Archivio del Comune di Bormio, Busta "Processi dal 1515 al 1800" fascicolo 20 10 dicembre 1596; 15 16 marzo 13 14 15 17 19 20 aprile 1597; 12 14 maggio 1599

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Persone
Caterina Tellaresio di Bormio
L'ava paterna di Caterina Tellaresio
Procedimento giudiziario
Inchiesta su Caterina Tellaresio, per maleficio (10 dicembre 1596 - 14 maggio 1599; 14 - 20 aprile 1597; 12 - 14 maggio 1599)

Si apre un'inchiesta per maleficio contro Caterina Tellaresio dopo la denuncia al podestà di un medico tedesco che si professa certo, dopo aver praticato alcuni esorcismi a Pietro Bertolomino marito della stessa Caterina, che la sua morte avvenne per arte magica della moglie. Il genero, Giacomo Trabucchi, asserisce di essersi rivolto all'astrologo di Lovero, certo Antonio Maria, e quindi all'arciprete di Mazzo, Pietro Stoppani, che esorcizzò l'infermo rilasciando anche una dichiarazione scritta, purtroppo perduta. Caterina, dinanzi ai giudici, asserisce che la malattia del marito era dovuta a fantasia che lui haveva in testa de diverse cose dela Comunità et altre cose. La donna fu assolta dal reato di stregoneria.

[1596] In Christi nomine amen. Anno a salutifero Virginis partu millessimo quingentessimo nonagessimosexto, die veneris 10 mensis decembris.

Multus magnificus dominus Johannes Buol, Burmii et pertinentiarum pretor dignissimus, coram dominis offitialibus, videlicet nobilibus dominis Stefano Casello et Cristoforo Casulario, infrascripta exposuit italico sermone, videlicet: Signori offitiali, essendo morto il quondam Pietro Bertolomino (1) ho havuta informatione da un medico todesco qual ha voluto medicare detto Pietro et da altri ancora come si giustificherà, che la moglie di detto Pietro deve esser statta quella che l'habbi fatto morire con maleficiarlo et però dimando se volete star con mi a far raggione, perché la cosa è certa.

Qua expositione audita predicti domini offitiales responderunt: Magnifico signor podestà, se Vostra Signoria sa che l'habbi qualche cosa di fermo contra di costei, volentieri staremo con Vostra Signoria a processare et far che ragion deventi.

Eoquomet (2) die, premissa omnia concilii exposita fuere et sic ordinatum [fuit] quod superinde procedatur in forma [Statutorum].

Die vero sequenti scripte et emanate sunt litere subsidiales magnifico domino pretori Tirani, pro reverendo sacre teologie doctori domino Petro Stupano teste interogando causa premissa, et dictis literis emanatis, responso acepto tenoris sequentis videlicet:

Ponantur littere et atestationes (a) ***.

1597 die martis 15 mensis martii.

Coram magnifico domino Iohanne Buol de Pertensio etc. pretore Burmii dignissimo ac dominis Carolo Murco et Iohanne Petro Mondinello locumtenentibus etc. dominorum offitialium existentibus, in estuario magnificorum (b) examinatorum, citatus comparuit ser Bartolomeus Fracalossius qui super notificatu coram offitio delato, eique iuramento delato de veritate dicenda, deposuit: Magnifico signor podestà et voi signori locumtenenti, intorno a questa interogatione fattami dalle Vostre Signorie vi dico che io ho sentito molte cose da diversi, quali non mi ricordo, circa a questo che il detto quondam Pietro Bartolomino deve esser morto per malefitio fattogli, ma non so da chi, né io so di certo cosa alcuna. È ben vero questo, che un giorno io andai in casa di detto quondam Pietro per essergli altre volte statto mio cugnato et lo feci levar dal letto et gli disse: Andiamo un puoco a spasso. Et così lui si contentò et andassimo fuori verso Santo Sebastiano et poi alla volta della chiesa di Santo Francesco (3) et andassimo così passando via il tempo. Gionti a casa di detto Pietro et vedendo lui che detta sua moglie haveva fatto su il letto, si turbò tutto et cominciò a gridare dicendo per che causa haveva fatto su il letto lei, che non poteva possare, (4) et diceva molte altre cose, cioè che venivano molti per prenderlo et simul altre cose. Altro non so. È ben vero che quanto a me ho cattiva opinione de questa donna.

Interrogatus etc.

Respondit: Detto quondam Pietro era mio cugnato per la prima moglie.

Eo die.

Coram ut supra citatus etc. comparuit Iacobus quondam Tonii del Trabuco cognominatus Cotol (5) cui iuramento delato de veritate dicenda deposuit: Io vi dirò tutta la verità di quanto io so.

Ritrovandosi il quondam Pietro Bertolomino mio socero amalato di strana infirmità, andai a Lover da un messer Antonio Maria, (6) qual si dice esser astrologo, come vulgarmente si dice, et gli racontai il sucesso del fatto et lui al ultimo mi diede per risposta che detto mio socero era statto malleficiato da una donna con consenso d'un huomo. Io allhora lo pregai con offerta conveniente che dovesse nominar le persone. Detto mi rispose: Non ve lo posso dire, né ve lo so dire. Et mi diede un scartozetto di polvere et hostie benedette, la quale doveva dare al detto mio socero che haveria vomitato. Gionto a casa gli volessimo dar giù detta polvere et non fu possibile dargliela nel vino, né altro. Al ultimo s'ingiegniassimo comprar de li fichi et votati gli empivamo di detta polvere et così dattogli a mangiare venne in grandissima debolezza et cominciò a vomitare una certa cosa gialla, brutta, et dopo anchora ad evacuare il corpo et non gli potessimo poi dargliene più di detta polvere, et se gli ne havessimo potuto dare io crederia che l'haveressimo aggiutato. Et non giovando questo, andai a Mazzo dal reverendo signor arciprete presente di Matio, monsignor Pietro Stupano al quale naratogli il fatto et insieme pregato che dovesse venir a Borme acciò si vedesse se vi era rimedio per agiutarlo. Et detto reverendo venne su qui a Bormio, et dopo l'haver letto diverse cose sopra detto mio socero, (7) al ultimo fece conclusione che egli era statto maleficiato et in segno di ciò dovevamo guardare nel letto io et un altro che non fosse di casa ch'havessimo trovato dentro carboni, ferri et diversi grani. (c) Et così io et Tomaso figliolo quondam de Martin Zan, ma la mia madrigna Catelina volse ancora lei esser presente et non volse che si chiamassero altri, et così guardato, ritrovassimo dentro un legnetto brusciato da un capo, un chiodetto et l'infrascritti grani, cioè formento, segala, miglio, domega, formentone, orzo, da tre grani per sorte, il che ritrovato portai il tutto al sudetto monsignor Stupano, qual era andato a casa di sua sorella domina Angelica, il che vedendo detto reverendo subito disse: Questui è statto maleficiato sicuramente et espressamente.

Interrogatus ad alia, respondit: Ho inteso che una mattina de santo Giacobo detta mia madrigna levò avanti giorno per andar, a suo dire, a Santo Giacobo de Frele (8) et detto quondam mio socero levò su et gli andò dietro fuori alla chiesa di Santo Sebastiano et lei lo pigliò per li brazzi et altro et lo fece venir a casa et lo ridusse in letto et gli disse: Tu non leverai già su sin (d) ch'io non ritorno! Il che deve esser sentito da una donna la quale non mi ricordo. Et così partendosi detta Catarina disse con Franceschino d'Angel che doveva haver a mente di Pietro, et lui stette lì sin che sentitte sonar messe. Et sopravenne la figliola della Moratta alla quale detto Francesco disse che la doveva restar lì fra tanto che ritornava da messa. Et da lì ad un pezzo andò fuori mia ameda (9) Madalena del barba Iacobo Bertolomino, con la quale detto quondam mio socero disse che non poteva metter fuori un dito né un piede fuori del letto che saria abrugiato di longo. (10) Et volendogli loro dar un puoco di aqua, disse detto mio socero: Se voi mi deste un puoco di aqua, saria come metermi un ferro affocato giù per la gola. Et in conclusione non si possé mai mover dal letto sin tanto che detta Catalina non ritornò da Frele.

I. (11) Chi vi ha riferto questa cosa?

R. È statta la sudetta mia amita Madalena.

Addendo che detto reverendo Stupano et il signor arciprete nostro essendo andati fuori per confessar mio socero, detta Catalina stava su nel uscio nascosa et detti reverendi haveano da fare hora uno hora l'altro a scaciarla via et lei ad ogni modo non voleva star via del uscio.

Vi dico ancora questo che io son statto fuori da doi mesi la notte, senza svestirmi, et detto mio socero mai voleva che detta sua moglie andasse seco nel letto et lei gli andava dentro per forza, et lui non volendo star con lei in letto, lei lo chiapava su nella barba et al collo et lo trateneva per forza, et quando gli portava da mangiare gli faceva mille segni et detto quondam mio socero diceva: Non mi far mó tanti segnali, che tu caci giù l'ongie et mi maleficii la spesa! (12)

È vero anchora che detto monsignor Stupano, quando vi andavo a chiamarlo, mi diceva che di grazia non gli lasciasse andar nelli piedi detta Catarina, perché lui diceva che gli haveva cativa credenza et non gli piaceva la sua chiera, (13) il che detto reverendo mi ha più volte detto.

Di più ho inteso che essendo andato una volta un certo medico tedesco per medicarlo con ser Giovanni Iacobo Bologna et altri, gionto ivi al uscio del andedo (14) lo ritrovorno serato et detto uscio non potero aprire. Né meno mia moglie qual era dentro in casa lo poté aprire, la quale era andata in casa dal uscio di sotto et mai fu possibile aprirlo, et bisognorno (15) andar ancora detto medico et Bologna, su dal uscio di basso, quali entrati in casa, mai potero aprire detto uscio, qual non era né serato con chiave né inchiodato, ma solum con il suo solito cadenazzo, qual facilmente si pol aprire. Et vi dico che detta Catarina in modo alcuno non voleva che detto medico gli andasse a medicarlo. Et in conclusione, mi, quanto al mio giuditio, gli ho fievol (16) cretta.

Et renuit iurare dicens: Mi offero ben a giurare, ma voglio termine riservando di agiungere et minuire.

Eo die.

Coram ut supra citatus comparuit ser Iohannes Iacobus del Meldo, dictus Bologninus, qui iuramento suo deposuit: Signori, mi ve dirò la verità. Son andato fuori in casa del detto quondam Pietro Bertolomino in compagnia di un medico todesco et di Iacom Pizen, servitor di detto medico, qual voleva medicar detto Pietro, et andati alla casa di detto Pietro et sua moglie Catarina disse non voleva che andassimo dentro. Al ultimo entrati in casa su per una certa scaletta di dietro la casa, et vi era anchora Toni de Santo Vidale et ser Antonio Florino. Intrati in casa detto medico fece alcune cose, cioè sfodrò una spada dicendo che voleva scaciar certi spiriti, et così si partissimo et detto medico disse che di sicuro detto Pietro era fatturato.

Interrogatus de hostio clauso.

R. È vero che ritrovassimo detto uscio seratto et andassimo su de la già detta scala, et detta Catarina disse che l'haveva messo la chiave del uscio di stua sopra l'uscio.

Et renuit giurare dicens: voglio termine di giurare.

Et ad generalia recte [respondit].

Eo die.

Coram ut supra, citata comparuit domina Magdalena filia quondam ser Mandini de Florinis et uxor ser Iacobi Bertolomini, que super premissis interogata.

[Respondit] Io vi dirò la verità di quanto io so. Mi non ho sentito cosa alcuna dal signore arciprete di Mazio, né d'altri. È ben vero che una mattina alla festa di santo Giacobo, mio marito Iacobo mi disse che doveva andar fuori a visitar detto quondam Pietro mio cugnato et così gli andai et ritrovai detto mio cugnato in letto, il quale mi disse che sua moglie era andata a la chiesa di Santo Iacobo di Freele, et che lui voleva andarvi ancora lui, ma che lei l'haveva fatto tornar adietro, et quando lui fu apresso alla porta, mi disse che detta Catarina l'haveva tirato strozzo (17) entro per la casa et gli haveva sputato nella bocca et mi disse: Son qui in questo letto che, se mettesse fuori li piedi, mi abrugiariano via di netto.

È vero anchora che quando io andava a visitarlo gli dicevo che dovesse lasciar venirsi apresso detta sua moglie, et lui mi rispondeva: Lassiatela pur di lontano che con più (18) la mi sta lontano, sto meglio, non la posso vedere. Da diversi anchora ho inteso diverse cose poco bone, et molte volte sono dette diverse ragioni, altro non so.

Ad generalia: Sapete che detto quondam Pietro era fratello di mio marito.

Addendo che incontrò detta Catarina il già detto giorno di santo Giacobo dentro a Premai et gli dissi: O, perché vi sete partita a lasciar lì quel povero homo senza governo? Et era più merito governarlo lui ch'andar a chiesa. Et lei rispose: O, se n'è pur altro, l'ha belù un bel mal, (19) et mangiò lui hiersera molto bene!

1597 die mercurii 16 mensis martii.

Coram magnifico domino pretore ut supra et locumtenentibus dominorum officialium citatus per Vincentium servitorem, Tomas quondam Martini de ser Zannis habitator in contrata de Plata, testis etc. citatus comparuit, cui iuramento delato de veritate dicenda deposuit.

Interogatus.

[Respondit]: È vero che al tempo che il quondam Pietro Bertolomino era amalato io praticavo fuori in casa sua et al tempo che fecero venir su il signor arciprete di Mazio mi ritrovai presente con Iacom Cotol, genero di detto quondam Pietro et di Catalina, moglie di esso Pietro, quali discossissimo (20) tutto il letto et agiutai a squassar su la piumma minutamente et ritrovassimo dentro diverse sorti di grani, cioè formento, segala, linosa, meglio, formentone et altro che non mi ricordo et un legnetto abrugiato da un capo et è possibile che vi fosse anchora dentro altre cose ma per la distanza del tempo non mi ricordo. Altro non so.

Interrogatus ad generalia.

Respondit: Catarina moglie di detto quondam Pietro è cugina credo di mia madre, o credo in altro grado di parentella, ma non so preciso.

Eo die.

Coram ut supra citatus comparuit Francischinus Calderarius de Burmio, testis ut ante productus qui interogatus super premissis iuravit et deposuit, dicens.

I. de illa mane in qua dicta Catarina uxor iverat ad templum divi Iacobi de Fraele.

R. La mattina di santo Giacobo già passato, ritrovandomi in casa mia, venni da basso, forsi chiamato, et ritrovai ivi vicino al uscio della stua il detto quondam Pietro Bertolomino con sua moglie Catarina, la qual lo voleva tirar in stua perché, volendo lui andar con lei credo in Fraele a Santo Giacobo, lei non voleva et al ultimo si risolveva detto Pietro di voler andare et lei diceva: Non voglio che el venga, perché so che el non pò far la strada. Et lui replicando di voler andare, lei tuttavia non voleva che lui andasse, dicendo: So che el non puol (21) far la strada. Al ultimo per contentarlo andassimo da compagnia fin ad una stradella sopra la Giustitia (22) et poi, non potendo lui più, lei era già passata avanti, perché mi dissi di restar con lui [invece di] andare. Dissi mi: Torniamo indietro, Pietro, perché non vedete voi che sete stracco? Et così lui si contentò di ritornare, et mi dissi a Catarina sua moglie: Andate voi, se volete andare, che per questa mattina mi lo procurarò. (23) Et così tornai adietro et lo ricondussi a casa et lo rasettai (24) nel letto, et stando così un poco, detto Pietro disse: Andate mó et serate li usci, che dormirò un puoco. Et così da lì ad un poco sonò la messa prima, et mi chiamai quella putta della Moratta, che dovesse star lì mentre tornava di messa, et così, quando tornai da messa, ritrovai lì Madalena de Giacomo, quale era andata a visitarlo, et da lì ad un pezzo venne poi sua moglie a casa.

I. Quando venisti da basso, ritrovasti aperta la porta, overo sapete che detto Pietro fusse statto di fuori di casa?

R. Può essere che detto Pietro fusse andato di fuori per andargli dietro, ma non lo so di sicuro. Ben vidi detta sua moglie che lo voleva far andar in stua.

I. Sapete che detto Pietro si lamentasse nella sua infirmità di alcuno, o di sua moglie?

R. Può essere che detto Pietro dicesse con sua moglie, una volta a mio ricordo, ma non lo so di certo: O, tu mi hai instriato!

I. Sapete che parole dicesse quella mattina di santo Giacobo, quando era in letto?

R. Non mi ricordo. È vero che altre volte, quando mangiava, gli diceva che tutta la spesa era come fuoco et come sale.

I. Ad generalia, recte respondit.

Eo die.

Coram ut ante citatus per Vincentium servitorem Bernardinus filius quondam Andreae Guane testis etc., qui super premissis interogatus de illa die divi Iacobi deposuit pro ut dictus Franceschinus, addendo che quella mattina, ritrovandosi lui in stua di detto Pietro et non volendo sua moglie lasciarlo andare, lui la caciò sotto alli ginochi et mi batette anchora mi.

I. se si ricorda che detta sua moglie quella mattina di santo Giacobo lo tirasse per la barba per farlo tornar adietro.

R. Questo non so, perché non poteva vedere, perché era scuro, cioè avanti giorno. È ben vero che dele altre volte l'ho visto sgrafignato et ma non so chi sia statto.

I. che lamenta faceva detto Pietro nella sua infirmità.

R. Lui si lamentava da diversi che gli andavano in casa, di me et altri, et con sua moglie diceva: Tu sei la mia ruina! Vammi fuori degli ochi, va a casa tua, che tu sé la mia ruina. Che sia maladetto quel giorno che mai ti venni a cercarti! Et qualche volta, quando era passata via quella furia, diceva: O, perdoname un poco! Et detta sua moglie talvolta l'haveva a caro, et talvolta non lo voleva, dicendo: Vammi fuori del letto!

I. de rebus repertis in lecto.

R. Non mi ricordo bene. Credo che vi fossero dentro grani di domega et carboni et altre cose, ma mi non mi ricordo bene, perché non andai a rugar (25) nella piumma.

I. ad generalia.

R. Detto quondam Pietro era mio barba, (26) cioè la sua prima moglie era sorella di mia madre.

Eo die.

Coram ut supra citata per Vincentium Crippum Dominica filia magistri Cristofori Vitalini et uxor Franceschini Plizarii, que interogata cum delatione iuramenti.

Interogata presertim supra ea que agitata fuere in festo sancti Iacobi, retulit omnia ex auditu dicti Franceschini mariti sui, et in omnibus prout ipse deposuit.

I. Havete sentito voi quella istessa mattina che detta Catarina sua moglie havesse detto, dopo l'haverlo ricondotto dala chiesa di Santo Sebastiano a casa, disse: Tu non levarai già su, fin ch'io non ritorno?

R. Questo non ho sentito.

I. se detto quondam Pietro si lamentava nella sua infirmità, in particulare di sua moglie o d'altri.

R. A questo non vi è da dar posta, (27) perché alcune volte el non voleva se non detta sua moglie, et alle volte, quando lei lo trateneva che non andasse via, overo saltasse giù dal balcone, lui diceva: Tu sei la mia ruina! Et altro non ho sentito.

I. ad generalia, recte [respondit].

Eo die.

Coram ut supra citata per antedictum servitorem etc. Catarina filia quondam antescripti Petri Bertolomini ut ab ea habeatur eius opinio. Que et interogata.

R. Mi non vi so dire cosa alcuna in questa cosa, perché alcune volte el diceva una cosa et una altra volta un'altra. Mi non so altro se non che la bona memoria di mio padre diceva che la madrigna li faceva boconcelli, et metendogli giù le ongie li faceva maleficii, et più volte diceva che dubitava che gli fosse statto fatto malefitio, ma non disse da chi.

I. che cosa dicesse il signor arciprete di Mazio, quando venne su per medicarlo.

R. Lui diceva che el teniva opinione che el fusse statta sua moglie che l'havesse maleficiato.

I. de contestibus.

R. Non mi ricordo.

I. È vero che, facendo lavorare vostro padre su in una clusura (28) sopra casa, lei sapeva dire quando venevate a casa, che et quanto haveva detto ciascuno?

R. Mi non l'ho sentita, ma la bona memoria di mio padre mi diceva chi è statto colui che ha ditto tal et tal cosa su alla clusura. Mi non sapeva chi fosse statto.

I. Vi era alcuno de suoi che potesse riferirli quello che si diceva in detto luogo?

R. È vero che gli era Colò de Toni Zuanin de Oga, ma lui non credo gli potesse dir niente, perché la sera quando andavamo a casa, la sera lei era andata a dormire senza parechiar niente di cena, et la notte tanto travagliava et mormorava nella testa al quondam mio padre, che gli era più volte sforzato levarsi et andar a dormire o in stalla o su nel feno. Altro non so.

I. an viderit aliqua signa vel indicia circa premissa.

R. Mi non ho visto nisun segno, né ho visto a far mal nisuno. È ben vero che il soprascritto signor arciprete diceva che detto quondam mio padre mai sarebbe guarito di tal infirmità se non si levava fuori di casa sua dove stava. Et così lo ricondussimo a casa di mio marito, dove stiamo al presente. Ma quando fu statto da duoi hore in letto, non poté mai star più, perché volse ritornar a casa, né mai fu possibile poterlo tratenire.

Ad generalia, recte [respondit].

1597 die mercurii 13 aprilis.

Coram magnifico domino pretore ut supra ac domino Stefano Casello et domino Menapasio de Albertis locumtenente domini Cristofori Casularii, offitialibus etc. citata comparuit Catarina uxor quondam Bartolomei Scherii, dicti Malapelini, ad evidentiam premissorum, et ei iuramento delato de veritate dicenda, iuravit.

I. Che cosa occorse una volta che vostro marito conduceva certa grassa con un paro di vache et che persona vi era presente?

R. Signori, vi dirò la verità, che quella volta che mio marito si ritrovò fuori a Santo Sebastiano con le sue vache, che menavano grassa, et si missero a corere et far strepito et dette la picca. (29)

I. Chi era lì con vostro marito?

R. Vi fu una donna qual parlò seco, et era la madre di Bastian Telaresio di Bormio.

Ad generalia, [recte respondit].

Anno Domini 1597. Die iovis 14 mensis aprilis.

Convocato magnifico concilio etc. more consueto, fuit in eo concorditer ordinatum quod Catarina antescripta per publicum servitorem citetur sub pena scutorum decem ad comparendum coram ut supra, et successive interogetur super imputationibus et super processu contra eam formato causa presentis processus, et interrogata eiusque constituto asumpto, in presenti estuario magno (30) detineatur cum custodibus ita ut nemo eam alloqui possit, ulteriusque de iure procedatur prout opus et iuridicum fuerit.

Et successive die predicta dicta Catarina comparuit coram magnifico domino pretore et magnifico concilio.

Interogata videlicet: Che opinione è mó la vostra intorno al infermità qual ha patito il quondam Pietro vostro marito?

R. Mi non so altro, se non che questui sia venuto in quella infirmità per fantasia che lui haveva in testa de diverse cose dela Comunità (31) et altre cose.

I. Nella sua infirmità gli havete datte medicine?

R. Signori sì. Siamo andati dal signor medico nostro, qual gli fece far certe cose alle reni et certe ontioni.

Ei dicto: È pur venuto ancora un certo medico tedesco per medicarlo?

R. Signori sì, che el venne, et disse che el gli bastava l'animo (32) di guarirlo.

Ei dicto: Che cosa gli dette poi?

R. Gli dette certe cose che lo conturborno tutto, et continuamente gridava.

Ei dicto: Che vol dire che non volevate che costui venisse in casa?

R. Perché il detto mio marito haveva opinione che costui fusse il boia.

Ei dicto: Che infirmità diceva questo medico, che infirmità fusse la sua?

R. Mi non so niente, salvo che detto medico diceva che gli bastava l'animo di guarirlo.

I. Chi è statto causa che il signor arciprete di Mazzio venisse a Bormio per questa causa?

R. È statto messer Leoprando Sermundi et altri suoi parenti.

Ei dicto: Che cosa fece detto signor arciprete quando venne su, et che cosa diceva?

R. Lui non diceva altro, se non che gli legeva adosso. (33) Et diceva che lui non saria guarito di detta sua infirmità, perché egli era su di tempo. (34)

I. Che opinione era mó la sua di detto reverendo della sua infirmità?

R. Mi non so cosa alcuna, né ha mai detto cosa alcuna con mi in casa. È vero che con altri lui diceva che non saria guarito.

I. Che cosa ritrovasti nel letto di detto vostro marito?

R. Mi non so quasi niente. Dimandate a suo genero che ha netatto lui il letto.

Ei dicto: Che cosa ritrovò dentro.

R. Dimandate al detto suo genero.

Ei dicto: Sete pur statta voi presente, mentre si netava detto letto!

R. Mi visti se non certi granelli in una scatoletta, poca cosa.

Ei dicto: Questi grani erano nel letto?

R. Può essere, ma potevano anco esser lì per la camera, perché lì in quella cameretta tenivamo grano, pane et altro. (35)

I. Come passò mó quel fatto, la mattina di santo Giacomo?

R. Mi me levai la mattina avanti giorno per andar a sodisfare un mio voto, qual haveva, et detto mio marito mi venne dietro sin fuori a Santo Sebastiano. Et mi, vedendo che el non poteva far la strada, lo chiapai così per mezzo et lo redussi in casa, et chiamai lì Francesco, qual era venuto ancora lui da basso, et dissi che doveva restar lì con lui. Et detto Francesco mi promisse di restar lì apresso, et mi andai poi a sodisfare al mio voto.

I. Detto vostro marito havevalo mó qualche cativa opinione contra di qualche persona?

R. Signori no, salvo che essendo il già detto mio marito su nella porta, passò Vasin Francinello, qual non gli disse: Iddio vi dia sanità! (36) Per il che detto mio marito ne haveva pigliato grande dubio. Et mi ritrovai messer Giovan Battista Agita (37) et gli dissi che di grazia, per opera di carità, dovesse dar di mano a suo cugnato Francinello, et venir a visitarlo et dirgli: Iddio vi dia la vostra sanità! Ma costui non volse mai venire.

I. Detto vostro marito non si confessò, mentre stette infermo?

R. A principio, quando che l cominciò a haver queste fantasie nella testa, l'andò da tre reverendi per confesarsi, ma non parlava in tono. (38)

I. Non si è confessato in casa dal reverendo signor arciprete di Mazzio et dal nostro reverendo signor arciprete là fuori in casa vostra, mentre era amalato?

R. Signori no.

Ei dicto: Vennero pur fuori per confessarlo. Iterum negavit dicens: È ben vero che vennero fuori tutti duoi, et ragionavano con esso mio marito lì nella stua, essendo detto mio marito in letto, et mi stetti sempre lì presente a tenirlo.

I. Detto vostro marito ingiuriavalo (39) le persone che venivano a visitarlo?

R. Signori sì, alcune volte.

Ei dicto: Et a voi vi dicevalo ingiurie?

R. O, questo no, non mi disse mai una minima parola contra di me, né grande né picola per ingiuriarmi. Anci diceva spesse volte: Tu sei pò ancho ti che me fai (40) mangiar un poco con bone parole et con lusinghe. Se te non fussi ti, non mangiaria. Et mi do meraviglia come tu habbi potuto soportarne tante, et che te duri tanto con tanto stragalar mi. (e)

Quibus interogationibus factis dicta Catarina, post discessum magnifici concilii, ibidem in dicto estuario cum custodibus detenta est in executione prenominati partiti concilii, die hodie ordinati.

1597 die veneris 15 aprilis.

Iterum coram magnifico concilio congregato ut ante, constituta dicta Catarina et interogata circa inditium seu delationem datam in causa conductionis bladi per Bartolomeum Scherium, negavit dicens: In conscientia mia non so cosa alcuna di questo.

I. de medico seu astrologo (f) de Tovo.

R. Dimandate a Giacomo suo genero, che lui portò su certe cose, cioè certa polvere con certe hostie, ma non gli podessimo dargliene se non una volta con certi fichi.

I. che operatione fatta havesse detta polvere.

Dixit: Lo fece evacuare il corpo da basso, con un puoco di sputo di catarro, ma poca cosa.

I. Che cosa disse quel medico da Tovo dela sua infirmità?

R. Detto Giacomo mi ha detto che era statto uno et una, quali l'havevano maleficiato. Mi gli disse: Hallo poi detto chi sia statto coloro che l'havessero maleficiato? Detto Giacomo rispose che gli haveva oferto legname d'una stuetta, et mai l'haveva voluto dire.

I. de successu quando suprascriptus Petrus in aqua se su[b]mersit.

R. Quella notte che lui andò via, come più volte haveva fatto, andassimo dietro et, non sapendo noi verso che parte fosse andato, credendo noi che fosse andato in una closuretta di formento, ivi vicino a casa, ma lui era andato dove fu poi ritrovato. Ma se mai gli ho amancato né con robbe, né con fatiche, né con altro, Iddio non mi perdoni.

1597. Indictione decima, die dominico 17 mensis aprilis.

Coram magnifico domino pretore et domino Stefano Casello officiale ac domino Menapasio Alberto locumtenente etc. domini Cristofori Casularii etc., in estuario domini Bernardi de Mariolo etc., citatus per publicum servitorem Vasinum Rampum etc. antescriptus Iacobus Cotol qui in eius prima atestatione renuerat iurare causa ut ante, eique noviter iuramento delato de veritate dicenda et interogatus an premissa per eum atestata affirmaret, dixit: Signori instò nel mio primo dire altre volte, et di più al presente vi dico che la setimana istessa nella quale morse detto quondam mio socero avanti andar dentro alla Rocha, (41) et gli dimandai meza soma di segala, et lei mi rispose non haverne. Et essendo statto dentro da otto giorni, ritornato mi disse che doveva tormi le chiavi, mi non le volsi accetare. Al ultimo disse che lei non poteva più regolarlo (42) et che doveva star fuori mi a regolarlo. Et mi gli risposi che sabato o domenica venirò fuori mi, overo mandarò mia moglie. Et lei rispose: Iddio sa dove che el sarà domenica! Et queste cose ho inteso che detta Catarina le ha riferte ancora a mia ameda Madalena del barba Giacomo. Di più ho inteso, ma non mi ricordo da chi, che detta Catarina deve esser statta vista, una festività del Corpus Domini, esser statta vista su nella canal del tetto di Giacomin dit Ral, (43) ingienochiata, ma non so a che fine et questo devono haver visto Iacomo del quondam Bartolomé Scherio.

È vero anchora che ho inteso da mia moglie che la detta Catarina, mentre stette quel mio cugnato per nome Baldesar in casa di detto suo padre et mio socero, venendo a morte detto mio socero, venne negro (g) come carbone et mi è statto detto che detta Catarina non voleva dargli né da mangiare né da bevere.

1597 die martis 19 mensis aprilis.

Coram magnifico domino pretore et dominis officialibus ut supra per Antonium Menestralem servitorem etc., [citatus] comparuit Iacobus quondam Bartolomei Scherii Malapelini, cui iuramento delato de veritate dicenda et interogatus circa depositionem datam per Iacobum suprascriptum, se haveva visto detta Catarina su nella canale del tetto di Iacomin Toniolo.

R. Ritrovandomi la festa del Sacratissimo Corpo di Cristo, non so se sia statto l'anno passato overo l'altro avanti, in compagnia di Bernardin mio cusino filio quondam Antonio Scher fuori apresso alla chiesa di Santo Sebastiano, così dopo mezo giorno, guardando verso la casa di Giacomin dit Ral, viddi Catarina moglie del quondam Pietro Bertolomino qual era ingienochiata apresso alla canal del tetto di detto Ral, voltata con la faccia verso detto tetto, ma per esser un poco lontano non poteva mó così ben figurare se l'era su nella canale overo era lì vicino ingienochiata. Il che vedendo, dissi con detto Bernardino: Guarda un puoco di grazia che cosa fa mó la Catarina così ingienochiata. Detto Bernardino, volendo levar in piedi per vedere, et lei forsi havendoci visti, levò su, et per quanto mi ha detto detto Bernardino, lui dice che non ha visto.

I. Si celebrava forsi messe alla chiesa di Santo Sebastiano?

R. Signori no, perché l'era dopo mezo dì.

I. Sapete che fusse finita la solita processione, che forsi detta Catarina vedesse passar le sante Croci?

R. Vi dico bene che già era finita la processione, l'era dopo disnare.

I. de fama et voce.

R. Si dicono cose assai et molte mormorationi, ma mi non so cosa niuna altra.

I. Havete mai sentito il quondam vostro padre racontare il sucesso, che nel condurre certa biada s'incontrò in una donna che spauritte li animali quali erano sotto il carro, (44) et diede la picca il carro?

R. Signori sì, che l'ho sentito racontare questa cosa, ma non disse che fusse questa Catarina, ma credo dicesse sua ava di questa Catarina. Non mi ricordo bene se dicese che dette la picca, ma ben mi ricordo che disse che le vache si misero a corere fortamente.

Addens mi pare di ricordarmi haver sentito dire (ma è tempo assai), al mio ricordo da Giacomina ditta la Paduana, quale deve haver vociferato, ma non mi ricordo troppo bene da chi, pò incontrare ben (h) che io l'habbi inteso da mia madre, qual deve havere inteso ancora lei, ma non so di sicuro, che detta Catarina deve esser statta vista da la detta Giacobina Paduana venire giù d'apresso alli muri de Ruinazza, (45) detta Catarina tutta descapigliata, con una scopa in mano.

Ad generalia, recte [respondit].

Eo die.

Coram ut supra citata etc. Catarina uxor relicta quondam Bartolomei Scherii, materque suprascripti Iacobi testis ut supra, que noviter interogata super suprascripto capitulo deposuit: È vero che li giorni passati, quando fui interogata da le Signorie Vostre, non mi ricordai mai di questo che m'è interogato. Hora dirò quel tanto ch'io so. Mi pare d'haver sentito a dire, ma non so da chi, che detta Catarina già altre volte moglie di Pietro Bertolomino dovea esser statta vista da Giacomina dela Paduana a venir giù da un certo suo campo, qual è sopra la chiesa di Santo Sebastiano, che haveva le trezze giù per spalla.

I. dela scopa.

Dixit: non ho sentito né di scopa, né d'altro, reservato quel ch'io ho detto.

I. Da che hora dicono esser ocorso questo?

R. Non ho inteso altro. Et poi questo è non so quanti anni, et però non mi ricordo preciso. Et iuravit.

Ad generalia, recte [respondit].

Eo die.

Coram ut supra citatus ut supra Bernardinus quondam Antonii Scherii, qui de premissis in atestatione Iacobi Scherii contentis interogatus.

R. È vero che mio cusin Giacomo me disse già duoi mesi o tre sono: O, ti ricordi un poco de quella volta che Catalina de Pedro, videlicet suprascripta, (i) era ingienochiata così e così su al Ral apresso ala canale, o simil cose? Mi gli dissi che non mi ricordava. Può essere, ma mi non mi ricordo haver visto tal cosa.

Cui iuramento delato, renuit iurare dicens: Voglio pensar su bene et poi venire dimani mattina a giurare.

Eique factis quampluribus aliis interogationibus, dixit: Mi non so altro.

1597 die mercurii 20 mensis aprilis.

Coram magnifico domino pretore et domino officiale Casello, citata per Vasinum Rampum servitorem publicum domina Damiana uxor relicta quondam Franceschini Bertolomini et filia quondam ser Francisci de Albertis, que comparuit et ei iuramento delato de veritate dicenda et interogata super premissis omnibus et singulis capitulis nuperime descriptis, negavit in omnibus, reservato tamen quod deposuit: È vero che si mormora assai, quasi da tutti, quali dicono che costei, cioè questa Catarina deve esser striga. Può essere et non essere. Mi non l'ho vista far mal nisuno.

I. de morte suprascripti Petri.

Dixit: Non so niente.

I. de morte Franceschini eius mariti.

R. Andassimo a medici. Chi diceva che detto mio marito haveva una fantasia grossa alla testa, chi diceva che l'era inspiritato, chi diceva che era statto maleficiato, ma però non so cosa niuna di queste cose. Sarà statto così la volontà del Signore.

I. de morte Baltesaris filii premortui suprascripti quondam Petri.

R. Mi andava a vederlo una o doi (46) volte, et visitato ch'io l'haveva, veniva a casa mia. È vero che quanto a me non vedei mai miga detta Catarina apresso, cioè alla cuna di detto figliolo. Et ho inteso anchora che costei, cioè questa Catarina, non andava troppo a rincuorarlo. È vero che de robe non gli lasciava amancare, et poi vi era suo padre et sua sorella et sua ameda, quali non amancavono di far quello che bisognava.

Ad generalia recte deponens ut supra.

Eo die.

Coram ut supra citata Iacobina filia quondam Cristofori cognominati el Paduano, que super atestationibus premissis interogata cum iuramento deposuit: Mi fanno gran torto a dire ch'io habbi visto tal cosa, né mancho l'ho vista a far male nisuno. È vero che si fanno molte mormorationi, ma mi non metto a mente a ciancie, né so cosa nisuna, né mai ho conosciuto un minimo cativo atto in costei.

Eique factis pluribus interogationibus, negavit in omnibus et iuravit.

Ad generalia, recte etc.

Eo die.

Coram magnifico concilio ordinario Burmii in aestuario magno Pretorii congregato, comparuit dimissa e carcere antescripta Catarina, et noviter super premissis et antescriptis omnibus atestationibus [interogata], que omnino persistit in eius constituto superius deposito, reservatum quod ei dicto: Per che causa gli havevate strepata la barba et s[g]rafignato?

R. Di grazia che io lo potevo tratenere a qualche maniera, perché ogni 3° passo lui voleva saltar fuori del letto et dava testa (47) nella testera del letto.

In reliquis omnibus negavit absolute.

Et quibus auditis, noviter reconducta in carcere fuit dicta Catarina.

Subsequenterque fuit concorditer ordinatum quod dicta Catarina a carceribus liberetur sive relaxetur pro hac vice tantum, prout in registro concilii apparet, fideiubendo tamen de se consignando personaliter ad omnem requisitionem offitii sub pena scutorum tercentum auri, ac de persolvendis expensis etc. in omnibus iuxta sententiam latam, et prout latius fit mentio in registro conciliorum die suprascripta.

Fideiussor pro ea extitit messer Sebastianus pater, obligando omnia bona sua pignora presentia et futura in forma [Statutorum], et insuper ad maiorem rei firmitatem dicta Catarina promisit etc., obligando omnia bona sua propria, verbo dicti patris sui ac Tonii Telaresii et Iohannini Andreole ipsius Caterine proximorum parentorum presentium etc.

1599 die sabbati 12 mensis maii.

Cum sit quod anno 1596 fuerit incarcerata Catarina filia messer Sebastiani Tellaresii de Burmio causa et pro ut in antescripto processu latius fit mentio, et deinde post aliquot spatium temporis dignis de causis, sic magnifico concilio Burmii bene visis, ipsamet fuit relaxata pro illa vice tantum, tamen sub conditione et fideiussione de se personaliter ad omnem requisitionem offitii consignando sub pena scutorum tercentum auri, de qua fideiussione latius in dicto processu apparet, notata et scripta per dominum Andream Vitalinum tunc cancellarium in dicta causa sub die 20 mensis aprilis 1597.

Et cum coram magnifico domino Daniele Urso honorando domino pretore Communis Burmii et nobilibus dominis Menapasio de Albertis et Petro Paulo de Folianis de Burmio offitialibus Burmii ac magnifico consilio Burmii comparuerit, videlicet: suprascriptus magister Sebastianus Tellaresius pater ipsius Catarine tamquam fideiussor, qui fuit pro ea filia sua petens instantiam a dicta fideiussione sic ut supra prestita liberari, sic vulgari sermone loquendo, videlicet: Magnifici signori podestà, officiali et magnifico conseglio, vi pregho che me vogliate liberare della sicurtà fatta per mia figliola Caterina per la causa già alle Vostre Signorie manifesta, et se lei merita qualche cosa di falanza, punitela.

Prefati magnifici domini pretor, domini offitiales et magnificum concilium annuere volentes petitioni ipsius messer Sebastiani Tellaresii et, ut de premissis finem habeat, iusserunt dicto Tellaresio ipsam eius filiam secundum tenorem dicte fideiussionis consignare in fortiis communis pro ut sub die nono mensis instantis factum fuit, et incarcerata in carcere communis [detta] della finestra. (48)

1599. Die sabbati 12 mensis maii.

[Citata] fuit antescripta (l) Caterina de mandato et ordine magnifici concilii Burmii interogata fuit diligenter super singulis capitulis contentis in processu de quo antea. Que respondit: Mi non so altro, né ho de dir altro, et mi rimetto et sto in quello che già ho deponuto.

1599. Die lune 14 mensis maii.

Convocato magnifico consilio Burmii in stupha minori Curtivi Comunis, in quo lectum fuit processum antescriptum, et illud consideratum, ordinatum fuit quod dicta Catharina filia magistri Sebastiani Tellaresii de Burmio causa et prout in dicto processu latius fit mentio, fraude (m) in carceribus Comunis detenta, a dicta carcere ubi est (n) detenta et incarcerata, relaxata sit, liberando fideiussonem alius prestitam sub die 20 aprilis 1597, ipsam tamen condemnando in omnibus expensis factis ipsa de causa, tam pro audientia predicti magnifici concilii quam causa processandi et alius et alio modo, (o) ultra expensas cibarias per eam in carceribus factas.

(a) Nel margine sinistro. Segue una pagina vuota.

(b) Soluzione incerta dell'abbreviazione: mor.

(c) Sul margine sinistro: ch'haveressimo trovato dentro carboni, ferri et diversi grani.

(d) Nell'interlinea: tu non leverai su sin; nella riga, cancellato: tu non leverai più su sin.

(e) Nell'originale una parola sola stragalarmi, ma si tratta di un fenomeno ricorrente. Lasciando così il testo, si dovrebbe intendere "tirandomi sempre dietro con fatica". Sembrerebbe migliore il significato che risulta separando il pronome "nonostante che io ti strapazzi in ogni modo". Piatt. sc'tragalàr, borm. sc'tregalàr "trascinare in malo modo" (Monti 305; Longa 250; Mambretti, BSAV 4, 273; Siller, BSAV 5, 233-4). Forse dal lat. stragulare "distruggere", derivato da strages (REW 8282a; DEG 851).

(f) Segue cancellato: grosiensi, cioè "di Grosio".

(g) Nell'originale tutta la frase si legge al femminile.

(h) Lettura incerta.

(i) Lettura incerta.

(l) Nell'originale: Fuit antescripta. Ma il verbo è ripreso più avanti.

(m) Segue, cancellato: diversium imputationum et suspectam eam false heresis.

(n) Segue, cancellato: talis qualis. La formula sarebbe da intendere come rinuncia a prendere posizione circa l'innocenza o la colpevolezza dell'imputata.

(o) Segue, cancellato: spectatis expensis cibariis per.

(1) I Bertolomini discendevano del pittore milanese Bertolino de Buris che si stabilì a Bormio negli ultimi decenni del Quattrocento.

(2) La particlella enclitica -met è aggiunta analogicamente a ipsamet, come in dictamet (cf. SB036).

(3) Entrambe le chiese sono state demolite e ne rimane il ricordo soltanto nella toponimastica urbana. San Francesco è già citata nel Liber stratarum del 1304: clausuram dominarum de Sancto Francisco (par. 12), ad viam de super qua itur estra ad Sanctum Franciscum (par. 54).

(4) Borm. posàr "riposare" (Longa 204), com. posà "posare, sedere; cessare" (Monti 197), dal gr.-lat. pausare "avere pausa, avere sosta, riposo" (REW 6308).

(5) Borm. còtola "caccola degli ovini e bovini, lordura qualsiasi attaccata alla coda o al pelo delle bestie" (Longa 114; Monti 58), "caccola del naso, muco rappreso".

(6) Si tratta dello stesso Antonio Maria di cui si fa cenno nel 1614 nel processo seguito alla querela di Antonio di Domenico contro Vasio della Zenona per ingiurie dopo il furto di certo pane di elemosina (cf. SB059) e nel processo del 1617 contro la Barna e la figlia Cristina (cf. SB062).

(7) Leggere sopra o leggere addosso sono espressioni del tempo per indicare l'esorcismo.

(8) Antica chiesetta, documentata nel 1287, al passo omonimo in fondo alla vallata di Fraele a nord-ovest di Bormio. Demolita nei primi anni '50 del secolo scorso dopo la costruzione dei bacini artificiali che hanno sommerso l'intera valle (cf. Bracchi, BSSV 48, 7-36).

(9) Borm. ant. àmeda, sem., cep. làmeda, forb., piatt. ant. làmada "zia" (Longa 21), borm. ant. al làmeda "lo zio che non si sposa e rimane in famiglia", la lamedìna "la zia" (Longa 122), dal lat. amita "zia" (REW 424; cf. anche SB073).

(10) Borm. delónch, piatt. dulónch, forb. dalónch "subito" (Longa 50), alla lettera "da lungo", indicanto il tratto dell'attesa "da lungo tempo", prima della decisione. Surselv. daluntsch, eng. dadlöntsch "da lontano" (DRG 11, 429-33), liv. da lónc(h)' "lungi" (Longa 349).

(11) Di seguito: I. (Interrogatus o Interrogata); R. (Respondit).

(12) Nell'accezione di "cibo, desinare, mangiare", com. spesa "vitto" (Monti 292). Ted. Speise "cibo" (cf. anche SB062).

(13) Dial. céira, mod. céra "aspetto, espressione", "il viso nell'espressione, nol colore" (Longa 45), it. buona, brutta cera.

(14) Borm. àndit, àndet, trep., forb. àndat "accesso, passaggio; privilegio di passaggio" (Longa 21), dal lat. ambitus "accesso a un oggetto da due parti; spazio tra due case" (REW 410).

(15) Il verbo bisognare è costruito qui nella forma personale. Borm. ant. bégna, vorb. bögna, bisögna, sem. mégna "bisogna" (Longa 30; Rohlfs 1, 450; DEI 4, 2457).

(16) L'aggettivo appare nella forma ancora non contratta. Nel borm. ormai antiquato suona flöl "debole, fiacco; di qualità non buona, meschino", una flöl ròba "una misera cosa" (Longa 68; Monti 80; Merlo 10; REW 3362).

(17) Dial. tiràr (dré a) sc'tróz "trascinare di peso a terra" (Longa 250-1), già negli Statuti civili: Nulla persona debeat conducere aliquod lignamen strozum per Scalas de Balneo nec de Fraele (StCBorm, c. 184), e in quelli boschivi: persona que conducat strozzum (c. 9).

(18) Dial. complù "quanto più" in correlative di paragone.

(19) Ricalca la locuzione dialettale: Se nu l'é per àltro, l'à del bón um bèl mal. Per belù, variante più vicina all'origine di bulù, cf. SB036.

(20) Borm. desc'cusìr "scucire".

(21) Il tipo puole "può", sorto per analogia con vuole, suole, è presente anche altrove (Rohlfs 2, 283).

(22) Cf. SB006.

(23) Dial. procuràr vale ora "procurare", mentre qui si presenta nell'accezione dell'ant. percuràr "prendersi cura, badare" (cf. anche SB051: Trovandomi una volta in Frel nel mio prato che procurava le lègor "tendevo insidie alle lepri").

(24) Il verbo resetàr non è più continuato nei dialetti attuali. Il borm. setàr, sedàr vale "lasciare che i corpi sospesi in un liquido vadano a fondo e questo diventi limpido" (Longa 221). Il significato più antico dovette però essere "far sedere", dal lat. *seditare "far sedere" (REW 7780).

(25) Dial. rugàr "frugare, rovistare" (Longa 213-4), com. rugà "frugare, rovistare, ricercare scompigliando" (Monti 229), forse con metatesi dal lat. tardo *furicare "frugare" (REW 3597 e REWS 3597).

(26) Dial. bàrba "zio" (Longa 26-7; cf. SB022).

(27) Dial. dar pòsc'ta "prestare attenzione, dare importanza".

(28) Dial. clusùra, closùra "proprietà recintata da siepe o muro" (Longa 108 e 293), com. ciusùra "chiusura, steccato" (Monti 50), lat. clausura (REW 1974).

(29) Dial. dar la pica "rovesciarsi" (il carro del letame, in dial. al benèc' de la gràscia), ir a pìca "cadere per terra" (Longa 196), pichentàr "far cadere, ribaltare" (Monti 187), da una base espressiva *pikk- "a punta" (REW 6494). L'evoluzione semantica si è compiuta attraverso il significato di "impuntarsi contro un ostacolo" (borm. impichentàs), quindi "cadere".

(30) In dialetto la sc'tùa grànda "la grande stanza", nel 1485 in stupha magna (cf. SB074). Più oltre in questo stesso processo: in estuario domini Bernardi de Mariolo.

(31) Pietro Bertolomini ricoprì la carica di canevaro maggiore (cf. ACB, Quaterni consiliorum, da sorte estiva 1596 a sorte primaverile 1597, aprile 6, dove si decreta che gli esaminatori devono detrarre venti lire imperiali "in caniparia Petri Bertolomini").

(32) L'espressione bastar l'animo, frequente nei processi, significa "avere il coraggio" di fare qualcosa. In questo contesto vale "sentirsi in grado, sentirsi capace" (LEI 2, 1306; cf. SB051).

(33) Leggere addosso significa "praticare gli esorcismi" (cf. in questo stesso processo leggere sopra ).

(34) Dial. èser su de témp "essere vecchio".

(35) Nelle antiche stanze si teneva l'arcón (Longa 22; Longa, Usi 32), contenente diversi tipi di cose da conservare, quelle considerate più bisognose di custodia, per sottrarle ai furti. Collocato nelle stanze, nei corridoi o nei solai, serviva a custodire gli abiti e altro materiale ritenuto prezioso o aggredibile dai topi come coperte, drappi, funi, corde, data la mancanza di armadi fra la suppellettile antica, valdid. arcón de la sc'tùa "scrigno per le vesti e la biancheria". Nel processo del 1607 per il furto ai danni di Bernardo di Mighina si legge: mi non ho tolto altri dinari che sei berlingotti, li quali erano in una borsa in canevetta in un arcon (cf. SB044).

(36) Espressione con la quale si obbliga chi si ritiene responsabile di un maleficio a restituire la salute a colui che è stato oggetto di fattura.

(37) Matronimico, che ricalca una variante dialettale del nome Agata. Da questa deriva il cognome Aita, presente ora anche in Valdisotto (non ancora segnalato dal Longa), ma l'attuale ceppo proviene dal Friuli.

(38) Borm. arc. èser intón significa "essere grasso, bene in carne" (Longa 93), nel contesto "sensatamente, nel pieno possesso delle sue facoltà", com. vèss in tón "essere grasso, bene in carne, con aria di salute" (Monti 333), it. ant. essere in tuono "essere in giusta tensione e accordo".

(39) Dial. ingiuriàel?, con uso del pronome enclitico soggetto nelle interrogative (Rohlfs 2, 149-50). Appena sotto troviamo: vi dicevalo ingiurie? Più oltre: Hallo poi detto?

(40) Dial. t'ésc pö amó (sémpri) tì che te me fasc…, se te fudésesc mìga tì che….

(41) Dial. la Ròca alpeggio poco sotto il passo Foscagno, nel comune di Livigno.

(42) Dial. regolàr "accudire (il bestiame)", dar ió régola "dar da mangiare alla bestie nella stalla", mantenedo la regolarità degli orari e delle porzioni (Longa 210).

(43) Si tratta di un soprannome, che forse ricalca il dial. ral "cilindretto di legno per far scorrere la fune nella spola, quando si lega un carro", o forb. ral "specie di rastrello per la neve" (Longa 207; Monti 205), ralàr su "stringere la fune col randello", trasl. "costringere qualcuno a comprare cosa di difficile smercio". Da questo ha probabilmente origine il toponimo Raglión in Valdidentro, nell'Inventario del 1553 Ralono (Longa 313; cf. SB051) e al Ralón sopra Piatta (Longa 307). Nel 1627 troveremo: Gioan Bettino Guana et Francesco Toniol detto de Ralon de Platta… Franciscus Toniolus de Platta dictus Ral (cf. SB071). Esiste ancora come soprannome a Premadio e una variante diminutiva Ralìn è segnalato in Valfurva (Longa 331).

(44) A Piatta si narrava un fatto simile e vivono ancora persone che lo hanno sentito direttamente dai loro maggiori. Lungo il tracciato nel bosco denominato la Sc'tràda de l'incànt, improvvisamente una priàla trascinata da una mucca non poté più procedere. Per quanto si percotesse la bestia, non mosse un solo passo in avanti. Procedendo oltre, il conducente incontrò una donna in fama di strega, seduta sul ciglio, tutta sanguinante. Le chiese che cosa le fosse accaduto. «Saprai bene quello che mi hai fatto!», le rispose. Le percosse destinate all'animale, immedesimato in quel momento con la strega, erano ricadute su di lei (testimonianza di Adele Dei Cas, anni 93).

(45) Borm. Röinècia, Ruinècia località a Ovest di Bormio (Longa 297), a motivo delle frane periodiche.

(46) Dial. masch. döi, femm. dóa (Longa 55; REW 2798; Rohlfs 3, 309-10).

(47) "Batteva la testa contro", it. dar di testa.

(48) Nome di uno dei due vani nel Palazzo pretorio usati come carceri. Il nome dell'altro era "carcere oscuro", perché senza aperture.