Busto di Francesco II Gonzaga

Romano, Gian Cristoforo (attribuito)

Busto di Francesco II Gonzaga

Descrizione

Identificazione: Ritratto d'uomo

Autore: Romano, Gian Cristoforo (attribuito) (1465-1512), esecutore

Cronologia: ca. 1498 - ca. 1500

Tipologia: scultura

Materia e tecnica: terracotta

Peso: 50 cm

Descrizione: Scultura in terraccotta che ritrae a mezzo busto Francesco II Gonzaga. Il marchese indossa una ricca corazza minuziosamente decorata. Il volto barbuto è incorniciato dai capelli lunghi, ondulati, divisi al centro.

Notizie storico-critiche: Il busto è stato donato con lascito testamentario da Pasquale Coddè (1756-1828) segretario dell'Accademia Virgiliana e risulta conservato sino al 1915 presso il Corridor grande del Palazzo degli Studi, tra le opere del Museo Statuario greco-romano.
Il busto ritrae il marchese di Mantova Francesco II Gonzaga (1484-1519) esaltato nel suo ruolo di principe-guerriero. Il ritratto, intriso di quell'umanesimo incline al simbolismo che caratterizza la cultura della corte gonzaghesca all'epoca di Isabella D'Este, fu con tutta probabilità commissionato poco dopo l'importante vittoria del 6 luglio 1495, ottenuta dal Gonzaga, al comando dell'esercito della Lega Italica, nella battaglia di Fornovo contro Carlo VIII di Francia. Il marchese indossa un'elegante corazza da parata ornata da motivi delicatamente aggettanti o incisi secondo un raffinatissimo programma iconografico. Sul pettorale spicca l'impresa del crogiolo adottata dal Gonzaga proprio in seguito al celebre fatto d'arme: un fascio di verghe d'oro è messo a fondere in un crogiolo perché ne sia saggiata la purezza, simbolo della fedeltà del Gonzaga agli impegni militari. Le sottostanti teste equine affrontate rimandano invece con tutta probabilità alla notissima passione del principe per i cavalli. L'aquila ad ali spiegate che campeggia su un importante bottino di guerra reggendo nel becco una corona regale, rievoca la vittoria del Taro sull'esercito francese. L'aquila sorregge tra le ali aperte una targa che reca incise, appena leggibili, tracce di un'iscrizione su tre righe: "'.DVC/ '.OR/ TRIVMPHOS". Sullo spallaccio di destra è raffigurato il caduceo, simbolo di concordia, mentre su quello di sinistra si scorge un guerriero armato che solleva su una mano il tempio di Giano dalle porte spalancate. Completava la decorazione sul guardagoletta sinistro la raffigurazione a rilievo di una testa di Medusa di cui rimane solo una parte dei capelli (D'Arco 1857). La decorazione figurata della corazza, resa con gusto raffinato dei particolari e con pulizia di esecuzione, combinando riferimenti alla vicende biografiche del Gonzaga con motivi tratti dalla cultura antica, si propone come un vero proemio al ritratto fisionomico. Il volto di Francesco II, incorniciato dalla folta chioma di capelli lunghi ed ondulati e dalla curatissima barba, è reso con vigore, senza leziosità. I tratti del marchese risultano assai vicini a quelli immortalati nel 1496 da Andrea Mantegna nella Pala di Santa Maria della Vittoria ora al Louvre. Al busto va affiancato anche il ritratto a gessetto nero conservato a Dublino, tradizionalmente attribuito al Bonsignori, di cui sembrano ripresi sia i tratti del volto che l'intensità dello sguardo (Furlan 2006b). L'altissima qualità del modellato, ottimamente conservato benché si notino tracce di un restauro ottocentesco con il rifacimento di alcune parti marginali, ha suggerito una possibile attribuzione ad Andrea Mantegna; in tal senso si sono espressi D'Arco, Fiocco, Ozzola. La prima attribuzione a Gian Cristoforo Ganti è del Venturi nel 1907. Giannantoni nel 1929 propone invece una seducente, ma isolata proposta all'orafo Gian Marco Cavalli. In occasione della Mostra Iconografica Gonzaghesca del 1937 l'opera è nuovamente riferita al Romano. L'attribuzione è sostenuta nel 1961 da Paccagnini che suggerisce però un modello grafico di Mantegna. Il riferimento, ribadito in seguito da Radcliffe e da Ferino-Pagden, risulta confermato anche in occasione delle celebrazioni mantegnesche del 2006. Unica voce dissonante, all'interno del dibattito sulla vexata questio relativa a "Mantegna scultore", è quella di Furlan che rilancia la possibilità di un'autografia mantegnesca (Furlan 2006a). In mancanza di prove documentarie, il riferimento del busto al Romano, è sempre stato sostenuto dalla critica sulla base della sua accertata attività di scultore di corte presso i Gonzaga dal 1497 al 1505 e sulla base di confronti stilistici con altri ritratti dell'ancora controverso catalogo dell'artista, in particolare con quello di Beatrice D'Este del Luovre (1491), di Gian Galezzo Visconti della Cerosa di Pavia (1491-1497) del fanciullo della Ca' d'Oro di Venezia (1505). A questi si aggiunge il convincente confronto con il busto in terracotta di Girolamo Andreasi del Museo Bardini di Firenze (De Benedictis 1985; Radcliffe 1992). In ogni caso il busto va riconosciuto come un'opera fondamentale all'interno della produzione plastica mantovana di fine Quattrocento come confermato anche dal fatto che tra i pochi ritratti di Francesco II restano a Mantova altri due busti in terracotta, di qualità non altrettanto alta, che da questo sembrano dipendere strettamente: il primo è un busto di grandi dimensioni posto dall'umanista Battista Fiera nel 1514 sotto l'arco di Porta Nuova a Mantova accanto a quello di Virgilio e del carmelitano Battista Spagnoli (Signorini 2006); l'altro è un busto "gemello" ora in collezione privata (Malacarne 2005).

Collezione: Collezioni civiche del Museo della Città di Mantova

Collocazione

Mantova (MN), Museo della Città

Credits

Compilazione: Pisani, Chiara (2009)

Aggiornamento: Pisani, Chiara (2013); Massari, Francesca (2014)

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