provincia di Sondrio 1816 - 1859

Il sistema di amministrazione comunale nel regno lombardo-veneto fu approvato in via provvisoria con la patente 7 aprile 1815 dall’imperatore Francesco I. Tale sistema sarebbe cessato in data 31 marzo 1816, e nelle province che non componevano la Lombardia austriaca i rispettivi governi avrebbero dovuto, entro il 1 aprile, determinare i circondari comunali, secondo le viste ed i principi dell’amministrazione introdotti per i comuni dello stato di Milano con l’editto 30 dicembre 1755; l’attivazione dei comuni sarebbe seguita il 1 maggio 1816. In data 10 aprile 1816 l’imperial regio delegato provinciale Brebbia aveva affermato che “tra i varj compartimenti dati a questa provincia, sia colla legge 25 fiorile anno IX repubblicano, sia col decreto 8 giugno 1805, con quello del 1807 del cessato governo, nissuno più possa essere adattato alla Provincia di Sondrio, che quello che era in attività al 1 maggio 1796” (il comparto in corso nel 1796 era stato rimesso, alla fine di agosto del 1814, dal prefetto Rezia alla congregazione centrale, confrontato con quello allora in vigore) (Osservazioni delegazione provinciale di Sondrio, 1816). Nell’aprile del 1816 si erano già manifestate opposizioni nei comuni e perplessità nella stessa delegazione provinciale intorno al nuovo comparto territoriale approntato dal governo del lombardo-veneto. I comuni avevano sperato, tra il 1814 e il 1815, di veder ripristinata la stessa articolazione territoriale in vigore prima della rivoluzione del 1797, ma a queste istanze si opponeva il nuovo sistema censuario, e in determinati casi il dichiarato fine politico di indebolire con la frammentazione quei comuni che nel periodo napoleonico e nel più recente passaggio di regime avevano manifestato una qualsivoglia resistenza od opposizione, principalmente Bormio e Val San Giacomo, ma anche Teglio e Malenco, con altri minori.
Con la compartimentazione territoriale del regno lombardo-veneto (notificazione 12 febbraio 1816) la provincia di Sondrio venne organizzata nei distretti I di Sondrio, con 19 comuni, II di Ponte con 10 comuni, III di Tirano, con 17 comuni, IV di Morbegno, con 19 comuni, V di Traona, con 12 comuni, VI di Bormio, con 9 comuni, VII di Chiavenna con 17 comuni; l’imperial regia delegazione provinciale, accogliendo in parte le osservazioni del deputato di Valtellina conte Guicciardi, introdusse alcune modifiche (Prospetto comuni provincia Sondrio, 1816), con accorpamenti e smembramenti rispetto alla notificazione del 12 febbraio, all’interno della medesima organizzazione distrettuale: il distretto di Sondrio venne ad avere 18 comuni, Ponte 6 comuni, Tirano 17 comuni, Morbegno 16 comuni, Traona 10 comuni, Bormio 5 comuni, Chiavenna 13 comuni.
Entro il 1832, in realtà, si ebbero diverse modifiche alla compartimentazione territoriale della provincia di Sondrio, spesso in linea con le originarie proposizioni del Guicciardi, formulate ma non accolte nel 1816.
La popolazione della provincia di Sondrio assommava, nel 1832, a 87.777 abitanti (Rebuschini 1983).
Nel successivo compartimento territoriale delle province lombarde (notificazione 1 luglio 1844), la provincia di Sondrio comprendeva 79 comuni, di cui 59 con consiglio e 20 con convocato, ripartita nei medesimi distretti del 1816.
Nel 1853 (notificazione 23 giugno 1853) la provincia di Sondrio fu organizzata nei distretti I di Sondrio, II di Tirano, III di Morbegno, IV di Chiavenna, V di Bormio, comprendenti in totale 79 comuni amministrativi e con una popolazione complessiva di 100.157 abitanti.
Dal 1858, rimanendo inalterata l’organizzazione in distretti, aumentò di un’unità il numero dei comuni amministrativi, per l’aggiunta di Castello dell’Acqua.
Alla sommità della gerarchia provinciale c’era l’imperial regia delegazione provinciale, con un imperial regio delegato ed altri dieci tra funzionari e impiegati. Le funzioni amministrative locali erano esercitate da una congregazione provinciale presieduta dal delegato provinciale e composta da due deputati dei nobili, due deputati dei non nobili, dal deputato della città di Sondrio, da funzionari ed addetti. A questi si aggiungeva l’ufficio di polizia provinciale, l’ufficio della censura, l’ispettorato provinciale del censo e un ufficio provinciale delle costruzioni, con propri ingegneri, disegnatori, assistenti, inservienti e scrivani. La provincia di Sondrio era poi rappresentata alla congregazione centrale di Milano da tre deputati, designati rispettivamente uno dai nobili, uno dai non nobili e uno dalla regia città di Sondrio.
Anche l’amministrazione scolastica aveva la sua organizzazione provinciale, con un ispettorato provinciale delle scuole elementari e con ispettori nei distretti.
L’amministrazione camerale, per la gestione finanziaria, aveva la propria sede provinciale a Morbegno, mentre a Chiavenna c’era l’ispettorato provinciale delle poste.
L’organizzazione giudiziaria era composta da un imperial regio tribunale provinciale di prima istanza civile, criminale e mercantile in Sondrio, di una pretura urbana pure in Sondrio e di preture foresi a Tirano, Morbegno, Chiavenna e Bormio, più un archivio generale notarile, una camera di disciplina notarile, un ufficio provvisorio delle ipoteche e una giudicatura provinciale di finanza.
L’autorità militare era articolata in un imperial regio comando di piazza a Sondrio, con un capitano, un comando di gendarmeria militare del deposito di coscrizione pure in Sondrio, di un distaccamento delle guardie militari di polizia, sempre nel capoluogo, e da dieci tra capi e sottocapi ispettori delle guardie comunali della provincia.
La pubblica beneficienza era formata da una cassa filiale di risparmio in Sondrio, da una direzione e amministrazione dei pii istituti elemosinieri ancora in Sondrio, dagli ospedali di Sondrio, Morbegno, Chiavenna e da una trentina di luoghi pii, monti di pietà e legati.
Quanto all’ordinamento comunale, Sondrio in qualità di comune-città regia aveva un podestà, nominato per tre anni dall’imperatore, quattro assessori nominati per tre anni dal consiglio di cui tre scelti tra gli estimati e uno fra gli industriali o i commercianti facoltosi. Il consiglio era formato da quaranta cittadini, dei quali due terzi dovevano essere possidenti e un terzo scelti fra individui con un “rilevante stabilimento di industria o commercio”: la nomina del primo consiglio fu fatta dal governo di Milano, su proposta della regia delegazione provinciale; in seguito le nomine venivano fatte dalla congregazione provinciale, su una lista comprendente il doppio dei nomi da scegliere.
Nei comuni con consiglio (nei quali abitavano almeno 300 proprietari di terreni), il consiglio era formato da trenta cittadini, nominati con la stessa procedura di quelli di Sondrio; la carica di consigliere era obbligatoria per chi veniva scelto. Il consiglio eleggeva possidenti a formare la deputazione comunale; il primo di essi doveva figurare fra i tre maggiori proprietari del comune; duravano in carica tre anni ed erano assistiti dal commissario distrettuale.
I comuni con convocato erano amministrati dal “convocato”, cioè da tutti i possessori aventi estimo “in testa propria nei registri del censo”, i quali si riunivano, di regola, due volte all’anno, in gennaio o febbraio e in settembre o ottobre. Il convocato eleggeva i tre deputati comunali, con le stesse modalità fissate per i comuni con consiglio.
L’ordinamento del lombardo-veneto accettava il principio dell’autogoverno, fondato però sul concetto degli interessi e degli oneri inerenti alle categorie contribuenti e non a quello costituzionale del potere del popolo e della rappresentanza; i comuni inoltre potevano deliberare solo in campi determinati dell’amministrazione.
Tra i dipendenti comunali figuravano con maggiore frequenza agenti, guardiaboschi e guardie campestri, cursori, segretari, maestri o maestre, medici chirurghi, e inoltre cancellisti, portieri, segretari, regolatori dell’orologio pubblico, seppellitori, navettieri dell’Adda, stimatori, delegati per le tasse del bestiame, sorveglianti al fuoco, custodi dei cavalli, spazzacamini, levatrici, postari del sale, organisti, catechisti, cappellani, campanari (Elenchi dipendenti comunali provincia di Sondrio, 1820-1841)
Ad ogni distretto era preposto un commissario distrettuale che era la vera autorità periferica, in quanto, nominato dal governo, faceva da tramite tra l’autorità provinciale, la delegazione, e i comuni del distretto. Tutte le pratiche comunali, prima di essere inoltrate a Sondrio, passavano attraverso il commissario, il quale doveva esprimere il suo parere e poteva spiegare il proprio giudizio con valutazioni e note destinate a rimanere segrete agli interessati. Le competenze del commissario distrettuale erano insieme politiche e amministrative. Egli custodiva i libri del censo, esercitava le funzioni di polizia, e dal suo ufficio controllava di fatto le amministrazioni. A lui spettava, tra l’altro, raccogliere ogni anno i bilanci comunali di previsione e spedirli alla delegazione provinciale, priva, quindi, di rapporti diretti con i responsabili della vita comunale. L’influenza del commissario distrettuale poteva esercitarsi inoltre nel rispondere alle richieste di informazioni, anche particolarmente riservate, da parte degli uffici superiori (Mazzali, Spini 1973; Prospetti commissari provincia di Sondrio, 1845; Relazioni commissari provincia di Sondrio, 1846-1847).
Con la “sovrana risoluzione intorno all’alienazione dei beni comunali, ed in particolare dei beni comunali incolti” del 16 giugno 1839 venne favorita la vendita dei beni comunali. Tale provvedimento intaccò una parte considerevole delle antiche proprietà collettive: si trattava soprattutto di boschi, pascoli e incolti; vennero vendute anche molte aree di fondovalle, dove era in uso condurre al pascolo il bestiame nel periodo autunnale (Benetti, Guidetti 1990; Relazioni commissari provincia di Sondrio, 1845).
Fu definitivamente sotto il regno lombardo-veneto che un unico ordine amministrativo e giudiziario sostituì in Valtellina e negli antichi contadi il vecchio insieme di consuetudini locali, che si era mantenuto, sia pure privo delle forze necessarie per liberarsi degli interessi particolari e per evolversi secondo le direzioni suggerite dal rinnovarsi della cultura giuridica e politica dell’Europa, fino alla fine del XVIII secolo. Già il periodo napoleonico aveva imposto un aggiornamento delle istituzioni pubbliche e una modernizzazione degli apparati burocratici, ma verso tali cambiamenti la resistenza era stata forte, tanto da sfociare in aperta ostilità. Solo sotto l’ala della burocrazia lombardo-veneta i terzieri e i contadi della Valtellina si fusero in provincia, diventando tutti, si può dire allo stesso modo, distretti di un potere centrale. La Valtellina, dopo il primo colpo inferto dal regime napoleonico, fu dunque unificata del tutto solo dall’amministrazione del lombardo-veneto: si trattò però di una unificazione burocratica, e come tale non sostituì alla certezza di identità delle molte comunità dell’antico regime, costituite attorno al proprio spirito di indipendenza, il senso di una nuova, più ampia, comunità (Mazzali, Spini 1973).

ultima modifica: 09/01/2007

[ Saverio Almini ]