Casa degli Omenoni - complesso

Milano (MI)

Indirizzo: Via degli Omenoni, 3 - Milano (MI)

Tipologia generale: architettura per la residenza, il terziario e i servizi

Tipologia specifica: palazzo

Configurazione strutturale: Dell'edificio originario, come lo volle Leoni, purtroppo oggi non resta molto, dopo i pesanti restauri che, tra Ottocento e Novecento, ne alterarono irrimediabilmente l'aspetto. La facciata, soltanto, è quasi intatta, nonostante l'aggiunta incongrua del piano attico, e dei balconi in ferro battuto. Nulla resta dell'antica disposizione degli interni dopo i profondi rifacimenti del XIX e del XX sec.

Epoca di costruzione: metà sec. XVI

Autori: Leoni, Leone, progetto; Abbondio, Antonio, decorazione: facciata; Portaluppi, Piero, rifacimento

Comprende

Descrizione

Leone Leoni era giunto a Milano nel 1542, dopo un soggiorno genovese durato un paio d'anni: nel 1540, infatti, lo scultore aveva dovuto lasciare Roma, dove risiedeva da tempo, per aver ferito in una rissa Pellegrino da Leuti, gioielliere e tesoriere papale. A Genova gli aveva offerto rifugio Andrea Doria, e infine, nel 1542, il marchese del Vasto, allora governatore di Milano, gli aveva procurato l'incarico di scultore dei coni nella Cesarea Zecca.
Nei primi anni fu in città solo per brevi periodi, per via degli impegni con la corte di Carlo V: da subito, tuttavia, cominciò a cercare di ottenere un'abitazione adatta alle sue esigenze. Nel 1546, finalmente, ebbe in dono dall'imperatore una casa posta nella parrocchia di S. Martino in Nosigia, confiscata a un certo Giovanni Antonio da Prato (Conti, 1995); il passaggio di proprietà non era però ancora avvenuto nel 1549, nonostante le continue sollecitazioni di Leone, che ne aveva assoluto bisogno anche per installare la fonderia necessaria "per fare l'opere per Sua Maestà" (Conti, 1995). Ne entrò in possesso, probabilmente, solo tra il 1550 e il 1551.
Nasce così la residenza milanese di Leone Leoni, ammirata da Vasari durante il suo soggiorno in città del 1566. Dell'edificio originario, come lo volle Leoni, purtroppo oggi non resta molto, dopo i pesanti restauri che, tra Ottocento e Novecento, ne alterarono irrimediabilmente l'aspetto. La facciata, soltanto, è quasi intatta, nonostante l'aggiunta incongrua del piano attico, e dei balconi in ferro battuto; quella straordinaria facciata dal partito architettonico di "sobria eleganza, proprio da orafo" (Nebbia, 1963), scandita dalle grandi figure di telamoni che, non a caso, le fonti definiscono talvolta 'prigioni', per l'evidente consonanza con le celebri sculture che Michelangelo aveva eseguito per la tomba romana di papa Giulio II. Quelle statue, non sappiamo se Leone le conoscesse, ma di Michelangelo era buon amico, e nella sua collezione, a detta di Girolamo Borsieri, conservava un "quadrone di Giganti" dell'artista fiorentino (Tronca, 1995). Un'altra fonte figurativa possibile, per Leone, è il Portico Persiano, nella descrizione di Vitruvio.
Disegnati probabilmente da Leone, i telamoni furono tradotti in pietra, secondo la testimonianza di Lomazzo, da Antonio Abbondio detto l'Ascona, scultore lombardo allora di qualche notorietà (B. Agosti, 1996).
Nulla resta dell'antica disposizione degli interni; solo in parte la si può ricostruire grazie a un inventario del 1615, redatto alla morte di Giovanni Battista Leoni, nipote dello scultore (Tronca, 1995). Il documento è una testimonianza preziosa, inoltre, per quanto sommaria, per la ricostruzione delle ricche collezioni d'arte che nel palazzo erano ospitate. Al piano nobile erano i tre ambienti contigui destinati all'esposizione delle opere: un'anticamera, un camerino e il grande studio ottagono. Qui, in particolare, nello studio, erano conservate le cose più preziose: un'Andromeda e un Marte e Venere di Tiziano, un San Giorgio di Parmigianino, il libro di disegni di Leonardo forse da identificare con il Codice Atlantico e i calchi in gesso dall'antico, ora in parte alla Biblioteca Ambrosiana; i due dipinti di Michelangelo, il 'quadrone di Giganti' e la Venere, si trovavano invece nel camerino. Probabilmente la dispersione della collezione iniziò assai presto, nonostante le disposizioni testamentarie di Leone, che muore nel 1590 (Tronca, 1995): già Girolamo Borsieri, che ne scrisse nel 1619, riuscì a darne solo vaghi cenni. E ugualmente il palazzo, che aveva destato stupore e ammirazione tra i contemporanei, fu ben presto abbandonato.

Notizie storiche

Il palazzo era stata progettato e costruito, a metà del XVI sec., dall' artista Leone Leoni come sua abitazione, nelle forme del tardo '500 manierista, e adoperato come galleria delle sue collezioni d'arte: dipinti di vari artisti del tempo, da Tiziano a Correggio, sculture, trattati, ecc. La facciata era caratterizzata dagli 8 telamoni commissionati all'Abbondio, popolarmente detti Omenoni.
Dal Leoni era passato, attraverso vari passaggi ai Besana, i quali all'inizio dell'Ottocento lo incorporavano in un più vasto edificio dell'arch. Piuri, che fronteggia la Piazza Belgioioso. Sempre nel XIX sec. subì altri rimaneggiamenti nel cortile e negli ambienti interni.
Ai primi del Novecento rischiò anche di essere demolito, finchè palazzo Besana nel 1932 diviene sede della Federazione Fascista.
Nel 1929, divenuto sede del "Nuovo Circolo", o Clubino, fu ristrutturato radicalmente dal Portaluppi: elimina la scala originaria, chiude il porticato sul cortile con vetrate, nel cortile stesso idea una piscina, progetta un giardino.

Uso attuale: intero bene: circolo privato con albergo e ristorante

Uso storico: intero bene: abitazione

Condizione giuridica: proprietà privata

Accessibilità: I locali sono occupati da un Club privato.

Percorsi tematici:

Credits

Compilazione: Ribaudo, Robert (2009)

Aggiornamento: Alinovi, Cristina (2015)

Descrizione e notizie storiche: Monaco, Tiziana; Ribaudo, Robert

Fotografie: BAMS photo Rodella/ Jaca Book; Barbalini, Fabio

  Scheda completa SIRBeC (formato PDF)

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