contado di Vigevano 1532 - 1743

Dopo la pace di Cambrais del 3 agosto 1529, Carlo V decise di assegnare di nuovo Milano a Francesco Sforza. Egli, rientrato nel suo ducato, volle fare opera benevola verso Vigevano, a cui era sempre stato legato come tutta la sua famiglia, decretandone nel 1530 l’ erezione a città aggregandole diversi territori; con bolla di papa Clemente VII Medici Vigevano divenne inoltre sede episcopale, separandosi così dalle diocesi di Novara e di Pavia (Colombo 1916).
Dopo la nomina a città i delegati di Vigevano si affrettarono a chiedere a Francesco II anche l’assegnazione di una “idoneam et competentem jurisdicionenem”, per cui Vigevano venne messa a capo di un piccolo contado che riuniva le terre di Gambolò, Cassolnovo, Cilavegna, Confienza, Palestro, Robbio, Nicorvo, Villanova, Gravellona, Torrione e Vinzaglio.
L’annuncio di questa concessione venne dato al consiglio generale di Vigevano nella seduta del 6 giugno 1531. La formazione effettiva del contado nel 1532 si ebbe accorpando territori già appartenenti alla giurisdizione di Novara (Gravellona, Cassolvecchio, Cassolnuovo e Villanova) e alla giurisdizione di Pavia (Gambolò, Cilavegna, Nicorvo, Palestro, Vinzaglio, Confienza, Robbio e Torrione): queste terre continueranno a pagare i dazi alle città di origine (Colombo 1916). Ma queste terre erano per la maggior parte infeudate, e quindi economicamente già sfruttate dai rispettivi signori che riscuotevano i dazi. Cominciarono da allora lunghissime liti proprio tra questi ultimi e l’amministrazione del contado. La situazione era resa ancor più problematica dalla disposizione di queste terre, a volte inframmezzate da altre appartenenti alla Lomellina, cosicché un contadino per recarsi a vendere le proprie mercanzie doveva pagare un cospicuo numero di dogane (Cardinali 1976).
Nel decennio 1560-1570 non vi sono testimonianze di cogregazioni provinciali o sindaci generali eletti dalle comunità rurali, si può parlare, in qusto periodo, di una prima forma organizzativa fra gruppi di comunità, diretta soprattutto a tutelare interessi comuni presso il governo centrale. Una struttura definitiva esiste, invece, nel 1590 periodo nel quale agiscono, nel contado, diversi funzionari: un procuratore, un sindaco generale, alcuni deputati e un commissario della “scossa” ma, soprattutto una congregazione provinciale che evidenzia come il contado vigevanese stia diventando una realtà autonoma anche amministrativamente (Occhielli 1916).
Il contado, per fissare il carico tributario normale e straordinario, impone che i consoli, dei rispettivi paesi, facessero, verso il 1590, l’elenco completo degli estimati con le cifre relative in ducati del proprio estimo (Gardinali 1976).
In data 8 giugno 1592 si legge un ordine di Sua Maestà ottenuta dai contadi per non essere forzati ad eleggere sindaci biennali, cosicchè non si levasse loro la facoltà di farli perseverare per il tempo che ritenessero opportuno (ASTo, Inventario 134 ).
Nel 1600, in occasione della suddivisione dell’estimo, si produce un sommario delle diverse terre del contado di Vigevano (ASTo, Carte Vigevano).
È del 12 giugno 1674 l’attestato del cancelliere del contado di Vigevano circa la divisione che si fece del mensuale, ossia estimo, con la provincia del contado e la città di Vigevano dall’anno 1603. La terra di Cassolvecchio assegnata al contado in quel anno paga, da allora, i carichi di detto contado (ASTo, Parte seconda Vigevano).
Nel 1626 sono riassunti una serie di attestati dei consoli di Cassolnovo, Cassolvecchio, Cilavegna, Confienza, Gambolò, Gravalona, Nicorvo, Palestro, Robio, Villanova, Vinzaglio, nei quali si dichiara la rispettiva quantità e qualità dei beni dei loro territori, il numero delle chiese, dei luoghi pii ed ecclesiastici, quello delle anime, le prerogative del feudatario e i rispettivi dazi
(ASTo, Inventario Vigevanasco Città e Contado).
In un avviso del 10 ottobre del 1639 ai signori consoli delle terre interessate, si stabilisce che possa avvenire libera contrattazione e comunicazione di tali terre, tra esse e la loro città, senza che si paghi alcun dazio, perchè in avvenire si considerino tutte terre vigevanasche e non pavesi o novaresi come lo erano in passato.
Pertanto, Gambolò, Gravellona, Cillavegna, Cassolnovo, Cassolvecchio, Villanova si considerino terre del Vigevanasco e così Nicorvo, Robbio, Confienza, Palestro e Vinzaglio.
Nel frattempo prima che avvenga l’effettivo passaggio dal territorio novarese a quello lomellino si istituiranno due ufficiali o postari con due libri, uno a Cillavegna e l’altro a Robbio o Nicorvo in modo che il pagamento (parpajola) di soldi due e denari sei di Milano (per qualunque conducente e per qualsiasi mercanzia che dalle dette cinque terre volesse andare alle altre sei del contado) venga fatto dai postari suddetti, ma il pagamento viene effettuato solo all’andata e non al ritorno se la bolletta è rilasciata da uno e data all’altro. Tale bolletta deve essere consegnata entro un mese, o 15 giorni dal “non impediatur” (ASTo, Carte Vigevano)
Il 18 giugno 1644 si censiscono le persone abili alle armi dai 18 ai 50 anni delle terre iscritte nel contado (e precisamente: Villareale, Cilavegna, Palestro, Gambolò, Robbio, Vinzaglio, Gravellona, Nicorvo, Confienza, Cassolnovo e Villanova) (ASTo, Carte prima Vigevano).
Il Trattato di Torino del 1703 oltre a stabilire la cessione imperiale del Monferrato, Alessandrino, Lomellina, Val Sesia e Valenzano, “cum omnibus terris infra Padum et Tanarum sitis”, aveva un articolo segreto in cui a Vittorio Emanuele II era promessa anche “Provincia seu ditio Vigevanum vulgo Vigevinasco dicta”, con la clausola che qualora detta promessa, per eventuali difficoltà non potesse essere mantenuta, il Vigevanasco sarebbe stato commutato con altri luoghi dello Stato di Milano. Nel 1707, alla corte di Vienna, di questo patto segreto non si voleva saperne, quindi Vittorio Amedeo insisteva, presso il cugino Eugenio affinchè si risolvesse la questione prima che il Vigevanasco prestasse giuramento a Carlo II.
Il Vigevanasco, tuttavia, giurò.
La scontentezza del governo sabaudo fu oltremodo rafforzata perchè appoggiandosi alle parole del trattato ” cum omnibus terris infra Padum ecc.” gli ufficiali sabaudi avevano occupato le terre di Bassignana, Pecetto, Rivarone e Pietra de’ Marazzi che Pavia asseriva appartenenti all’Oltrepò del suo principato e quindi non inclusi nella concessione. Pretendevano, inoltre, di entrare in possesso di Torre de’ Torti, Travedo e San Fedele che, sempre secondo Pavia, erano luoghi del Siccomario, e di Campomaggiore, appartenentte ai Corpi Santi della città.
Solo grazie all’ intervento di due potenze straniere (i due delegati di Inghilterra, Abramo Stanyan, e Olanda, Alberto Wander Meer), il duca Sabaudo ottenne, con la sentenza del 27 giugno 1712, ciò che era stato stabilito nel suddetto Trattato, e cioè che fossero annessi: Vigevano e il Vigevanasco, Torre de’ Torti, San Fedele, Travedo e Campomaggiore, Cava, Sommo e Albonese, Bassignana, Pecetto, Rivarone e Pietra Marazzi (ASMi, Confini Torino).
(Non riuscendo ad avere la meglio sulla sentenza dei due stranieri, l’Imperatore mantenne il Siccomario che fu ceduto a Casa Savoia solo nel 1738. Così pure avvenne per i paesi tra il Po e il Tanaro che solo il Trattato di Worms, 1743, aggiudicò definitivamente al re di Sardegna
(ASTo, Confini antichi con Milano).
Nel 1744 si legge di un ricorso da parte del contado di Vigevano in cui si domanda che nell’amministrazione della giustizia si osservassero le stesse leggi, costituzioni, statuti, ordini e consuetudini che si osservavano prima che passasse sotto il dominio di sua maestà (ASTo, Inventario n°45)
È del 1760 una relazione del conte Perret d’Hauteville, in adempimento agli incarichi della regia commissione, di riportare dagli archivi di Milano i paesi di nuovo acquisto (ASTo, Inventario n° 45).

ultima modifica: 11/01/2007

[ Gloria Ferrario, Cooperativa Arché - Pavia ]