Lombardia Beni Culturali

I fondi bormiesi: una avvertenza

di Rita Pezzola

Il territorio Bormiese, situato alla confluenza di uno spartiacque alpino, storicamente comprendeva il bacino delle alti valli dell’Adda e affluenti, nonché la valle di Livigno, posta già oltre il crinale. Comune e sede pievana, a circa 1200 metri d’altitudine, il borgo di Bormio costituiva un crocevia di rilevante importanza all’epoca storica qui oggetto di studio, e continuò a fungere da nodo stradale strategico pure nei secoli successivi [1].

Nel Bormiese, territorio di passaggio e di scambio, «le influenze oltremontane si incontrarono con quelle che venivan di Valtellina». Così, nel 1945, annotava Enrico Besta nel suo studio Bormio antica e medievale [2]. Pochi anni dopo, nel 1957, Il Bognetti – che fu frequentatore degli archivi bormiesi per oltre un decennio al fianco del Besta – avrebbe scritto: «Bormio ci si rivela ben più che un borgo, dalla complessa struttura sociale e dalla fervida vita economica; è un ganglio politico, tra tre aree in contrasto [Coira, Como e Milano]» [3].

È per questi motivi che le scritture del Bormiese qui presentate costituiscono una sezione distinta del Codice diplomatico relativo all’area comasca. Ciò in coerenza al fatto che – per riprendere parzialmente una espressione di C. G. Mor – «la storia bormiese si è svolta su una direttrice particolaristica, con una sua propria individualità» [4].

È doveroso precisare, analogamente a quanto dichiarato in riferimento ai fondi minori valtellinesi, che anche questa sezione del Codice diplomatico presenta margini di provvisorietà, in relazione all’obiettivo che si desidera raggiungere: quello di una visione d’insieme dei fondi archivistici delle istituzioni presenti nelle terre dell’antica diocesi di Como.

Note

[1] Dalla Valtellina vi giungeva la via che, attraversata la strozzatura detta, già nel Medioevo, di Serravalle, risaliva poi la Valfurva; reciprocamente dal Veneto – attraverso il passo del Tonale – o dalla Lombardia orientale – attraverso la Valcamonica – superato il passo del Gavia (m. 2621) si ridiscendeva a Bormio attraverso la stessa Valfurva. Ancora: inoltrandosi dal borgo in direzione della valle di Fraele ed attraversandola si poteva giungere al valico di San Giacomo (m. 1952) ove, non molto a distanza delle sorgenti dell’Adda, sorgeva da epoca non documentabile un ospedale di passo dedicato al medesimo santo (la più antica fonte documentaria attualmente nota che attesti l’esistenza dell’ospedale di San Giacomo a Fraele è del 1287 ed è conservata presso l’archivio del comune di Bormio. ACBRM, Pergamene, n. 10. Si veda R. BRACCHI, La chiesa e l’ ‘hospitale’ di San Giacomo di Fraele in una pergamena del 1287, «Bollettino della Società storica valtellinese», 48 (1995), pp. 7–36). Da qui si dipartivano due itinerari: il primo attraverso la val Mora conduceva in val Monastero (in direzione della Germania o della Val Venosta), e l’altro permetteva la discesa verso Zernez in Engadina. Sempre risalendo da Bormio verso i Bagni, ma volgendo un poco verso Oriente, era tracciata la strada detta dell’Umbrail, dal nome del passo da raggiungere (passo detto anche di Santa Maria), e da qui (m. 2500) si scendeva presso Santa Maria in val Monastero. Infine, a occidente, percorsa tutta la Valdidentro e attraversato il passo del Foscagno (m. 2281) e della Forcola si giungeva a Livigno, località aperta sia verso il passo del Bernina, sia – all’opposto – verso l’alta Engadina (su questi aspetti si veda il volume di T. URANGIA TAZZOLI, La contea di Bormio: raccolta di materiali per lo studio delle alte valli dell’Adda, I: Il paesaggio, Sondrio, Arti grafiche Valtellinesi, 1932, interamente dedicato alla descrizione fisica delle terre bormiesi; ma soprattutto: R. CELLI, Longevità di una democrazia comunale: le istituzioni di Bormio dalle origini del comune al dominio napoleonico, Udine, Del Bianco, 1984 (Serie monografica di Storia moderna e contemporanea, 9), pp. 12–46).

[2] E. BESTA, Bormio antica e medievale e le sue relazioni con le potenze finitime, Milano, Giuffré, 1945 (Raccolta di studi storico sulla Valtellina, 5), p. 189.

[3] G. BOGNETTI, Il liber stratarum di Bormio trecentesca, «Bollettino della Società storica valtellinese», 11 (1957), pp. 3–35 (p. 9). A questo proposito si rileva sin d’ora – sia pure a modo di spunto cui va dedicato uno sviluppo – che persino una prima e parziale riflessione sulle dedicazioni delle chiese di queste terre suggerisce la complessità degli influssi che caratterizzarono il Bormiese: la chiesa di Bormio è intitolata ai Santi Gervasio e Protasio, quella di Semogo a Sant’Abbondio, quella di Premadio a San Gallo. A San Martino di Tours sono intitolate le chiese di Serravalle, dei Bagni di Bormio e di Pedenosso; nelle vicinanze di San Martino di Serravalle, inoltre, sorgeva la chiesa di San Brizio successore dello stesso Martino. Per una elencazione ordinata delle dedicazioni, fra le fonti edite si veda, ad esempio, F. NINGUARDA, Atti della visita pastorale di F. Feliciano Ninguarda vescovo di Como (1589–1593), ordinati e annotati dal sac. dott. Santo Monti e pubblicati per cura della Società storica comense negli anni 1892–1898, Como, Tipografia provinciale Ostinelli, 1903, I, pp. 368–395.

[4] Cf. C. G. MOR, Per la storia di Bormio. A proposito del volume di Urangia Tazzoli, La contea di Bormio, IV: La storia, in «Raetia», 1939, che però poneva in evidenza soprattutto gli aspetti di isolamento. La frase era già stata citata da CELLI, Longevità, p. 12. La consapevolezza di «tale originalità di genesi e di caratteri» (I. SILVESTRI, Storia di Livigno dal Medioevo al 1797, Sondrio, Società storica valtellinese, 1995, I, p. 23) avrebbe condotto ancora nel corso del Cinquecento alla orgogliosa statuizione del principio di separatezza delle terre di Bormio dalla Valtellina. Si legge nel capitolo 319, De non habendo communionem cum Valle Tellina: «Item, visis litteris per dominos Trium Ligarum communitati Burmii concessis per praefatos dominos ordinatum est quod ubi acciderit quod domini Trium Ligarum voluerint aliquam taleam seu aliquas expensas imponere eorum subditis aut aliter, quod communitas Burmii non artetur nec cogi possit ad habendum aliquod comune cum valle Tellina, neque ad contribuendum aliquam ratam cum ipsa valle; sed si domini prefati aliquid voluerint imponere ipsi communitati seorsum et separatim imponant»: Statuti ossia leggi municipali del comune di Bormio civili e penali, a cura di Lyde Martinelli e Sandro Rovaris, Sondrio, Banca piccolo Credito Valtellinese, 1984 (Collana storica, 3), p. 288.

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