Elefante

bottega lombarda

Elefante

Descrizione

Denominazione: Ciclo pittorico del Portico dell'Elefante

Ambito culturale: bottega lombarda

Cronologia: post 1472 - ante 1476

Tipologia: pertinenze decorative

Materia e tecnica: intonaco/ pittura

Descrizione: La campata sinistra, maggiormente danneggiata, mostra sulla sinistra le zampe posteriori di un leone, oltre il quale si colloca il profilo scuro di un uomo a cavallo e un edificio residenziale, con tetto a capanna dotato di comignolo e di due file di aperture ad arco profilate in mattoni nella parte superiore. Sulla destra invece era probabilmente raffigurato in primo piano un gruppo di personaggi oggi purtroppo quasi del tutto perduti; in secondo piano sono visibili altre sagome di contadini al lavoro nei campi sullo sfondo di un paesaggio bucolico-agreste.
La campata successiva è invece occupata dalla raffigurazione di un elefante che tiene due bastoni stretti nella proboscide. L'animale fronteggia un domatore vestito con una tunica azzurra di foggia orientale e con un turbante bianco in testa. In origine l'animale doveva essere cavalcato da un altro personaggio (oggi per la maggior parte scomparso) che probabilmente raffigurava un nano ed è seguito da un uomo dalla pelle scura, vestito all'antica, che reca tra le mani un oggetto di difficile identificazione. Lo sfondo di questa seconda scena è caratterizzato da un paesaggio naturale ricco di pareti rocciose, sul quale è ancora visibile la traccia di un gruppo di personaggi, sia a piedi che a cavallo.

Notizie storico-critiche: Il Portico dell'Elefante si presenta come una struttura dalle proporzioni insolite (8 metri di altezza e profondità per una lunghezza di 28 metri), aperta verso il cortile interno della Corte Ducale attraverso una fila di colonne di serizzo alte 5 metri con capitelli corinzi scudettati, caratterizzati da eleganti peducci che sorreggono una grande volta lunettata. Nell'angolo prossimo alla Torre tale portico mostra ancora oggi ciò che rimane di una decorazione ad affresco che interessa le prime due campate, entrambe incorniciate da un arco a conci bianchi e neri.
La struttura fu costruita in concomitanza in concomitanza con i lavori effettuati in Corte Ducale dall'architetto toscano Benedetto Ferrini a partire dal 1472 fino al 1476, su commissione del duca di Milano Galeazzo Maria Sforza che decise di trasferirsi all'interno del fortilizio trasformandolo in una residenza signorile. Il duca concentrò la sua attenzione nei lavori di sistemazione del cortile della Rocchetta e della cosiddetta "Corte Ducale", che Ferrini chiuse sul lato di fondo con le sei arcate del portico dell'Elefante. Il progetto del portico, sui documenti dell'epoca indicato come "Sala aperta", è generalmente a lui attribuito nonostante non esistano prove sicure di un intervento diretto. Nel 1497 Ludovico il Moro, nel dare istruzioni per la realizzazione di una serie di stemmi dipinti all'interno del Castello, si riferisce alla zona indicandola con il termine "Sala dello Elefante", il che farebbe pensare che all'epoca il portico fosse stato parzialmente murato. Ad oggi è impossibile stabilire se ciò che resta del dipinto sia solo una piccola parte di un ciclo più ampio, tuttavia la definizione stessa datagli dal Moro parrebbe suggerire che l'immagine dell'elefante fosse considerata comunque il fulcro dell'intera pittura murale. Nessuna testimonianza documentaria pare confermare l'esistenza di un pachiderma nel parco ducale milanese (dove sono invece, ad esempio, attestati leopardi) ma è comunque possibile che nella Milano del XV secolo gli elefanti fossero stati visti come esemplari di attrazioni itineranti o che fossero conosciuti attraverso i tacuini di artisti in contatto con il mondo culturae orientale e nordafricano. E' dunque possibile che Galeazzo Maria avesse deciso di far realizzare sulle pareti di questo portico una sorta di bestiario. Gli animali erano inoltre sovente utilizzati nella pittura rinascimentale con particolari valenze simboliche e perciò spesso legati all'invenzione di stemmi nobiliari e imprese familiari. L'elefante era considerato simbolo di memoria e di magnificenza, mentre il leone (presente ormai in solo in traccia nella prima campata del portico) era indicativo di forza e coraggio.
All'inizio del Novecento, durante alcune campagne di ristrutturazione del cortile, buona parte dell'immagine dipinta nella prima arcata fu distrutta: l'architetto responsabile dei lavori, Luca Beltrami, era infatti convinto che la "Sala dello Elefante" fosse collocata nel corrispondente ambiente al piano superiore e dunque agì incurante dei dipinti. Solo durante la campagna del 1912-1913 furono scoperti alcuni lacerti di pittura murale sotto le pesanti scialbature e l'intera zona fu poi restaurata e liberata nel 1920 dai pittori-restauratori Quarantelli e Silvestri.
Ad oggi risulta impossibile ipotizzare un nome cui attribuire la paternità dei dipinti. Probabilmente si tratta di un artista dalla personalità abbastanza marcata e aggiornata, di vaga ispirazione mantegnesca nella trattazione dei dettagli del paesaggio. I personaggi, che rimangono solo al livello della preparazione o poco oltre, sono raffigurati in pose leziose e aristocratiche, il che farebbe pensare ad una conoscenza da parte dell'artista dei coevi modelli ed esempi di pittura ferrarese. Con grande abilità è invece resa la pelle dell'elefante, caratterizzata da profonde rugosità incise nell'intonaco.

Collocazione

Milano (MI), Raccolte Artistiche del Castello Sforzesco

Credits

Compilazione: Uva, Cristina (2015)

  Scheda completa SIRBeC (formato PDF)

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