podestà della Valle Seriana Superiore 1404 - 1797

Il podestà di valle era essenzialmente organo giurisdizionale. Tale appare dalla descrizione che ne fanno i privilegi del 1428 (che riprendono precedenti del 1404) nei quali furono fissati i limiti della sua competenza giurisdizionale, recepiti anche dagli statuti della valle Seriana Superiore: poteva giudicare nelle cause civili fino a 200 lire (limite portato a 800 già alla fine del Cinquecento e a 2200 alla fine del Settecento) e in quelle penali fino a 50 lire; tutti i crimini che eccedevano la sua competenza erano riservati al giudizio dei rettori di Bergamo. Gli appelli venivano presentati al collegio dei giuristi di Bergamo.
Preso il possesso della sua carica, il podestà giurava di fronte al consiglio di valle di amministrare rettamente la giustizia, di osservare in primo luogo gli statuti e gli ordini della valle, le consuetudini, in subordine gli statuti di Bergamo ed infine il diritto comune. Aveva diritto ad un salario mensile, pagatogli dalla valle, e all’entrata del “Banco”, vale a dire i diritti sulle spese giudiziali (quelle che doveva pagare la parte soccombente nel giudizio civile, o il condannato nel giudizio criminale). Oltre al salario, la valle doveva provvedere per la sua abitazione fornita di mobilio e suppellettili. Il suo mandato durava due anni e si poteva prolungare fino all’arrivo del successore. Controversie di competenza del podestà potevano tuttavia essere risolte anche da arbitri nominati dalle parti tra gli abitanti della valle: in tali casi, il podestà stesso doveva aderire a tale richiesta e far eseguire il relativo compromesso. Le condanne pecuniarie dipendenti da condanne civili erano a beneficio della valle, eccettuate quelle ottenute da condanne criminali che invece erano profitto della camera fiscale cittadina.
L’ufficio del podestà venne successivamente riformato da diverse leggi che ebbero come scopo principale quello di aumentare i poteri del consiglio per tutelare l’autonomia della valle dalle possibili ingerenze della città e dalle malversazioni del magistrato che avrebbe ricoperto l’incarico. Il consiglio di valle, infatti, iniziò ad avere una parte attiva nella nomina del podestà solo a partire dal 1433: dopo la conclusione del mandato di Niccolò de Portellini, la cui nomina era stata decisa da Venezia, il consiglio di valle elesse Ludovico Civoli, vicario del podestà di Bergamo, a podestà di valle. Il 22 agosto del 1433 questa elezione venne confermata e l’anno successivo il meccanismo che prevedeva elezione da parte del consiglio e conferma da parte del Doge venne attuato anche se divenne regola codificata solo successivamente. Questo modo di elezione non era sempre di facile attuazione e una nomina in più fasi lasciava ampio spazio a dubbi su possibili patteggiamenti tra la città e Venezia sulla scelta di questo funzionario a danno della valle. Già nel 1440 il consiglio di valle manifestò il sospetto che la città tentasse di interferire nell’elezione del podestà. Successivamente, la risoluzione di nominare un patrizio veneto venne talvolta disattesa dalla stessa valle.
Una riforma importante per l’elezione del podestà si ebbe nel 1473, anno in cui il consiglio di valle ottenne l’approvazione dalla Serenissima di un dettagliata normativa, normativa definitivamente fissata nel 1593. La durata del mandato, da questo momento, venne limitata inderogabilmente a sedici mesi senza che vi fosse possibilità alcuna di riconferma (pena una forte sanzione pecuniaria e l’interdizione dai pubblici uffici). La nomina avveniva al termine di un lungo iter e, in prima analisi, dipendeva dal senato di Venezia che proponeva al consiglio di valle una ristretta rosa di candidati; l’elezione ufficiale spettava invece al consiglio e la conferma definitiva era competenza del Doge. La fase più delicata di questo procedimento, la scelta della persona proposta tra i patrizi veneti (requisiti indispensabili dovevano essere l’età superiore ai 30 anni e l’aver già ricoperto l’incarico di una magistratura), veniva rigorosamente descritta fase per fase: i consiglieri di valle proponevano dei nomi ai consiglieri di ciascun comune che ne richiedevano informazioni. Nell’ambito del singolo comune il consiglio generale doveva pronunciare il proprio gradimento su un nome. Successivamente, dopo essere stata scritta e registrata, tale indicazione doveva essere riproposta nell’ambito del consiglio di valle. Sarebbe stato eletto naturalmente chi avesse ricevuto il maggior numero di preferenze. Si passò, quindi, da una fase in cui il podestà, di fatto, veniva imposto alla valle, ad un’altra fase in cui al consiglio veniva data la possibilità di una scelta, sia pure tra una ristretta rosa di candidati.
In questa riforma vennero attentamente predisposte tutele nei confronti di eventuali inadempienze del podestà stesso: non poteva allontanarsi dal territorio della valle per più di quindici giorni complessivi per la durata del suo reggimento (i giorni d’assenza gli venivano decurtati dal salario) e la sua assenza protratta oltre questo termine avrebbe comportato la decadenza dal reggimento. Prima di abbandonare la sua dimora, per qualsiasi motivo, doveva nominare un luogotenente. Si ribadiva infine che tutte le condanne pecuniarie entravano nelle casse della valle; in particolare questa riscossione poteva essere fatta solo dall’esattore di valle dopo che ne fosse stata fatta nota su apposito registro. L’operato del podestà originariamente veniva sottoposto a sindacato da parte del consiglio di valle alla fine del suo mandato. Tale norma venne abrogata il 5 maggio del 1505, coll’effetto di demandare ogni tipo di censura alle competenti magistratura veneziane.
Il podestà era affiancato da un cavaliere e da un cancelliere. Il cancelliere, nominato dal consiglio di valle a partire dal 1593, esercitava il suo mandato per sedici mesi e non poteva in nessun modo essere riconfermato nell’incarico nè dal podestà nè dal consiglio di valle. Il cavaliere, eletto a partire dal 1593 dal consiglio di valle, stava in carica sedici mesi. Era organo ausiliario della giurisdizione con compiti simili a quelli dell’ufficiale giudiziario previsto nel nostro attuale ordinamento giuridico: notificava gli atti dei procedimenti in corso ed eseguiva i pignoramenti e i sequestri giudiziali (Piscitello 1995B).

ultima modifica: 19/01/2005

[ Fabio Luini, Cooperativa Archimedia - Bergamo ]