comune di Cedrate sec. XIII - 1757

Abitata sin dall’epoca romana e probabilmente anche in epoca precedente, Cedrate entrò a far parte della contea del Seprio e ne seguì le sorti, fino alla distruzione di Castelseprio nel 1287 e all’integrazione della contea nei domini dei Visconti e poi degli Sforza. Nel XIV secolo Cedrate era una località della pieve di Gallarate citata come Cedrà negli statuti delle strade e delle acque del contado di Milano, del 1346, e contribuiva alla manutenzione della strada di Rho (Compartizione delle fagie 1346).
Nel 1495 fu concesso da Lodovico il Moro il feudo di Gallarate, che comprendeva anche Cedrate, a Giovanni II Bentivoglio, signore di Bologna. Dai Bentivoglio il feudo passò ad un ramo della famiglia Visconti, poi all’Abate de Hazara e, dal 1530, a Martino Caracciolo, col titolo di conte. Nel 1564 i Caracciolo scambiarono il feudo con quello di Atripalda, cedendolo quindi al feudatario Giacomo Pallavicino Basadonna. Essendo morto quest’ultimo senza eredi nel 1573, il feudo passò alla corona. Il re lo concesse nel 1578 agli Altemps, del Tirolo, che lo tennero fino al 1656. In quella data il feudo passò ai marchesi Teobaldo e Galeazzo Visconti di Cislago.
Nei registri dell’estimo del ducato di Milano del 1558 e nei successivi aggiornamenti del XVIII secolo Cedrate risultava ancora compreso nella medesima pieve (Estimo di Carlo V, Ducato di Milano, cartt. 18-19).
Nel 1716, Carlo VI concesse il feudo al conte Francesco Castelbarco Visconti, come successore del marchese Cesare Visconti (Casanova 1904).
Nel primo stato delle anime esistente, del 1574, appaiono registrati 217 abitanti, suddivisi in 45 fuochi (Guenzani, Cedrate, p. 31).
Dalle risposte ai 45 quesiti della II giunta del censimento emerge che il comune di Cedrate, che allora contava circa n. 262 anime, collettabili e non collettabili, era infeudato al conte di Castelbarco Visconti, al quale corrispondeva annualmente a titolo di censo e imbottato 16 lire, 3 soldi e 6 denari. Nel paese non risiedevano i giudici regio e feudale, ai quali la comunità era sottoposta, ma ai quali non versava emolumenti. Il giudice regio era il vicario del Seprio, residente nel borgo di Gallarate, all’epoca Giuseppe Fortunato Bonacina, al cui regio ufficio, o banca criminale, il console prestava il giuramento. Il giudice feudale, Rossoneo De Vitali, aveva ugualmente sede in Gallarate.
Il comune disponeva di un consiglio generale, il quale veniva formato nei tempi dei “rispettivi annuali riparti” o in qualche occasione straordinaria mediante la rappresentanza di due sindaci, o reggenti, che venivano eletti uno annualmente e l’altro ogni biennio per via di voti del popolo, dal console “eletto al pubblico incanto di tutti i capi di casa, o maggior parte di essi”. Il consiglio si teneva nella pubblica piazza, con l’assistenza del giudice o del suo luogotenente. La pubblica amministrazione e la vigilanza sull’equità dei pubblici riparti erano le principali attribuzioni dei due reggenti in egual misura, i quali venivano semplicemente esentati “del loro rispettivo personale”.
Il cancelliere non abitava nel territorio, ma nel borgo di Gallarate. A lui era affidata la cura delle pubbliche scritture, non essendovi alcun archivio o stanza pubblica destinata alla conservazione dei documenti. La paga del cancelliere era di 50 lire ogni anno, comprese le fatiche straordinarie (Risposte ai 45 quesiti, 1751; cart. 3071, vol. D XIII, Milano, pieve di Gallarate, n. 19, fasc. 10).

ultima modifica: 04/09/2006

[ Claudia Morando, Archivio di Stato di Varese ]