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257. Francesco Sforza a Simonetto 1450 agosto 31 Lodi

Francesco Sforza è grato a Simonetto per le parole affettuose espressegli, ma afferma non poterlo assumere al suo servizio avendo già «gran caricho de gente d'arme».

Simonecto, comiti Castri Petre.
Magnifice et strenue tanquam frater noster carissime, et per vostre lettere date a dì xvii del presente et per relatione de Gasparino de Sancto Angelo, vostro compagno, havemo inteso quanto amore et affectione ne portate et quanto site desideroso de farne cosa grata et d'essere alli servitii nostri, el che molto n'è piaciuto et, benché prima fussemo più che certi l'animo vostro essere tale verso noy quale ne havite significato perché molte volte l'havemo experimentato, nondimeno n'è stato gratissimo haverlo inteso de novo et tanto vi ne regratiamo et siamo obligati, quanto dire potessemo, certificandvi che l'animo nostro è reciproco verso de voy et ove possiamo fare cosa alcuna che redundi in bene et honore vostro trovarite che lo farimo volunteri, come per nuy stessi. Et per venire alla spetialità dela vostra lettera et de quello ne ha exposto dicto Gasparino circa el condurve alli nostri servitii, dicemo essere vero che Alexandro, nostro fratello, ne ha parlato assai de facti vostri, et lo nostro desiderio saria de havervi cum nuy, perché cognoscemo le virtute et valere vostro et la fede et affectione vostra verso noy, et si le conditione nostre fusseno tale che potessemo supportare la spesa, più voluntere vi acceptaressemo che non veneresti voy. Ma, havendo gran caricho de gente d'arme alle spalle et tale che non possiamo supplire alla spesa, non vi vorressemo tirare de qua et poi stentarvi al pagamento vostro, che non se faria per voi né etiamdio per noi, non di mancho noi continuamente actendiamo ad mectere ordine et affecto alli facti nostri et speramo dirizare le cose nostre in modo che col tempo potiremo fare verso voi quello che n'è totalmente impossibile al presente. Et perché largamente havemo resposto et dicto al dicto Gasparino l'animo et mente nostra, et però non ne stendiremo più oltra, si non che alluy la magnificentia vostra porrà credere quanto a nuy proprii. Laude, ultimo augusti 1450.
Cichus.