congregazione provinciale 1815 - 1859

Nella sovrana patente 7 aprile 1815 l’ordinamento amministrativo delle congregazioni provinciali era stato solo prefigurato, laddove si prevedeva la creazione di “collegi permanenti composti di varie classi d’individui nazionali” con il compito di fare “conoscere con esattezza i desideri ed i bisogni degli abitanti del regno” (§§ 12-13) (patente 7 aprile 1815).

La prima parte (§§ 1-36) della sovrana patente 24 aprile 1815 definiva in dettaglio la struttura, le funzioni e le competenze delle congregazioni centrali, istituite in ciascuna delle due capitali governative, Milano e Venezia, e, nella seconda parte (§§ 37-56), quelle delle congregazioni provinciali istituite in ciascuno dei capoluoghi provinciali e residenti presso la sede delle regie delegazioni provinciali. Il presidente della congregazione provinciale era sempre il regio delegato (§ 37). Il numero dei membri delle congregazioni doveva essere proporzionato all’estensione delle province. Le stesse province sotto questo aspetto erano divise in tre classi. Nelle province di prima classe (Milano e Brescia) la congregazione provinciale era composta da otto membri, in quelle di seconda classe (Mantova, Cremona, Bergamo, Como, Lodi e Crema) da sei membri, in quelle di terza classe (Sondrio) da quattro membri, non calcolati i rappresentanti delle città (§ 39). I membri di ogni congregazione, che avevano il titolo di deputati della congregazione, erano scelti per metà tra gli estimati nobili e per metà tra quelli non nobili, mentre ogni città regia aveva il diritto di inviare un suo rappresentante nella congregazione provinciale, scelto fra i cittadini stabilmente residenti in essa (§ 38). La prima nomina dei deputati delle congregazioni provinciali era fatta dal governo su liste di nomi proposti dai consigli comunali. Per le sostituzioni successive il deputato provinciale sarebbe stato scelto dalla congregazione centrale, che, in assenza di eccezioni, avrebbe confermato il primo di una terna di candidati proposti dalla congregazione provinciale sulla base delle indicazioni ricevute dai comuni (§§ 45-46). L’eleggibilità dei deputati sia nobili che non nobili si basava essenzialmente sul censo. I deputati dovevano avere la cittadinanza del regno lombardo-veneto, la residenza nella provincia ed essere proprietari di beni immobili censiti per almeno 2000 scudi sempre nella stessa provincia Per i nobili era richiesto il riconoscimento della nobiltà (§§ 40-41). Le congregazioni provinciali avevano le seguenti attribuzioni nell’ambito del territorio provinciale: sovrintendere al riparto dei tributi e degli oneri militari tra gli enti locali, controllare l’andamento dell’amministrazione economica delle città e dei comuni di cui dovevano esaminare e approvare i bilanci preventivi e i conti consuntivi, stabilire interventi sulle arginature e disporre altri lavori riguardanti le acque e le strade, sorvegliare gli istituti assistenziali, gli ospedali e gli orfanotrofi (§ 50). La facoltà concessa alle congregazioni provinciali di “accompagnare alla congregazione centrale qualunque rappresentanza, voto ed istanza sopra qualunque oggetto di pubblica amministrazione” (§ 51), unita alla possibilità di “provvedere entro i limiti delle loro facoltà, a ogni ramo della pubblica amministrazione” le rendeva un luogo importante del dibattito politico-istituzionale. I regi delegati erano incaricati di vigilare affinché tali limiti non fossero oltrepassati (§ 52). Oltre a questi compiti spettava altresì alla congregazione provinciale formare dai protocolli dei consigli comunali della provincia le tabelle con l’indicazione dei candidati alla carica di rappresentanti presso la congregazione centrale, sia per la prima nomina sia per il rimpiazzo dei posti divenuti vacanti (§§ 11-12). Per l’esecuzione di tali compiti di raccordo politico-istituzionale tra i differenti livelli gerarchici, venne accordato a ogni congregazione provinciale un “relatore, un cassiere, un controllore, ed un ragioniere” mentre il protocollo, la registratura e la spedizione del carteggio erano comuni con quelli della regia delegazione (§ 53-56). Nella loro attività politico-amministrativa le congregazioni erano sottoposte all’ispezione e controllo della congregazione centrale e dovevano eseguire puntualmente le disposizioni da questa emanate (patente 24 aprile 1815 a).

In realtà l’istituzione delle congregazioni aveva suscitato fin dall’inizio una viva ostilità nel governo stesso, tanto che nel novembre del 1815 una commissione governativa voluta dal governatore von Saurau, e presieduta dal referente di governo Paolo de Capitani, si era espressa contro la loro attivazione trovando eco favorevole presso la stessa commissione centrale aulica di Vienna. Nel gennaio 1816 l’imperatore aveva però sollecitato il governo di Milano ad avviare le procedure per le elezioni dei membri delle congregazioni lombarde, anche in considerazione del fatto che nelle province venete questi istituti erano stati attivati (Sandonà 1912; Meriggi 1987).

Nel 1840 il governo dispose nuove istruzioni sui criteri di nomina dei deputati delle congregazioni volte a stabilire un maggior controllo sulle nomine stesse. In esse si stabiliva che le proposte dei consigli e dei convocati per le nomine dei posti di deputati divenuti vacanti si dovessero formulare in pubbliche adunanze disposte dalle regie delegazioni, con assenso preventivo del governo per quelle dei consigli (Sandonà 1912). Alle stesse congregazioni veniva data la facoltà di rappresentare al governo l’idoneità e le qualifiche delle persone proposte dai comuni. Dopo il 1848 le congregazioni cessarono di fatto la propria attività riprendendola solo dal 1856. La storiografia, anche recente, ha sollevato parecchi dubbi sulla reale incidenza di questi istituti che, nei propositi iniziali del governo austriaco, avrebbero dovuto svolgere una funzione di rappresentanza politica dei ceti (Sandonà 1912; Meriggi 1987).

ultima modifica: 12/06/2006

[ Saverio Almini ]