Sala dei Cavalli

Giulio Romano; Rinaldo Mantovano (attribuito); Pagni, Benedetto (attribuito); Amigoni, Gaspare (attribuito)

Sala dei Cavalli

Descrizione

Identificazione: Cavallo

Autore: Giulio Romano (1499 ca.-1546), ideatore / esecutore; Rinaldo Mantovano (attribuito) (m. 1546 ante), pittore; Pagni, Benedetto (attribuito) (1504-1578), pittore; Amigoni, Gaspare (attribuito) (notizie 1528-1539), intagliatore

Cronologia: ca. 1525 - ca. 1526

Tipologia: pertinenze decorative

Materia e tecnica: intonaco/ pittura a fresco

Misure: 9,66 m x 17,75 m x 8,24 m (pareti); 9,66 m x 17,75 m (soffito)

Descrizione: Sulle pareti è stata affrescata una finta architettura composta da paraste corinzie, singole sulle pareti corte e binate sulle lunghe: un fregio continuo dipinto a girali vegetali con putti e mascheroni corre al di sopra dell'architrave posta sui capitelli delle paraste. L'intelaiatura architettonica, arricchita da motivi ornamentali a festone tra i capitelli e da finte croste marmoree alternate ai fusti delle paraste, ospita al suo interno cinque nicchie con statue a figura intera e cinque nicchie con busti, alternate a porzioni nelle quali compaiono sei scene a monocromo con imprese di Ercole e, sottostanti ad esse, sei ritratti al naturale di cavalli. Questi ultimi sono illusionisticamente dipinti al di qua del piano dell'architettura; paesaggi con vedute campestri si aprono dietro ciascun animale. Il soffitto a cassettoni è realizzato in legno dipinto e dorato. I cassettoni di dimensioni maggiori, di forma quadrata, sono collocati all'interno della fascia perimetrale intrecciata ospitante lacunari con ramarri e con rosette; in essi campiscono rosoni e imprese del monte Olimpo in numero, rispettivamente, di 8 e di 7. Le imprese del ramarro sono 56.

Notizie storico-critiche: La decorazione ad affresco occupa la metà superiore delle pareti della sala, dall'altezza delle architravi dei portali marmorei fino al cornicione ligneo d'imposta del soffitto. La porzione inferiore delle pareti era destinata ad essere ricoperta, qui come in molte altre camere del palazzo, da spalliere di corami: l'inventario della villa redatto nel 1540 specifica che nella Sala dei Cavalli lo zoccolo delle pareti era rivestito da "otto pezzi de spalera de coramo rosso cum coloni de oro" (cfr. Belluzzi 1998, pp. 365-366). Protagonisti assoluti della decorazione sono i sei destrieri dipinti quasi al naturale sullo sfondo di aperture di paesaggio, due dei quali (i cavalli di destra delle due pareti maggiori) ancora oggi accompagnati dal relativo nome iscritto sul basamento tra gli zoccoli. Il nome di altri due cavalli - Bataglia e Glorioso - è invece trasmesso dalla testimonianza grafica dell'Andreasi. Il soggetto della sala trova particolare fortuna in seno alla committenza gonzaghesca: la celebrazione degli amati cavalli era già stata introdotta nel palazzo di Marmirolo e sarà ripresa nell'appartamento di Troia in Palazzo Ducale a Mantova. A Palazzo Te la dedicazione ai destrieri favoriti del marchese, della sala di maggiori dimensioni e di funzione pubblico-cerimoniale, segna anche l'ideale continuità con l'originaria funzione delle preesistenti strutture architettoniche, adibite a scuderie prima dell'arrivo di Giulio Romano. La datazione degli affreschi oscilla tra il 1526 e il 1528 e oggetto di discussione critica è la paternità dei vari brani. Sulla scia di Carpi (1920), Hartt (1958) riferisce alla sala sette documenti, scalati tra giugno 1527 e maggio 1528, attribuendo agli artisti in essi citati specifiche parti della decorazione: a Fermo da Caravaggio il fregio vegetale con putti, a Rinaldo Mantovano e Benedetto Pagni i cavalli, le statue, i busti e i rilievi in finto bronzo, a Bozino la probabile esecuzione della parte architettonica. Hartt contesta inoltre l'attribuzione dei paesaggi a Luca da Faenza e del fregio con girali ad Anselmo de Ganis (Guazzi?) e Agostino da Mozzanica avanzata dalla Carpi. Verheyen (1977), anch'egli datando gli affreschi al 1527-1528, si mostra più cauto nelle attribuzioni, ipotizzando che l'architettura possa essere dovuta a Fermo e che i cavalli, in perfetto accordo con la testimonianza vasariana, siano stati interamente eseguiti da Rinaldo e Pagni. L'esercizio delle attribuzioni è puntualmente proposto da Oberhuber (1989) che assegna a Rinaldo le statue di Giove, Giunone e Venere e le scene "Ercole e Anteo" ed "Ercole e il Leone nemeo"; a Benedetto la statua di Vulcano, i busti e le scene "Ercole e Cerbero" e "Ercole e l'Idra"; ad Anselmo Guazzi e Agostino da Mozzanica i paesaggi retrostanti i cavalli e, infine, a Giulio Romano stesso la scena di "Ercole e Deianira" - l'unica della quale sussiste un progetto grafico di mano del maestro, oggi a Stoccolma - e i magistrali destrieri. La datazione degli affreschi proposta da Oberhuber è precoce, al 1525-1526, e accolta da Belluzzi (1998) anche sulla base della testimonianza di Vasari e di evidenze documentarie; Belluzzi appoggia inoltre l'ipotesi dell'intervento diretto di Giulio sulle figure dei cavalli: ai pittori "di figure" Rinaldo e Benedetto spetterebbero le scene principali del salone, a collaboratori vari i paesaggi, il fregio, il telaio architettonico. Un mutamento di intenzione sarebbe alla base della scelta di dipingere paesaggi al di sopra di una precedente decorazione, i cui bordi rossi e gialli sono tuttora visibili a ridosso dei cavalli e che Basile (1994) ipotizza a finta specchiatura marmorea. Nella sala sono altresì presenti tracce di una decorazione più antica, forse riferibile alle scuderie di Federico prima dell'intervento giuliesco: intonaci rossi all'angolo nord-est e policromi all'angolo sud-ovest. Secondo Basile le tecniche esecutive degli affreschi rafforzano la tesi - già in Vasari - dell'inizio dei lavori della villa dalla Sala dei Cavalli (cfr. Basile 1994, p. 74 nota 52). L'osservazione delle stesse, in specie l'accentuata segmentazione in giornate della parete ovest, porta a ipotizzare che da tale parete abbia preso inizio e sia continuata in senso orario la decorazione. I rilievi grafici di Andreasi riproducono dettagli oggi scarsamente visibili o totalmente perduti come la figura di Marte nella seconda nicchia della parete ovest, ridipinta ex novo nel Settecento.
L'intagliatore e intarsiatore Gaspare Amigoni, citato in mandati di pagamento del 14 febbraio e del 27 maggio 1528 per la realizzazione di centonove rosoni lignei destinati al "zuffo del cuperto del palazo novo del Te" "verso la citade" (cfr. Belluzzi 1998, p. 27), è comunemente ritenuto dalla critica il responsabile dell'esecuzione del soffitto ligneo della Sala dei Cavalli. Tutti i ramarri, in legno intagliato e dorato, non sono originali bensì frutto di un rifacimento realizzato dopo il 1817.

Collocazione

Mantova (MN), Museo Civico di Palazzo Te

Credits

Compilazione: Marocchi, Giulia (2011)

Aggiornamento: Pisani, Chiara (2011); Massari, Francesca (2014)

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