Lombardia Beni Culturali

Introduzione

Quello del Cerreto è il più cospicuo fondo monastico di area lodigiana giunto fino a noi. Esso annovera ben 74 documenti fino alla fine del secolo XII [1]: come consistenza complessiva esso è secondo solo all’archivio della Mensa Vescovile di Lodi [2].

Il corpus di cui oggi disponiamo comprende 38 documenti pervenuti in copia attraverso un registro del 1284, il Liber iurium di Lodi, e 21 pergamene sciolte, alcune conservate nel superstite fondo del Cerreto e altre in quello del monastero milanese di S. Ambrogio [3]; è pervenuta inoltre la trascrizione settecentesca di altri 10 documenti, tràditi da un codice conservato in una raccolta privata. Infine, abbiamo notizia di 4 documenti perduti solo attraverso i repertori settecenteschi.

Data la varietà delle vicende archivistiche dei documenti, è opportuno illustrare separatamente i diversi canali attraverso i quali i documenti del Cerreto sono giunti fino a noi.

Originali conservati nell’antico archivio del Cerreto (ASMi)

I documenti cerretani originali, su pergamene sciolte, rappresentano decisamente la minor parte del corpus complessivo: nel fondo ancora intitolato a S. Pietro in Cerreto custodito oggi presso l’Archivio di Stato di Milano sono conservati solo 5 documenti contenuti in 4 pergamene (ASMi, AD, pergg., cart. 182).

Essi presentano una segnatura specifica, risalente al Settecento, del tipo “C. n. 1”, preceduta dalla data. L’uniformità delle annotazioni tergali suggerisce che questo gruppo di pergamene sia stato conservato unitariamente almeno dal XV secolo. Il pezzo corrispondente alla segnatura “C. 3” manca: visto che il repertorio delle carte del Cerreto redatto all’inizio del Settecento registra solo i documenti conservati anche oggi [4], la scomparsa del pezzo segnato “3” deve risalire a prima di allora.

Originali conservati nell’antico archivio del monastero di S. Ambrogio di Milano (ASMi)

Altri originali sono confluiti tra le pergamene relative al monastero milanese di S. Ambrogio: in base agli inventari settecenteschi – in cui le carte cerretane sono distinte da quelle santambrosiane [5] – risultano 12 pezzi ascrivibili al Cerreto, di cui 3 sono andati perduti (di uno si perdono le tracce in tempi relativamente recenti, all’inizio del Novecento) e 9 sono ancora conservati tra le carte di S. Ambrogio del XII secolo (ASMi, AD, pergg., cartt. 312 e 313).

Inoltre, tra le carte del monastero milanese ci sono altri 7 documenti del Cerreto che non erano stati riconosciuti per tali nel XVIII secolo e che dunque figurano solo negli elenchi generali dei documenti spettanti a S. Ambrogio: 3 risalgono ai secoli X e XI e sono quindi conservati nel Museo Diplomatico (ASMi, MD, cartt. 6, 11 e 13), mentre gli altri 4 si trovano tra le pergamene di S. Ambrogio del XII secolo (ASMi, AD, pergg., cartt. 312 e 313). I primi 3 documenti, quelli più antichi, riguardano il monastero di S. Giulia di Brescia e alcuni beni nel territorio tra Crema e Bergamo: nel 1233, infatti, le monache di S. Giulia cedettero al monastero del Cerreto i suddetti beni siti nei territori di Barbata, Isso e Antegnate [6].

All’antico archivio del Cerreto vanno inoltre ascritti anche 2 documenti di Eugenio III (nn. 41 e 42): l’uno fa parte dei documenti confluiti nel fondo del monastero di Chiaravalle milanese a seguito dell’adesione alla Congregazione Cistercense ed è rimasto tra quelle carte (ASMi, AD, pergg. cart. 551) [7], l’altro fu scorporato dall’archivio santambrosiano e collocato nel fondo Bolle e brevi (ASMi, Bolle e brevi, cart. 2).

Devono invece essere considerati estranei all’archivio del Cerreto e parte integrante di quello di Chiaravalle i 2 privilegi pontifici di Innocenzo II [8] e di Eugenio III [9] mediante i quali il cenobio cerretano viene prima sottoposto e poi confermato come sottoposto alla giurisdizione dell’abate clarevallense (ASMi, AD, pergg. cart. 551). Nei memoriali della Congregazione risalenti all’epoca della soppressione [10], in relazione ai beni in Cremasca, si citano tanto il privilegio di Innocenzo II di cui si è detto [11] quanto un documento di Enrico VI che va probabilmente identificato in quello del 24 marzo 1187 (v. n. 64).

Complessivamente, dunque, sono note 21 carte cerretane confluite in quelle del monastero di S. Ambrogio, di cui 18 conservate ancora oggi e 3 perdute.

Copie in registro: il Liber iurium di Lodi (1284)

Oltre metà dei documenti cerretani complessivamente noti è pervenuta attraverso le copie contenute nel Liber iurium del comune di Lodi del 1284 [12], che contiene 50 documenti del Cerreto (ed altri ancora ne conteneva, in carte perdute) [13], di cui 39 anteriori all’anno 1200.

Per una trattazione completa delle vicende di questo nucleo documentario rimandiamo all’edizione critica del Liber: in questa sede basti chiarire che le copie del 1284 in esso contenute, autenticate in blocco, derivano da un perduto cartulario di S. Pietro in Cerreto attraverso copie contenute in due quaterni comunis del 1257, ove i documenti sono parimenti autenticati in blocco, e si configurano quindi come D nella tradizione [14]. Il cartulario del Cerreto da cui sono state tratte le copie prima dei quaterni comunis e poi del Liber iurium, invece, doveva essere in copia semplice: diversamente, il notaio che ne trasse le copie per il Comune avrebbe trascritto anche eventuali autentiche, come era prassi. Quanto a rubriche e annotazioni che precedono e seguono i documenti, esse sono le stesse che dovevano essere presenti nel cartulario monastico (basti considerare in esse l’uso della prima persona plurale in riferimento ai monaci) e sono state riportate tali e quali prima dal redattore dei quaterni comunis del 1257 e poi da quello del Liber iurium nel 1284. Considerazioni in merito all’arco cronologico dei documenti riportati nel Liber – che non superano il 1223 – e al contenuto – relativo a territori ben precisi – suggeriscono che per la compilazione dei quaterni comunis, travasati infine nel Liber iurium, sia stata effettuata una selezione rispetto a quanto contenuto nel cartulario monastico originale in base a criteri di pertinenza topografica: nel 1233 il comune di Lodi aveva infatti assunto sotto la sua protezione il cenobio cerretano [15] e da allora, per secoli, tentò di esercitare pretese di esazione fiscale su alcune zone soggette al monastero site nel territorio tra Lodi e Crema.

Gli originali dei documenti pervenuti attraverso il Liber iurium sono tutti perduti tranne uno, conservato nel fondo del Cerreto (n. 16).

Trascrizioni del XVIII sec.: il codice Dolfin

Vicende completamente diverse sono quelle a cui dobbiamo la conoscenza di altri 10 documenti altrimenti perduti: essi furono trascritti in un codice cartaceo settecentesco [16] che oggi fa parte di una raccolta privata ed è denominato “Codice Dolfin” dal nome della famiglia veneziana che tenne i beni in concessione a partire dal XVI secolo, come vedremo in dettaglio.

Alcune annotazioni archivistiche sono state rese illeggibili, sembrerebbe di proposito: l’unica segnatura ancora presente è “busta 23”, riferibile forse all’ordinamento dell’archivio da cui proviene.

Il codice si deve a un’unica mano e presenta una paginazione che parte da 268 e compare sul recto di ogni carta. Una mano successiva, che pare ottocentesca, ha aggiunto una cartulazione su recto e verso che parte da 1, compresa la copertina. Nella sua composizione attuale il codice si apre con 8 documenti di età bassomedievale e moderna, tra cui 6 privilegi pontifici indirizzati al Cerreto, a cui segue la serie di 63 documenti risalenti agli anni compresi tra il 1170 e il 1335, dei quali nessuno sembra essere pervenuto altrimenti [17].

I documenti riguardano esclusivamente i beni nelle zone intorno all’abbazia cerretana, cosiddetti “in Cremasca”, cioè quelli ricadenti dal XVI secolo in avanti sotto la giurisdizione dello stato veneto e poi concessi al veneziano Nicolò Dolfin, come illustreremo più avanti.

Tutte le copie contenute nel volume recano la dicitura “exemplum” in alto a sinistra e, appena sotto, è riportata la data secondo il computo moderno (molto spesso errata a causa della confusione avvenuta dal redattore del codice tra il giorno delle calende e l’ordinale del mese), oltre a un breve regesto. Pare di poter concludere che le copie siano state tratte direttamente dagli originali: prima della sottoscrizione è infatti regolarmente presente la sigla “L.S.” (da intendersi “locus signi”).

Le trascrizioni settecentesche appaiono sostanzialmente corrette, anche se non mancano alcuni palesi fraintendimenti. Nell’edizione si è ritenuto opportuno emendarli previa segnalazione in apparato o nelle note introduttive: alcuni sono errori sistematici di scioglimento delle abbreviazioni (costante lo scioglimento “infrascriptus” anziché “suprascriptus”, frequenti “superius” in luogo di “ut supra” e “quatenus” in luogo di “qui supra”), altri appaiono come incongruità nel formulario causate da difficoltà di lettura. L’ortografia sembra invece relativamente coerente sia nel testo che nell’indicazione dei nomi e si è quindi scelto di rispettarla.

Poiché la storia del codice è legata a quella dei beni di cui parlano i documenti che contiene in copia, è necessario ripercorrere alcune tappe fondamentali [18]. Il codice, infatti, reca in copertina la dicitura “Per affari del monastero di Cereto circa l’abacia in Cremasca dal 1169 fino 1331” e si riferisce ai beni di S. Bernardo di Crema di cui dal 1587 in avanti furono concessionari Nicolò Dolfin figlio del fu Marco e i suoi eredi nei territori di Rovereto, Corte Palasio, Casaletto e Ombriano.

In generale, i beni del Cerreto risultavano suddivisi tra quelli nel territorio lodigiano e quelli nel territorio cremasco, con tutti i problemi giurisdizionali che ne conseguirono dopo la pace di Lodi (1454): i primi restarono sempre ai monaci, mentre i secondi, quando l’abbazia fu trasformata in commenda da Eugenio IV nel 1439, spettarono all’abbazia di Casaletto. Di questa e dei relativi beni furono investiti di volta in volta numerosi cardinali (tra cui anche il futuro Giulio II della Rovere) e prelati finché l’ultimo abate commendatario, Pier Donato Cesi, non rinunciò alla commenda restituendola definitivamente ai monaci cistercensi. Mediante il privilegio di Pio V del 28 aprile 1570 fu disposto da un lato che la commenda o beneficio in questione fosse incorporato all’abbazia cerretana, dall’altro che i monaci erigessero in Crema un convento dedicato a S. Bernardo e lo dotassero proprio con tali beni.

A causa di varie difficoltà di gestione, in particolare in merito alla riscossione dei censi, nel 1587 la Congregazione cistercense concesse in enfiteusi i beni del Cerreto al nobile veneziano Nicolò Dolfin [19], già podestà e capitano di Crema, in cambio di un cospicuo censo annuo e dell’impegno da parte di costui a depositare entro 25 anni un congruo capitale destinato ai lavori di costruzione dell’abbazia di S. Bernardo, che iniziarono nel 1590. In seguito il Dolfin non ottemperò all’impegno assunto e si limitò al pagamento del censo senza effettuare il deposito convenuto; i monaci del Cerreto citarono in giudizio i suoi eredi e si aprì così un contenzioso destinato a durare molto a lungo. Nel 1769 S. Bernardo fu soppresso [20]: nel 1771 furono notificati i beni posseduti dall’abbazia, rappresentata da Leonardo Dolfin del fu Piero, priore e possessore delle terre “nelle ville di Rubian, Casaletto Ceredano, Passerera e Roveretto” [21].

I Cistercensi del Cerreto avevano ottenuto che tali beni, poiché di provenienza milanese e non veneta, venissero riconosciuti tra quelli della Congregazione Cistercense di Lombardia, alla quale infatti restarono fino allo scioglimento della medesima ad opera della Cisalpina nel 1797. Dopo le vicende della soppressione e i contenziosi circa i destinatari del canone annuo (soppressa la Congregazione, il livello Dolfin risultava conteso tra il Fondo di Religione e l’ospedale degli Infermi di Crema), nel 1800 l’allora priore Leonardo Dolfin venne infine reintegrato nel godimento dei beni.

Il legame tra i Dolfin e i beni del Cerreto continuò anche in seguito: nel 1806 e nel 1809 i fratelli Vincenzo e Girolamo Maria, veneziani, eredi del fu Vincenzo, investirono a titolo di locazione semplice per 18 anni Antonio Psalidi e Andrea Terzi “di tutte le rendite e di tutti li beni situati nel territorio cremasco e compresi sotto la generale denominazione dell’abbazia di Cereto” [22]; a seguito della morosità del Terzi si aprì una causa e i Dolfin furono infine soddisfatti del credito nel 1815. Negli stessi anni si aprirono ulteriori contenziosi tra i coloni perpetui dei beni della soppressa abbazia e i Dolfin in merito al trasporto dei beni a proprio nome nelle tavole censuarie [23]. I fascicoli in merito alle controversie, inoltre, ci informano che nella stessa epoca ebbero luogo sottrazioni dolose di documentazione anche antica: una nota del marzo 1824 informa di come “siansi effettivamente da ignoti delinquenti asportate e dissipate o vendute carte già depositate negli archivi di Crema in epoche remote e recenti, dacché sonosi reperiti nello scorso febbraio atti e pergamene presso il cartolaio Luppi ad imputata opera di Giacomo Visconti archivista e protocollista presso la Congregazione Municipale” [24].

L’ultimo passaggio noto risale ad alcuni anni prima della soppressione di S. Bernardo: il codice fu “consegnato a Ca’ Contarini” in data 8 gennaio 1760, come riferisce un’annotazione vergata sulla facciata interna della copertina. Non ci sono tuttavia elementi sufficienti a contestualizzare l’interesse di questa seconda famiglia veneziana per i beni del Cerreto in questo periodo, quando, come abbiamo visto, erano ancora legati ai Dolfin [25].

Note

[1] Si tratta complessivamente di 76 pezzi: due documenti sono pervenuti sia in originale che in copia (il n. 3 del 1021 e il n. 16 del 1117).

[2] Cfr. Le carte della Mensa Vescovile di Lodi (883-1200), a cura di A. Grossi.

[3] Il Cerreto aderì nel 1570 alla Congregazione Cistercense, cioè il movimento dell’Osservanza di S. Bernardo di Chiaravalle, mentre il cenobio milanese ne faceva parte sin dall’inizio. Cfr. M. Pellegrini, Chiaravalle fra Quattro e Cinquecento: l’introduzione della commenda e la genesi della Congregazione osservante di San Bernardo, in Chiaravalle. Arte e storia di un’abbazia cistercense, a cura di P. Tomea, Milano 1992, pp. 92-120.

[4] ASMi, Fondo di religione, cart. 5236, Registro de’ documenti che si trovano nel archivio de l’insigne monastero di Cerreto, diocesi di Lodi.

[5] ASMi, AD, pergg., cart. 350, Exemplaria diplomatum et documentorum quae in archivio imperialis monasterii Sancti Ambrosii Maioris Mediolani adservantur ab anno regni Liutprandi nono usque ad saeculum XI, in tre partes distribuita ad laudabilem antiquitatis memoriam conservandam, sub regime illustrissimi et reverendissimi patri domini domini Iohannis Andreae Gambarana, predicti monasterii abbatis, Campillioni, Civennae, Limontae comitis et domini imperialis. Anno salutis MDCCXXVII; ASMi, AD, pergg, cart. 353bis, Elenchus chronologicus ex autographis et apographis publicarum ex membranis tabularum ab anno Christi DCCXXI ad MCCI quae in archivio monasterii Ambrosii Cisterciense adservantur, 1732; ASMi, AD, pergg., cart. 354, Registro o sia compendio e repertorio di tutti li documenti in carta pergamena dell’archivio del monastero di S. Ambroggio Maggiore a Milano ... Nell'anno della Salute 1738; ASMi, AD, pergg., cart. 353, Rubrica seu index chronologicus omnium ex membranis documentorum ab anno salutis 721 ad annum 1728, quae in trigintasex tabulas distributa in armario II et III archivi monastici Ambrosiani adservantur. Literae C immediatum ipsorummet documentorum receptaculum, vulgo cartera, N capitalem eorundem numerum indicant; quia vero documenta ab anno 721 ad annum 1201 in duobus chartaceis codicibus referuntur, ideo addita est litera P quae codicis paginam in qua referuntur denotat. Anno salutis MDCCXXXIX; ASMi, Fondo di religione, cart. 5242, Sommario chronologico delli documenti quali si conservano nell’archivio del monastero di S. Ambrogio di Milano spettanti all’insigne abbazia di SS. Pietro e Paolo in Cereto.

[6] La vicenda è ampiamente illustrata in G. Cariboni, Documenti ignoti o poco noti intorno a Barbata, curtis del monastero bresciano di S. Giulia, in “Rendiconti dell’Istituto Lombardo Accademia di Scienze e Lettere. Classe di Lettere e Scienze Morali e Storiche”, 129 (1995), pp. 27-49.

[7] Lo conferma anche l&rsquoinventario di fine Seicento del Moroni (ASMi, Registri del fondo di religione, cart. 66, Index locupletissimus scripturarum pertinentium monasterio Clarevallis Mediolani expletus a P.D. Octaviano Morono eiusdem monasterii monaco ac bibliothecario, compilato negli anni Ottanta del XVII secolo), p. 9.

[8] Doc. del 18 novembre 1139, ed. Vignati, Codice diplomatico, I, n. 102; reg. Kehr, VI/1, p. 122, n. 1.

[9] Doc. del 30 giugno 1148, ed. Vignati, Codice diplomatico, I, n. 132; reg. Kehr, VI/1, p. 122, n. 2.

[10] Doc. del 2 ottobre 1770, osservazioni della Congregazione Cistercense, ASMi, Amministrazione del fondo di religione, cart. 1764.

[11] Nel memoriale si riporta la data 14 dicembre (anziché, correttamente, 18 novembre) 1139 a causa della confusione delle calende con il numero del mese.

[12] Cfr. A. Grossi, Il Liber iurium del Comune di Lodi, Roma-Lodi 2004 (Pubblicazioni degli Archivi di Stato, Fonti, XLII), pp. XXVIII-XXXII; si veda inoltre Il Liber iurium di Lodi, in Comuni e memoria storica. Alle origini del comune di Genova, a cura di D. Puncuh, Atti del convegno (Genova 24-26 settembre 2001), Genova 2002, pp. 149-169 (anche in “Scrineum”, http://scrineum.unipv.it/biblioteca/grossi.html).

[13] Nel codice duecentesco sono cadute alcune carte appena prima del punto in cui ha inizio il gruppo dei documenti in questione: il fatto che i primi riportati risalgano agli anni immediatamente a ridosso della fondazione induce a ritenere che le perdite siano limitate.

[14] Si veda l’autentica apposta in coda all’ultimo documento del gruppo (cioè al n. 37 della presente edizione): quella di Bregondius Rufinus del 1257, che autenticava il contenuto dei quaterni comunis, e quella di Anselmo de Mellese, che autenticava i documenti da quelli copiati nel Liber iurium (“Ego Bregondius Rufinus, notarius et missus regis, autenticum huius exempli vidi et legi, et sic in eo continebatur ut in hoc legitur exemplo, preter litteras plus minusve, et hoc exemplum exemplavi et me subscripsi, parabola et precepto mihi dato per dominum Azonem de Pirovano, potestatem Laude, MCCLVII, die dominico XV die aprilis, inditione XV, presentibus domino Sozone de Vistarino, Petro Codecasa, Montenario Nigro et Bertramo de Salarano, civibus Laude, testibus rogatis. Ego Anselmus de Mellese, notarius imperialis, predicta omnia instrumenta et scripturas monasterii predicti de Cereto, prout sunt, ab autentico eorum per dictum Bregondium Rufinum notarium exemplata in duobus quaternis comunis Laude vidi et legi et, precepto domini Loth de Aleis de Florentia, militis et doctoris legum, potestatis Laude, in hoc registro registravi et me subscripsi”).

[15] Doc. del 9 gennaio 1233, ed. A. Grossi, Il Liber iurium del Comune di Lodi, app. n. 1.

[16] Consultato in fotocopia per gentile concessione. L’archivio di provenienza, noto come Dolfin-Compostella, è stato smembrato e disperso in anni recenti, cfr. a questo proposito i brevi cenni contenuti in F. Caramatti, Alle porte di Crema, Venezia 1994, pp. 47-8, note 9 e 10.

[17] Come pare confermare lo spoglio archivistico che abbiamo effettuato, per il quale, oltre ai fondi lombardi, si è considerato anche l’ASVe.

[18] Per le quali si veda A. Zavaglio, I monasteri cremaschi di regola benedettina. Contributo alla storia religiosa del Cremasco, Crema 1991, pp. 119-127. Per insediarsi in città i monaci del Cerreto ottennero da Sisto V di occupare inizialmente la chiesa di S. Martino e una delle sedi degli Umiliati: l’abbazia di S. Bernardo fu costruita solo nel Seicento e fu infine soppressa dalla Serenissima nel 1769 (cfr. anche F. Sforza Benvenuti, Storia di Crema, vol. II, Milano 1859, pp.304-305).

[19] Doc. del 19 novembre 1587, ASMi, Culto, p.a., cart. 157.

[20] Decreti del Senato in data 7 settembre 1768, 6 maggio e 14 dicembre 1769, cfr. ASMi, Amministrazione del fondo di religione, cart. 1764.

[21] Notifica del 9 dicembre 1771 in esecuzione del decreto del Senato di Venezia del 28 gennaio 1768 (si veda inoltre doc. del 28 giugno 1771, ASMi, Culto, p.a., cart. 157).

[22] Doc. del 22 agosto 1806 rogato dal notaio veneziano Paolino Comincioli, citato nelle dichiarazioni del 12 settembre 1815 rese innanzi al notaio Antonio Mereschi Codelli di S. Giuliano, ASMi, Famiglie, cart. 66, fasc. Dolfini; doc. del 22 marzo 1809 rogato dal notaio milanese Antonio Maderna, Ibidem.

[23] ASMi, Fondi camerali, p.m., cartt. 16, 17 e 18.

[24] Doc. del 16 marzo 1824, ASMi, Fondi camerali, p.m., cart. 17.

[25] È stato possibile individuare alcuni legami tra la famiglia Contarini e i beni nel cremasco solo in epoche ben precedenti al 1760, anno in cui il codice fu loro consegnato. Nella seconda metà del XVI secolo i Contarini pretendevano di esercitare un dubbio diritto di pascolo sulle terre di Casaletto Ceredano, di proprietà di S. Bernardo, oggetto di varie controversie (ASMi, Amministrazione del fondo di religione, cart. 1764): non si può escludere che la famiglia abbia continuato a nutrire speranze in quel senso anche in seguito. Nel Seicento, invece, due membri della famiglia risultano legati a S. Bernardo di Crema e all’amministrazione dei beni cerretani: si tratta rispettivamente di padre Sebastian Contarini, abate di S. Bernardo di Crema verso la metà del XVII secolo, e di Giovanni Contarini, procuratore e amministratore delle rendite del Cerreto. Entrambi i personaggi sono citati in una disposizione del nunzio apostolico in Venezia del 1645 in cui si ribadiva come il proseguimento della costruzione dell’abbazia di S. Bernardo dipendesse economicamente dal Cerreto, cfr. doc. del 23 settembre 1645 in ASMi, Fondo di religione, cart. 5236.

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