monastero di San Benedetto 1007 - 1420

Monastero cluniacense maschile.
Le origini dell'ente risalgono alla volontà del marchese Tedaldo di Canossa, che il 2 aprile 1007 (Piva 1998 a, p. 157) stabilì la trasformazione in monastero della chiesa da lui fondata sull'isola di San Benedetto, tra i fiumi Po vecchio e Lirone (Calzolari 1998, pp. 1-33), dedicata a Maria, san Benedetto, san Michele Arcangelo e san Pietro (Piva 1979-1981, p. 300; Rinaldi 1998, pp. 45-46; Bonacini 2000, pp. 623 e 636). Il cenobio nasceva su un'isola - dove già esistevano una cappella dedicata a san Benedetto e un "castrum" risalente forse all'epoca delle invasioni ungare - appartenuta probabilmente al monastero di San Benedetto di Leno (Spinelli 1998 a, pp. 63-64; Bonacini 2000, p. 638). La fondazione si era resa possibile grazie alle acquisizioni compiute da Adalberto Atto, padre di Tedaldo, mediante una serie di operazioni patrimoniali compiute alla metà del X secolo (Piva 1979-1981, p. 299; Rinaldi 1998, pp. 37-43; Bonacini 2000, pp. 636-639). La fondazione del monastero di San Benedetto Po risponde all'intento politico da parte dei Canossa di costituire un "Eigenkloster" (Rinaldi 1998, pp. 45-47), un monastero di famiglia, centro di potere, di affermazione politica e di preghiere perpetue per l'anima dei fondatori, dei loro predecessori e successori. Questi fini appaiono chiaramente nell'atto di fondazione, dove Tedaldo oltre a donare "pro anima" al nuovo cenobio consistenti beni - tra cui metà dell'isola di San Benetto, la corte di Quistello con castello e cappella, possessi a Villole, a Casalbarbato nonché cinque servi con le famiglie (Bonacini 2000, p. 639 ) - e dichiararlo esente da qualsiasi giurisdizione, vietava ai monaci di stipulare contratti senza il suo consenso e, condizione fondamentale, riservava ai Canossa la nomina dell'abate (Piva 1979-1981, p. 300; Rinaldi 1998, p. 46; Bonacini 2000, p. 628). Funzionale alla creazione di un rilevante centro di culto è anche l'interesse manifestato dal successore di Tedaldo, Bonifacio, nei confronti dell'eremita armeno Simeone, morto a Polirone nel 1016: il Canossa richiese a Benedetto VIII la canonizzazione dell'eremita - un "santo" canossiano (Rinaldi 1998, p. 50) - ed edificò una nuova chiesa intitolata a san Benedetto e san Simeone, consacrata alla metà del secolo (Piva 1979-1981, p. 301; Piva 1981, pp. 61-62; Rinaldi 1998, pp. 50-52; Piva 1998 a, pp. 159-160): "l'edificazione di una nuova chiesa ... significa anche che da un lato era aumentato il numero dei monaci polironiani e l'abbazia stessa andava assumendo una marcata rilevanza economica, dall'altro che gli stessi monaci avevano tutto l'interesse a trasformare Polirone in un centro di pellegrinaggio" (Piva 1981, p. 62). Il monastero fu un "centro strettamente gravitante nell'area imperiale" durante il regno di Corrado II, di cui Bonifacio era un importante alleato (Piva 1979-1981, p. 301): il legame con l'impero si sarebbe spezzato con Enrico IV per riprendere soltanto nel secolo successivo. Nonostante tutto, il monastero di San Benedetto Po non sembra essere stato al centro degli interessi di Bonifacio - impegnato dagli anni '20 del secolo in Toscana - e della moglie Beatrice di Lorena (Rinaldi 1998, pp. 51-53; Piva 1979-1981, pp. 302-303). Diversa la situazione che si verificò nel 1077, all'indomani della morte di Beatrice e dell'abate polironiano Pietro. In quell'anno o negli anni immediatamente successivi, entro il 1082 (Cantarella 1998, p. 86; Golinelli 1998, pp. 92-93; Bonacini 1998, p. 101) a Canossa Matilde, figlia di Bonifacio, donò il monastero a Gregorio VII e il papa a sua volta lo affidò all'abate Ugo di Cluny (Piva 1979-1981, p. 303; Piva 1981, p. 63; Cantarella 1998, p. 71). Con questo atto l'elezione dell'abate di San Benedetto passava dai Canossa a Cluny e il monastero cessava di appartenere ai marchesi, che rinunciavano così a conferire titoli ecclesiastici (Piva 1981, p. 63): allo stesso tempo questo atto comportava "di fare un centro di sicura fede pontificia un ente monastico ormai di enorme importanza politica, strategica e culturale" (Piva 1979-1981, p. 304; Cantarella 1998, pp. 86-89). Lo "status" di San Benedetto all'interno dell'ordine cluniacense è particolare, il monastero di Polirone non diviene priorato, istituzione immediatamente dipendente da Cluny, ma abbazia: "Cluny non era per il monastero ... una 'casa madre'. Era semmai un modello ... non c'erano rapporti istituzionali che ne regolassero la partecipazione all'ordine ... la scelta degli abati polironesi era affidata 'in perpetuum' agli abati di Cluny che esercitavano in questo le funzioni del papa ... ma nient'altro" (Cantarella 1998, pp. 72-73). Il cenobio è "l'unica abbazia cluniacense in Italia: le settantasette dipendenze di Cluny in Lombardia ... sono tutte ... priorati e come tali amministrati da monaci scelti direttamente dalla casa madre" (Bonacini 2000, p. 656). Nel 1105 Pasquale II riconobbe ai monaci polironesi la facoltà di elezione dell'abate con il consenso di Cluny (Bonacini 2000, p. 629) e negli anni '20 del XII secolo i monaci, appoggiando l'abate Ponzio, che si opponeva a Pietro il Venerabile al governo di Cluny (Bonacini 2000, pp. 629-630), elessero abate Guglielmo senza l'assenso del monastero francese. Questo fatto fu all'origine di un lungo e articolato confronto con Cluny (Cantarella 1998, pp. 80-88) che si risolse solo nel 1209, quando Innocenzo III decretò l'autonomia dell'elezione abbaziale al Polirone, che andava comunicata entro due anni a Cluny e che prevedeva la ratifica attraverso una visita a Polirone dei messi cluniacensi e non viceversa (Bonacini 2000, p. 630). Per quanto concerne il patrimonio polironiano, Matilde favorì con diciannove donazioni il cenobio (Golinelli 1998 pp. 92-99) in cui volle essere sepolta e che divenne nel periodo della lotta per le investiture, un importante "punto di riferimento per il movimento riformatore" (Golinelli 1998, pp. 71-73), dando un notevole contributo all'aumento dei suoi possedimenti. Altri immobili e beni il monastero ricevette alla fine del secolo e all'inizio del successivo da parte di famiglie nobili dell'Italia settentrionale (Bonacini 2000, pp. 645-656) e di cittadini mantovani, "segno del crescente coinvolgimento del monastero nella vita economica e sociale del centro urbano ... la ribellione di Mantova ai Canossa ... dal 1091 al 1114 non aveva condizionato le relazioni della comunità cittadina con il ... cenobio" (Bonacini 2000, pp. 642-643)". Il patrimonio polironiano si consolida e si assesta entro la metà del XII secolo: si tratta di una ricchezza ampia e variegata, consistente in beni immobili, diritti ed enti religiosi dalle immediate vicinanze del cenobio (chiese di San Floriano, San Siro a Polirone, Santa Maria a Villole) e nel mantovano (tra cui il "castrum" di Quistello con la chiesa di San Bartolomeo, il villaggio di Gabiana, possessi a Marzette presso Gonzaga, Casalbarbato, Codevico, Sustinente, Barbasso, Marengo, Gonzaga, Palidano e boschi in Pegognaga), a Mantova (priorati di San Martino e di Ognissanti) al lucchese (monasteri di San Martino in Colle, San Bartolomeo in Silice, San Salvatore di Sesto), a Venezia (il monastero di San Cipriano di Murano, convertito nel 1218 in abbazia), Padova (Santa Maria di Praglia, abbazia di Campese), Vicenza (Santi Fermo e Rustico), Verona (Sant'Egidio) e Treviso (cenobio di Sant'Elena), nell'Emilia e Romagna (tra cui San Leonardo a Parma, Sant'Agata a Ferrara, Santa Maria di Strata a Bologna e beni a Vilzacara) al bresciano (le chiese di San Vito e San Giusto di Medole) (Piva 1979-1981, pp. 206-307 e 317; Andreolli 1998, pp. 144-151; Bonacini 2000, pp. 630-655). Per quanto riguarda la vita interna del monastero, la comunità monastica non è nota nel periodo precedente al 1077; si conoscono solo i nomi dei primi abati, Rozo, Venerando, Rainfredo, Landolfo, Pietro. I primi monaci provenivano probabilmente da altre istituzioni volute dai Canossa, quali il monastero di Brescello (Spinelli 1998 a, p. 56 e pp. 62-63). Polirone fu sede sin dalla metà dell'XI secolo di un importante "scriptorium" (Zanichelli 1998, pp. 174-187). Il periodo è caratterizzato anche da un grande fervore edilizio, riguardante sia il monastero, sia la chiesa (Piva 1998 a, pp. 169-170). Il monastero di San Benedetto aveva ricevuto dalla fondazione al XIII secolo una lunga serie di privilegi e riconoscimenti da parte dell'autorità papale, a partire da Pasquale II nel 1099 (Kehr 1923, pp. 329 e ss.): le relazioni con l'autorità imperiale, condizionati dal rapporto dei Canossa con i regnanti, ripresero nel 1111 quando Enrico V riportò il monastero sotto la tutela imperiale, riconfermata per tutto il secolo (Piva 1979-1981, p. 316; Piva 1981, p. 64) e anche nel 1220 per volontà di Federico II. Non si hanno per i secoli successivi tante notizie sulla vita del monastero quante sono quelle del primo periodo di vita. Il XIII secolo è caratterizzato dal "rapporto di dipendenza sempre più formale da Cluny ..., l'allentarsi dell'importanza politica di Polirone e l'accentuarsi del suo carattere di centro di potere economico" (Piva 1981, p. 81). E' chiaro l'aumento dei rapporti con le principali famiglie mantovane, anche grazie al controllo dell'elezione abbaziale: è il caso dei Saviola, dei Bonacolsi e specialmente dei Corradi di Gonzaga, che "alla fine del secolo sono ancora impegnati ad accumulare possessi a spese del monastero" (Piva 1981, p. 82). Nel XIII secolo l'abate acquisì diritti e prerogative signorili; non viveva più in comune con i monaci bensì nel palazzo abbaziale recentemente costruito e amministrava la giustizia sulle terre monastiche (Piva 1981, p. 82). Nella seconda metà del secolo le dure condizioni a cui il monastero aveva sottoposto i suoi coloni determinarono una serie di contrasti, che si risolsero però con la sconfitta dei contadini (Piva 1981, p. 82). Le notizie sull'ente nel XIV secolo si fanno sempre più scarse. All'inizio del secolo i monaci decisero di restaurare l'ospedale monastico che si trovava in cattive condizioni (Piva 1981, p. 82); si conosce un diploma di conferma dei beni monastici elargito da Carlo IV nel 1354. In quegli anni le disposizioni capitolari prevedevano l'invio di un monaco polironiano a Cluny in occasione dei capitoli generali, cosa che fino a quel momento probabilmente non accadeva (Piva 1981, p. 82). Sembra che alla fine del secolo il monastero avesse raggiunto una situazione di totale crisi, che coinvolgeva anche le strutture monastiche in rovina (Piva 1981, p. 83). Nel 1419 Martino V, dopo aver invano sollecitato l'allora abate ad aggregare il cenobio alla congregazione di Santa Giustina di Padova, decise di affidare San Benedetto in commenda al protonotaro apostolico Guido Gonzaga, "la qual cosa pare causasse il progressivo allontanamento volontario di una gran parte dei monaci" (Piva 1981, p. 84). L'11 gennaio 1420 vi fu comunque un primo trattato per l'annessione, che prevedeva appunto la facoltà dei monaci di rimanere al Polirone accettando la riforma o andarsene; il 30 agosto 1425 nel secondo atto Guido Gonzaga assegnò ai monaci padovani gli edifici monastici con l'eccezione della casa del vicario dell'ospedale e libri liturgici e paramenti ecclesiastici. Il 31 marzo 1432 vi fu un terzo trattato e il 4 ottobre 1434 Eugenio IV approvò definitivamente il passaggio del monastero a Santa Giustina (Piva 1981, p. 84).

ultima modifica: 12/06/2006

[ Diana Vecchio ]