Comune di Gromo (sec. XII -)

Sede: Gromo

Tipologia ente: ente pubblico territoriale

Progetto: Archidata

Il territorio di Gromo, insieme a Clusone, Gandellino, Ardesio e Bondione, fu donato da Carlo Magno alla canonica di S. Martino di Tours nel 774. Questo possesso fu scambiato dai suddetti canonici nel 1026 con Ambrogio, vescovo di Bergamo, che ne divenne in tal modo feudatario.
In questo territorio, così come in Ardesio, esistevano allora diverse miniere d'argento e di rame il cui possesso fu tenacemente conteso tra il comune e il vescovo di Bergamo.
Il comune di Gromo acquistò la sua autonomia nel corso del XIII secolo. Da un documento conservato nell'archivio della Misericordia di Bergamo risulta che già nel 1238 il comune possedeva uno statuto che regolamentava la sua autonomia sia in campo economico che in quello giudiziario. Un documento rogato a Bergamo il 3 giugno 1246, riportato in copia settecentesca (e tradotto in volgare) in questo archivio, testimonia una fase di definizione dei confini territoriali del comune; questo stadio consisteva nella spartizione dei boschi e dei pascoli che, precedentemente alla costituzione dei vari Comuni, venivano sfruttati collettivamente da Gromo con le comunità limitrofe.
Nel 1267 Bergamo concesse a Gromo, insieme a Gandellino e Valgoglio, come ricompensa per aver partecipato a diverse imprese militari al suo fianco, il privilegio di diventare borgo della città e l'esenzione da tutte le imposte, salvo però i proventi delle miniere d'argento e rame. Presso la Biblioteca Civica "A. Mai" di Bergamo è conservato lo statuto di Gromo, stilato dal notaio Bernardino de Maffeis di Bergamo nel 1512. Nell'intestazione è specificato che tali norme sono "...noviter compillata, facta et reformata...", ma anche "...partim etiam effectualiter exstracta ex quodam suo statuto antiquissimo seu volumine statutorum in dicto comuni compillatorum Anno domini curente Millesimo ducentessimo sexto nona Indictione".
Esso si presenta articolato in sei "collationes", per un totale di 140 capitoli. Nell'intestazione il comune
di Gromo viene ancora definito borgo ("...Burgi Grumello de Gromo Vallis Seriane Superioris,..."), probabilmente per indicare che l'antico privilegio rimaneva valido, dato oltre tutto che nel 1428 la Repubblica Veneta riconfermò a tutta la valle gli statuti e i privilegi che essa godeva in precedenza. Durante il dominio veneto il comune era compreso istituzionalmente nella valle Seriana Superiore, la quale era retta da un podestà eletto dal consiglio di valle e quindi approvato da Venezia. Ma, nel 1610, Gromo, insieme ad Ardesio e Valgoglio rinunciò a far parte del consiglio di Valle e formò con essi l'Unione. Tale Unione, l'anno seguente, accolse anche il comune di Gandellino e prese il nome di Quadra di Ardesio. Inoltre la contrada di Boario si rese autonoma, costituendosi comune nell'anno 1612, ma nel 1621 si riunì a Gromo.
Il primo novembre 1666 una catastrofica alluvione distrusse secondo le cronache dell'epoca, due ponti sul fiume Serio, molte case e l'intera contrada Goglio (che difatti non si trova più citata nella documentazione successiva a quell'anno) dove esistevano oltre una trentina di fucine per la lavorazione del ferro estratto dalle miniere della val di Scalve. In seguito a questo disastro Gromo fu esentato dal pagamento dei dazi per dieci anni. Tale esenzione fu comunque riconfermata diverse volte, dato che il comune non riuscì più a risollevarsi economicamente.
I vicini, o "antichi originari", erano i soli a partecipare alla vita politica e ad usufruire dei proventi dei beni comunali. Verso il 1760 i "forestieri" chiesero di essere nominati "nuovi originari", per poter così acquisire i diritti fino ad allora preclusi. Questa rivendicazione si concretizzò in una lunga vertenza giudiziaria, di cui si occupò il capitano di Bergamo e in seguito il collegio dei venti savi del senato veneto. La soluzione della lite fu favorevole ai forestieri. In tal modo gli antichi originari, vedendo minati i lori privilegi, costituirono un organismo a sè stante nell'ambito del comune, cioé la "vicinia", in applicazione della legge veneta del 3 settembre 1764 e dei successivi ordini di Paolo Spinelli, capitano di Bergamo.
La vicinia istituì un proprio consiglio (detto consiglio della vicinia di Gromo e Boario, o anche Unione), parallelo a quello del comune, che doveva difendere gli interessi dei "capi di famiglia antichi originari". Dal 1766 si elessero, quindi, il tesoriere, i sindaci, i credendari e il consigliere della vicinia, che registrava le deliberazioni e gli incanti dei suoi beni (boschi e pascoli) su registri diversi da quelli del comune, in quanto gli "antichi originari" ritenevano "...esser necessario tener separate le entrate de beni che li vecchi originari pretendono esser di sola loro ragione". Istituzionalmente la vicinia cessò nel 1806 in seguito ad una legge del Regno d'Italia promulgata il 25 novembre di quell'anno, appositamente per regolare le contese tra "antichi e nuovi originari".
Con l'arrivo della dominazione francese, Gromo perse ovviamente i suoi privilegi e, dal 7 luglio 1797, fece parte del distretto delle "Sorgenti del Serio". Questo distretto, inizialmente compreso nel dipartimento dell"Adda e Oglio", confluì nel XIX dipartimento del "Serio", il 7 marzo 1798.
Economicamente il comune di Gromo aveva introiti dagli affitti dei 4 mulini, dei boschi, dei pascoli e dei dazi. I boschi, come per ogni comunità montana, rappresentarono per Gromo un'importante fonte di reddito. Innanzitutto tale patrimonio serviva per le necessità ordinarie degli abitanti quale fonte di materiale da costruzione ("ligna ab opere") e combustibile ("ligna a foco"). La fruizione di modeste quantità avveniva su concessione del consiglio di credenza e dietro versamento di una modica cifra. Le entrate maggiori erano costituite dalle vendite a privati delle riserve di legna e dagli affitti di parti, dette "cavede", dei boschi. L'incanto e l'utilizzo di questo tipo di beni era rigidamente regolato dalle norme dello statuto, che attendeva contemporaneamente alla salvaguardia di tale patrimonio. Gli alberi che potevano essere abbattuti venivano preventivamente segnati da appositi deputati, definiti "bollatores".
L'agricoltura era poco praticata, dato che, come testimonia il Da Lezze, "Il paese sterile non raccoliendosi grani per trei mesi del anno".
La maggior fonte di ricchezza per gli abitanti proveniva dalla lavorazione del ferro: "...ma tutti attendono a traffichi, (...) mercantie dell'arme de ogni sorte che si fanno in questo luoco da archibusi in fori per il valor de scudi 30 mila et più all'anno che mandano per l'Italia et per ogni altra parte cavando il ferro dalle miniere di Scalve, con la qual arte i poveri si sostentano lavorando alli forni et alle fusine et pochi habitano fuori (...) lavorano gli infrascitti edificii: fusine grosse per distender il ferro n. 7 forni grossi per far azzali n. 3 mole da imbrunire quali sono di legno n. 3".
Tale attività, venuta via via espandendosi negli anni seguenti questa relazione, fu comunque drasticamente ridotta dopo la citata alluvione del 1666; nei libri d'estimo successivi a tale data non sono più registrate fucine, ma solo beni terrieri di cui molti divenuti proprietà di forestieri. Della chiesa parrocchiale, dedicata ai SS. Giacomo e Vincenzo, si ha notizia sin dal sec. XIII. Alla fine del Cinquecento possedeva beni che le rendevano "...de entrada scudi 75 et altro tanto de incerti". C'era anche la Misericordia, opera pia "governata da 4 sindaci et da un canevaro ha de entrada L. 500 si dispensano a poveri senza premio dando conto alli successori elletti dal comun".
Nella contrada di Boario c'è la chiesa di S. Bartolomeo, smembrata da Gromo nell'anno 1591 ed eretta a parrocchia nel 1677.
La struttura amministrativa del comune, così come si delinea nella documentazione dell'archivio, rispecchia le disposizioni dello statuto, che a tale argomento riserva l'intera prima "collatio", composta da 59 capitoli.
Il consiglio maggiore era l'assemblea formata da tutti i capifamiglia del comune, di età non inferiore ai 18 anni, che fossero vicini, e che come tali sostenessero gli oneri del comune. La sua convocazione, proclamata dal console, avveniva ogni anno il primo di gennaio (con tolleranza di quattro giorni) per il rinnovo delle cariche comunali. Veniva pure riunito nel corso dell'anno su richiesta del console, del canepario o di due credendari. La riunione, per poter deliberare, doveva essere composta da almeno i due terzi gli aventi diritto; chi non si fosse presentato senza grave motivazione era multato di 5 soldi. Il consiglio aveva il compito di deliberare sulle entrate e uscite del comune, di imporre dazi e gravezze, di nominare sindaci e procuratori speciali per le liti e gli arbitrati. Le votazioni al termine dell'assemblea si svolgevano con ballottaggio segreto. Nella riunione dell'inizio dell'anno il consiglio eleggeva, a voce o a scrutinio segreto, un console, un canepario, un notaio-scrittore, quattro credendari, il camparo, quattro calcatori, il servitore, i sindaci della Misericordia, due molinari (ognuno dei quali gestiva due mulini), il canevaro e il sagrestano della chiesa di S. Gregorio. In questa prima riunione dell'anno il consiglio deliberava anche gli incanti dei dazi e dei beni comunali.
Il console era scelto tra i vicini del comune, doveva avere almeno 25 anni ed essere capace di leggere e di scrivere, era tenuto inoltre a partecipare al consiglio di valle e a recarsi a Bergamo e a Clusone e in ogni altro luogo come rappresentante del comune. A lui spettava il compito di denunciare i crimini commessi nel territorio comunale e di custodire il bestiame e i beni pignorati; due volte l'anno doveva riferire al consiglio l'elenco (compilato dal canepario) dei debitori e dei creditori del comune per somme superiori a soldi 20. Il canepario (detto tesoriere dalla fine del XVII sec.) aveva il compito di tenere registrata la contabilità. Oltre al già menzionato servizio semestrale che doveva svolgere col console, egli era tenuto a partecipare alle revisioni trimestrali della contabilità del comune insieme al console ed ai credendari. Doveva inoltre riscuotere, ogni due mesi, tutte le condanne pecuniarie e i debiti dovuti al comune e, su richiesta del consiglio di credenza, provvedeva a vendere al pubblico incanto gli oggetti e i beni sequestrati dal consiglio stesso.
Con l'incarico di credendari e ragionati (detti anche sindaci) erano elette quattro persone scelte sempre tra i vicini, due tra gli abitanti della contrada di Gromo e due tra le contrade di Goglio e Boario. Essi rappresentavano il consiglio del comune e insieme al console formavano il consiglio di credenza. Questo si convocava ogni domenica per sbrigare i negozi del comune e una volta all'anno, nel mese di luglio o di agosto, ispezionava i boschi e i pascoli di proprietà del comune per verificare eventuali danni. Il consiglio di credenza, in base alle denunce del console, dei campari o dei calcatori riguardanti frodi e usurpazioni nei confronti dei beni comunali, poteva emettere condanne che non erano appellabili se inferiori ai soldi 10.
I due campari avevano il compito di custodire, visitare, proteggere e difendere tutti i boschi e i monti, i pascoli, i ponti, le strade, le acque, le fonti, i prati, le terre e gli edifici appartenenti al comune. Erano tenuti inoltre a notificare al notaio-scrittore i danneggiamenti rilevati nelle suddette proprietà il giorno stesso in cui ne venivano a conoscenza, specificandone l'entità e il colpevole. Se le loro accuse venivano mosse contro qualcuno ingiustamente, subivano una pena doppia rispetto a quella che avrebbe dovuto essere comminata. I calcatori erano quattro, due scelti tra gli abitanti di Gromo e uno ciascuno nelle contrade di Goglio e Boario. Il loro compito era di vigilare che i beni del comune non fossero occupati abusivamente da nessuno; quando ciò accadeva avevano 15 giorni di tempo per presentare denuncia al consiglio di credenza. Dovevano sorvegliare in particolare le fonti, le acque e le strade. Erano tenuti inoltre a controllare che i venditori dei prodotti primari (pane, farina, vino, aceto, burro, olio, etc.) si attenessero ai pesi e alle misure stabilite per legge e visitavano i mulini almeno due volte al mese, così come sorvegliavano con questa frequenza i commercianti per accertare eventuali loro frodi.
I calcatori avevano l'obbligo di bollare gli strumenti per pesare e misurare.
Il servitore o comandatore eseguiva tutte le incombenze degli amministratori; recava le citazioni del consiglio alle abitazioni dei vicini, teneva le relazioni dei consigli sia maggiore sia di credenza.
Al notaio-scrittore competeva la stesura dei libri del comune.
Tutti gli eletti avevano tre giorni di tempo per giurare pubblicamente sui Sacri Vangeli (nelle mani dei predecessori o dei credendari) che avrebbero onorato il loro incarico e avrebbero agito solo a beneficio della comunità. Inoltre ognuno di essi doveva presentare un fideiussore. Secondo le norme statutarie potevano essere eletti indifferentemente 1 o 2 consoli e campari; nella documentazione conservata nell'archivio non è mai segnalata la presenza dei due consoli, mentre si riscontra quella dei due campari. Tutte le cariche, sempre secondo le disposizioni dello statuto, duravano un anno, non potevano essere rinnovate e nemmeno veniva consentito lo svolgimento di due uffici ad una sola persona. In realtà esaminando i documenti emergono situazioni contrarie che confermano l'esistenza di cumuli di incarichi (per es., all'inizio del sec. XVII i console e il canepario erano una sola persona, che riceveva entrambi i compensi), così come molto spesso diverse cariche vennero riconfermate e per molti anni addirittura poste all'incanto.