Lombardia Beni Culturali

<Breve> offertionis

1134 agosto 28, <Pavia>.

Ugo de Bona di Marengo offre se stesso e i suoi beni al monastero di S. Pietro <in Ciel d'Oro> , in particolare la metà di un mulino e di una braida che tiene da parte del fisco regio, metà di un sedime con vigna in Marengo, tutta la terra che possedeva insieme con suo fratello oltre la Bormida nonché beni mobili, comprensivi di armi, abbigliamento e suppellettili, stabilendo che se qualcuno di questi ultimi risulterà completamente usurato o ceduto, dopo la propria morte il monastero riceverà quaranta lire di denari pavesi. A garanzia di ciò dà in investitura, a titolo di pegno, sei moggia di terra in Pomaro <Monferrato> . Dal canto suo l'abate <di S. Pietro in Ciel d'Oro> concede a Ugo, nel caso desideri abbandonare la vita secolare, di stabilirsi in Pavone, insieme a un monaco o a un sacerdote, godendo dei beni delle chiese di S. Michele e di S. Germano, con la sola eccezione dei proventi solitamente devoluti al sostentamento dei confratelli pavesi; in caso di tale scelta Ugo dovrà impegnarsi a salvaguardare il patrimonio del monastero e a prendere le armi soltanto in caso di una guerra che coinvolga Marengo o per difendere il monastero.

Falsificazione in forma di originale, ASMi, FR p.a., cart. 6074 (cl. V, Pavone) [F]. Regesto del 1752, ivi, cart. 6122, Registro di Pavone, c. 15r = camicia cartacea di F, della stessa mano del Registro. Nel verso, solo annotazioni tarde.

Edizione: GASPAROLO, Cartario Alessandrino, I, n. 36, pp. 49-50.
Regesto: Documenti alessandrini, n. 147, p. 110.

La pergamena presenta consunzione lungo le antiche piegature. La preparazione della membrana, che come in molti falsi si presenta sottile, mostra una generalizzata stropicciatura che sembra provocata ad arte. Sono visibili i forellini della cucitura con la camicia cartacea.
Il giudizio di falsità, già altrove avanzato seppure senza particolari motivazioni (cf. GASPAROLO, Cartario Alessandrino, I, p. 49, n. 36 e CAU, Il falso nel documento privato, p. 233, nota 46), va senz'altro ribadito. Innanzitutto l'impianto del signum, una specie di chrismon dissimulato con grafismi vari, estraneo ai modelli della tradizione notarile pavese, è riproposto in almeno due altri documenti da considerare probabilmente spuri: una vendita del 1048 ottobre 17 (qui, n. 31) e la ben nota carta di fondazione del monastero pavese del Senatore, accreditata al 714 novembre 27, Pavia (SCHIAPARELLI, Codice Diplomatico Longobardo, I, pp. 51-60, n. 18). Si aggiunga che il nostro documento e quello del 1048, attribuiti a notai omonimi, presentano elementi irregolari e simili: la completio non è preceduta dal signum, che compare soltanto all'inizio del protocollo, e al nome del rogatario segue la riduttiva qualifica di notarius in luogo di quella di notarius sacri palatii. Altre anomalie emergono con ricchezza da una semplice lettura del dettato, che vorrebbe adeguarsi al formulario del breve, mentre le donationes inter vivos sono di norma gestite in Pavia, ma non solo in Pavia, con il formulario della charta. Ma anche il breve è costruito con cadute di tono e dimenticanze, estranee anche al più sprovveduto dei notai. Nella datatio - priva dell'indicazione del luogo, costituita da elementi tra loro inconciliabili (nel 1134 cade l'indizione dodicesima; il 28 agosto è un martedì), ingenuamente corretta nel millesimo - l'indizione compare all'inizio del documento, collocata dopo il giorno della settimana e del mese, invece che alla fine del testo, in aggiunta, come sarebbe naturale, all'anno. Monca è la formula iniziale, alla quale non segue l'espressione stereotipata, ma ben radicata nel formulario: ... per lignum quod in sua tenebat manu .... Il testo non soltanto introduce nella narratio motivazioni inconsuete a giustificazione dell'atto di liberalità (... promittens conversionem suarum malarum consuetudinarum ...), ma soprattutto è carente sul piano sintattico (manca il verbo reggente, o altro di equivalente significato) e, almeno in un caso, abbandona la forma oggettiva con un anacronistico verbo in prima persona plurale (... offerens se Deo et monasterio cum suis rebus quas inferius nominabimus ...). Le prove addotte, se concordano nel delineare una figura di falsario digiuno di cultura notarile, seppure munito di conoscenze grafiche di buon livello (e le due considerazioni ci obbligano ancora una volta a pensare a un ecclesiastico, quasi certamente a un monaco del monastero), non ci autorizzano a sminuire la veridicità storica di questa singolare elargizione. La sua compilazione andrà collocata dopo la morte di Ugo (e quindi dopo gli anni trenta o quaranta del sec. XII: il terminus post quem, pur nella sua indeterminatezza, tiene in qualche modo conto dei dati cronici che il documento denuncia), come suggerisce un significativo passaggio del dettato, laddove lo scriba-narratore, nell'accennare ai beni che il cavaliere pentito possiede ultra Burmiam, abbandona d'improvviso il tempo presente fino a quel momento impiegato (.. offerens ... tenet ... habet), per introdurre l'imperfetto (.. habebat ...). Per quanto riguarda il terminus ante quem, le ragioni paleografiche, concordando con il fatto che non appare menzionata la città di Alessandria, sembrano suggerire, seppure con le dovute cautele, una data che non vada molto oltre gli ultimi anni sessanta dello stesso secolo XII. L'ipotesi più credibile è che la donazione in favore del monastero da parte di Ugo fosse stata realmente effettuata pressapoco nello stesso tempo e negli stessi termini che a noi risultano, e che tale donazione non fosse stata formalizzata a tempo debito con una regolare carta dispositiva o per scelta degli interessati (in fondo, lo stato di converso assunto dal donatore poteva già di per sé garantire il monastero: non dimentichiamo, infatti, che S. Pietro in Ciel d'Oro dovette di fatto possedere i predetti beni durante tutto il periodo in cui Ugo visse in Pavone dopo la sua conversione) o per altri impedimenti che ci sfuggono. Se così fosse, il nostro breve andrebbe visto come un falso confezionato per sanzionare a posteriori un negozio i cui contenuti erano stati fino a quel momento mantenuti, negli ambienti del monastero, a Pavia come a Pavone, nell'àmbito della tradizione orale. Una sanzione scritta utile comunque per difendere il monastero da eventuali rivendicazioni di terze persone.

(SN) Die iovis qui est quinto kal(endas) septe(m)b(ris), indic(tione) quinta. Presentia | bonorum hominum quorum nomina subter leguntur, Ugo de Bona | de Marinco ante altare sancti Petri promittens conversionem | suarum malarum consuetudinarum et offerens se Deo (a) et monasterio (b) cum | suis rebus quas inferius nominabimus , videlicet de molendino medietatem | quod ex parte regis tenet et medietatem unius braide similiter quam a rege | tenet, et medium sedimen quod in Marinco habet cum vinea, et totam terram | quam habebat ultra Burmiam cum fratre suo, et omnia arma sua cum equis et mula | una et manstruca varia et unam vulpinam et coopertorium de sirico et | unum lectum cum linteolis et unum siphum argenteum; et si hec omnia mobilia | superius nominata fuerit alico modo consu(m)pta vel alienata, constituit | ut post mortem suam ecclesia haberet quadraginta libras Papiensium denariorum. | Et ut hoc firmum haberetur investivit pro pignore sex modias de terra | in Pomario; et si voluntas ipsius Ugonis alico t(em)pore esset relinquendi seculum, | concessit ei abbas libertatem morandi in Paone aut cum monacho et spiritali | sacerdote qui eum in lege Dei doceret, eo tenore quod ipse possessionem duarum | ęcclesiarum cum monacho aut cum sacerdote haberet Sancti Michaelis et Sancti Germani, | et non haberet potestatem de fructu illius possessionis que ad refectionem | fratrum Papie solita est deferri, et postquam in possessionem ipsius monasterii | habitare voluerit, si voluntas abbatis fuerit, debet iurare per sancta evangelia | Dei nu(m)quam per se nec per submissam personam debet invasare aut inpignare | terras ipsius monasterii et nu(m)quam arma deferri nisi pro co(m)muni guerra ipsius | loci Marinci aut pro utilitate monasterii. Factum est hoc anno ab incarna|cione domini nostri Iesu Christi mill(eximo) centeximo (c) tricesimo quarto. | Interfuerunt testes Asclerius, Tebaldus, Ardicio, Cona, Allo, Bartolomeus, Sirus, | Ioh(anne)s. Ego Guido notarius rogatus scripsi.



(a) D(e)o nel sopralineo.
(b) F mo(na)st(e)rio con la prima o nel sopralineo.
(c) Segue q(u)adrag parzialmente eraso.

Edizione a cura di Barbieri, Cau, Baretta, Ansani
Codifica a cura di Michele Ansani

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