Carità dei poveri di San Giorgio (1341 - 1786)

Sede: Cremona

Progetto: Archidata

La carità di S. Giorgio ha origine dalla volontà di Bernardo Cignoni, cremonese della parrocchia di S. Giorgio, poi cittadino di Marsiglia, che stabilì nel suo testamento del 28 maggio 1341 di lasciare i propri beni ai poveri della sua parrocchia, se il pronipote Corradino, suo erede universale, fosse morto senza figli. Il Cignoni incarica il sacerdote della chiesa di S. Giorgio di scegliere due uomini della vicinia, che verranno chiamati massari e cambieranno ogni anno: il sacerdote e i massari dovevano far lavorare le terre del Cignoni e con il ricavato elargire elemosine ai poveri di S. Giorgio nella festa di Ognissanti e la vigilia di Natale; la loro retribuzione consisteva in una quantità di frumento e di vino, concessa annualmente. Il patrimonio originario consisteva in un terreno di 166 pertiche e in una casa nella vicinia di S. Giorgio. Alla concentrazione, il 29 maggio 1786, la carità possedeva altri due poderi a Cava Tigozzi e Recorfano, altre due case in vicinia S. Giorgio e alcuni livelli, legati, capitali e censi attivi. Nel 1457 l'istituto appare già da tempo in attività. Nel 1492 Antonio, Bono e Domenico Ferrarini, dichiaratisi parenti del fondatore, s'impadroniscono del patrimonio in forza di una bolla di papa Alessandro VI, ma un intervento di Ludovico Maria Sforza restituisce i beni dell'istituto. La lite fu ripresa da Giacomo Cignoni nel 1507 e da Tommaso Ferrarini, figlio di Domenico, nel 1518. Nella seconda metà del sec. XVI i massari prendono il nome di reggenti e dal primo Seicento vengono retribuiti in denaro. Nel sec. XVIII l'istituto viene denominato carità dei poveri di S. Giorgio e provvede tre volte all'anno, cioè a Natale, a Pasqua e nella festa dell'Assunta, a elargire 40 soldi ad ogni povero della vicinia e a distribuire 14 pani per ogni focolare. In questo periodo sembra che i reggenti siano ormai nominati a vita, ma decadono dalla carica se prendono domicilio in un'altra vicinia.

Le notizie riportate sono tratte dall'inventario a stampa curato dal G. Politi, "Antichi...", vol. II, pp. LXXIII - LXXV.