolo, oltre alla nascita di numerose nuove parrocchie, si sono verificate alcune variazioni nelle circoscrizioni dei singoli decanati, delle quali si rende conto nelle relative schede.

ultima modifica: 04/01/2007

[ Saverio Almini ]