Archivio del Comune di Bormio, Quaterni inquisitionum da 16 giugno 1586 a 15 giugno 1587 6 giugno 1587; 29 febbraio 1588

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Persone
Margherita moglie di Giovanni Motta di Livigno
Procedimento giudiziario
Margherita, moglie di Giovanni Motta di Livigno, contro Franceschina Pedrana, per ingiuria (6 giugno 1587 - 29 febbraio 1588)

Margherita moglie di Giovanni Motta di Livigno querela Franceschina Pedrana che va propalando che è una strega e che ha maleficiato suo padre.

Franceschina depone di non averla creduta strega, ma di averle soltanto detto: Se fusti qualcosa, che gli potesti tornar [al padre] la sanità, l'haveressimo a caro. La querela viene ritirata per la sopravvenuta pace tra le due donne.

1587. Die martis 6 mensis iunii.

Coram magnifico domino pretore et dominis officialibus comparuit Margarita, uxor Ioannis del Motto de Livigno, et querelavit qualmente Franceschina, filia de Balsarino de Pedrana et moglier de Iohanni de Heira (1) gli ha ditto che è una stria et che ha striato suo padre. Testes dictus Ioanis de Heira, eius Franceschine maritus, Ioannes Petrotti del Bedino, (a) Christofero de Bastiani de Bormo, Ioanninus Silvestri del Sertor de Livigno, Ioanninus Iuliani de Troz (2).

Eo die.

Dicta Margarita dedit securitate manutenendi dictam querelam et manutenendi pacem et treguam etc. Securitas pro ea fuit dictus Ioannes, eius maritus, obligando etc.

Eo die.

Dicta Franceschina dedit securitatem ut supra contra dictam Margaritam. Securitas pro ea fuit dictus Iohanninus, eius maritus, obligando etc.

Eo die.

Coram dominis officialibus citata fuit Franceschina, filia Balsarini Pedrane et uxor Ioannini de Heira, causa querele erga eam datam per suprascriptam Margaritam, que superinde deposuit: Mo' un anno venne su in Heira la dicta Margarita, et così mi disse: Tu non sas (3) che disen che son una stria, et che ho striata Franceschina, filiola de Gioan de Bastianino? Et mi gli disse: Come sariala mó, se volessero che gli tornassi la sanità? Al che lei mi rispose: Sas che sanità qual voria tornar? Che se la non è scidrada, che la havria de scidrar! (4) Et li (5) era Catarina, mia cugnada.

In poi essendo amalato suo padre dela dicta Franceschina citata, ferno venir ditta Margarita per veder un pó che cosa voleva dir. Et di poi, partenendosi di casa di mio padre, mi li disse: Fu ditto che sete una stria, ma mi non vi ho la creta (6) et, se fusti qualcosa, che gli potesti tornar la sanità, (7) l'haveressimo a caro. Di poi ho sentito dir che essa Margarita, ragionando (8) di mio padre, hebbe a dire: Prego Iddio che lui sia il derder (9) a scampar in questo mondo.

Eo die.

Coram ut supra citatus comparuit Ioaninus de Heira causa predicta, cui dato iuramento deposuit che lui fu di presente, che essa sua moglier disse ad essa Margarita querelante: Disen che sete una stria, ma mi non vi ho la cretta, et se havesti fatto qualche cosa a mio padre, vi prego che gli torniate la sanità.

Eo die.

Coram ut supra citatus comparuit Ioaninus de Truz, cui dato iuramento deposuit ut supra. Interogatus respondit esse in secundo gradu cum dicta Franceschina.

Eo die.

Coram ut supra citatus comparuit Christoforus Bastiani Burmi, cugnatus eidem Franceschine, cui dato iuramento deposuit: Mi ho sentito dir de altri che ditta Franceschina disse le suprascritte parole ala ditta Margarita.

Eo die.

Coram ut supra citata comparuit Catarina, filia Iacobi Claudii de Sumbhera, cui dato iuramento deposuit super verbis dictis predicte Margarite, tum annum in Sumbhera, ivi dicta Franceschina deposuit.

1588, die veneris 29 mensis februarii.

Per magnificum consilium Communis Burmii in stupha magna Palatii convocatum, anullata fuit dicta querela cum sit nullius pendens et stante pace facta inter eos etc.

(a) Lettura incerta.

(1) Più sotto Sumbhera. Al pas d'Éira, in sómp Éira, Sompéira il passo fra Trepalle e Livigno (Longa 316), negli Statuti boschivi Heijra, borm. éira "aia" (Longa 57).

(2) Il soprannome familiare Truz diverrà, ed è ancora, nomignolo esteso a tutti gli abitanti del Cò d' Sór a Livigno (Longa 334). Compare ancora come nomignolo familiare in una inchiesta del 1658: Ciò habbino fatto li figlioli di Gioanin de Trus … avanti che facevo vendita del luoco, quelli di Trus havevano tolto dentro il comunale (ACB, Quaterni inquisitionum, fascicolo dal 1658 ottobre 5). Il significato dovrebbe coincidere con quello del sinonimo sc'pazachemìn "spazzacamini", perché di carnagione scura e generalmente vestiti di panno nero (Tazzoli 3, 289).

(3) Seconda persona del verbo sör "sapere" con la conservazione della -s finale (Longa 348; Rini 20; Rohlfs 2, 247). Ora: ti te sasc mìga. Poco oltre: sas "tu sai", ora ti te sasc.

(4) Scidrà non sopravvive nei dialetti attuali dell'alta valle. Nel Libro dei miracoli della Madonna di Tirano (1504-19), in due relazioni diverse si legge: Esendo Mafeo fiolo che fu da Moreto da Rigna [= Arigna], dal comune da Ponte, in una infirmitade che non se podeva movere deli brazi né anchora deli gambi soy, che stasia como zidrato che non se posea adiutare della persona sua; e in un altro referto: Anchora nel anno presente essendo dona Iohanina filiola de domino Antonio de Besta de Tilio, stata per anni doy et mezo quasi cidrata in el lecto et non se poteva movere niente. Dal contesto si deduce un'accezione di "stato di paralisi". Si tratta del lomb. ant. asidrato "rattrappito", part. pass. di *assiderare "intirizzire, intorpidire per il freddo", propriamente "subire l'influsso astrale", da sidus "astro, costellazione" e per metafora "cielo, notte, clima, stagione", specialmente "inverno" (REW 728; DEI 1, 331), lat. sidere afflari, gr. astrobolêisthai, borm. ant. scédro, liv. scédri, sem. scìdro, forb. sciàdru detto del tempo, quando è "secco, asciutto" (Longa 221). In scidà, se non è intervenuto un errore di trascrizione dello stesso verbo che precede, si dovrà riconoscere il verz. sciüdà, südà "mancar poco", gros. sciudèr "rischiare di", tir. sciudà "rischiare, pericolare", óo sciudàa tomà gió "ho rischiato di cadere" (Monti 253), valt. (Rogolo) scidà "rischiare, pericolare", óo scidàa borlà gió "ho rischiato di cadere" (Monti 250), chiav. (Novate Mezzola) scidà "rischiare, correre il rischio; per poco non", l'à scidà murì "ha corso il rischio di morire, per poco non è morto", com. sudà "rischiare" (Monti 312), lad. dol. ciodè, cedé, ciudé, cedèr, cedàr, cidàr "essere sul punto di, essere in pericolo di, rischiare di", mareo ciodé "osare, rischiare", zold. zidà, agord. zidà, thidà "essere sul punto di, arrischiare"; forse anche valmagg. scidà "quasi, per poco" (Monti 250). Forse dal lat. haesitare "dubitare, essere incerto, sul punto di", anche se non se ne conoscono continuazioni popolari. La locuzione andrebbe allora intesa nel senso di "se non è paralizzata, che possa correre il rischio di esserlo". A Bormio il verbo sopravvive soltanto nella cristallizzazione non più correttamente letta al va che l ciòda "corre così veloce che rischia" di cadere.

(5) Nell'accezione di "vi", quindi corrispondente all'attuale al g(h)'èra, piuttosto che in quella dell'avverbio locat. .

(6) Borm. ant. créta "credenza, credito" (Rini 43), com. créta "credenza", voce commerciale (Monti 59), lat. creditus "creduto" (REW 2308).

(7) "Se tu avessi qualche potere, col quale ridargli la sanità".

(8) Liv. resgionér "parlare", borm. rasgionàr.

(9) Antico aggettivo non più in uso, che vale "ultimo", dal lat. *deretrarius (REW 2582), borm. ant. inderdéira "da ultimo, alla fine", nella Catrina: perché sappia Dio inderdéira cô la varrè col salàri! "perché Dio solo sa come andrà alla fine col salario!" (Tazzoli 3, 297).