monastero di Sant'Abbondio sec. XI - sec. XV

Monastero benedettino maschile.
Fu fondato circa nel 1010 (Fasola 1984, p. 95 e n) dal vescovo di Como Alberico, presule tedesco partecipe del moto di riforma avviato sotto l'impulso dell'impero, che lo stabilì nell'antica basilica extraurbana, già dedicata ai Santi Apostoli (Xeres 2001, p. 48), sottraendola al clero che l'officiava. Si è proposto di identificare nell'abbazia di Pfaefers, a nord di Coira, il luogo di provenienza dei monaci che vi si insediarono (Xeres 1996, pp. 35-43).
Alberico donò al monastero terre e rendite "esigibili su un amplissimo territorio, che andavano tutte ad aggiungersi agli immobili ed alle decime già possedute dai passati ministri della basilica", costituendo così il "nucleo primo della vasta proprietà che Sant'Abbondio avrebbe posseduto nei secoli successivi". Alla proprietà della terra si univano "giurisdizioni di natura esclusivamente ecclesiastica e in qualche caso diritti di carattere signorile" (Perelli Cippo 1984 a, pp. 117-118).
Nell'atto di fondazione si legge che all'abate e al monastero furono destinati, oltre alla chiesa di Sant'Abbondio e le sue pertinenze, "traditio" ed "investitura" dei sette "ordines" della chiesa di San Carpoforo di Como, la corte di Albate, il mulino "de Trinale" (Como), un altro mulino nel brolo maggiore con un prato (Como), un massaricio con un campo vicino alla chiesa di San Giovanni Pedemonte (Como), un mulino presso il monastero di Santa Maria (poi Santa Margherita, Como), un quarto mulino in Rondineto (Como), un quinto nel brolo minore (Como), diritti di navigazione sul lago, redditi fiscali in denaro già appartenuti alla mensa vescovile in varie località della diocesi, una "villa" detta "Villa Nova" (poi Novate) presso Samolaco con una vicina peschiera "ad Riziolum" (che corrisponderebbero a Dascio e al torrente Rozolo per Fattarelli 1986, pp. 227-228), diritti di pesca sull'Adda e nel lago di Poschiavo, centodieci caci fiscali in Ardenno e Berbenno, due vigne presso il monastero, un oliveto in Mezzegra, uno a Laglio "ad Rostalese", la chiesa di San Martino (di Serravalle) di Bormio, un ronco sotto San Carpoforo (Como) ed il "castellum" di Casnate (ed. da orig. deperdito in Annali sacri 1663-1735, II, pp. 828-833).
I diritti di signoria sul "castellum" di Casnate e su Albate, compresi nel testo tràdito della donazione albericiana, non appaiono nel diploma di conferma, poco posteriore, di Enrico II. Non avrebbero quindi fatto parte dell'originaria dotazione vescovile e sarebbero dovuti a successiva donazione o a falso (Fasola 1984, pp. 100-101).
Su iniziativa del vescovo Alberico la fondazione del cenobio fu confermata il 5 agosto 1013 (o forse 1015) (Xeres 1996, p. 49) in un sinodo della provincia ecclesiastica di Aquileia (Barelli 1874, pp. 17-21). Sempre grazie al fondatore, il monastero ricevette anche protezione e conferma del re e poi imperatore Enrico II nel 1013 (o forse agli inizi del 1014) (Xeres 1996, p. 49) con un diploma in cui era aggiunta ai sopraricordati possessi una "curticella" detta "Insula Cumana" (Isola Comacina) con le pertinenze, i servi e le ancelle che da essa dipendevano (MGH, Heinrici II et Arduini diplomata, pp. 324-325, n. 275). Lo stesso Enrico il 4 ottobre 1015 assegnò al monastero beni confiscati in Talamona e in altri luoghi di Valtellina (MGH, Heinrici II et Arduini diplomata, pp. 428-429, n. 337).
Con privilegio del 16 maggio 1095 papa Urbano II concesse al monastero la protezione apostolica (Contini, Dominioni 1998, pp. 19-22), e poco dopo il medesimo pontefice, che una tradizione abbastanza solida vuole in visita a Como, avrebbe consacrato personalmente la nuova chiesa abbaziale (Xeres 1996, pp. 45-46).
Un prima, ma estesa ricognizione su quanto conservatosi del cartario di Sant'Abbondio ha permesso di accertare che tra XI e XIII secolo, oltre che nella città e nell'immediato circondario (in particolare a Monte Olimpino), il monastero ebbe nel contado di Como proprietà in Breccia, Vergosa, Rebbio, Albate, Trecallo, Grandate, Casnate e Tavernerio. Sul lago di Como, a Cernobbio, Moltrasio, Vergonzano (Moltrasio), Laglio, Torrigia (Laglio), Carate, sull'Isola Comacina (nella quale nel XII secolo la presenza del monastero aveva anche caratteri signorili) e a Mezzegra, Griante, Musso, Torno, forse Pognana e Lezzeno, e a Vassena. Nella valle della Mera sono attestate proprietà del monastero a Samolaco, dove ancora nella seconda metà del XIII esercitava diritti signorili, Chiavenna e Piuro (Perelli Cippo 1984 a, pp. 117-129).
In Valtellina, nella pieve di Bormio, Sant'Abbondio ebbe proprietà a Bormio - con la chiesa di San Martino di Serravalle, che ospitò una piccola comunità di monaci tra 1190 e 1240 circa (Martinelli Perelli 1991, pp. 177-192) - Valdisotto, Valfurva, Valdidentro e in Val di Fraele. Nella pieve di Mazzo a Sondalo - con le chiese di Santa Maria, ricordata per la prima volta come dipendenza abbondiana nel privilegio di Innocenzo III del 1208, e di Sant'Agnese, attestata come "cappella et ecclesia" del monastero nel 1220 (Martinelli Perelli 1991, pp. 174-177) - Grosio, Grosotto, Mazzo, Tovo, Lovero, Sernio. In pieve di Villa, a Tirano, Villa e Bianzone. Altre proprietà erano localizzate nella pieve di Tresivio, in Teglio, Tresivio - con la chiesa di Santa Maria, dipendente da Sant'Abbondio almeno dal 1106, e dove presumibilmente dalla prima metà del XII secolo a metà del seguente fu attiva una "cella" monastica (Martinelli Perelli 2001, pp. 294-305) - e Ponte in Valtellina. Beni del monastero si trovavano anche nelle pievi di Sondrio (Andevenno) e di Berbenno (Postalesio), e nella pieve di Ardenno in Talamona (un terzo della corte con i suoi diritti a metà del XII secolo), Morbegno (dove era la residenza valtellinese dell'abate), Dazio, Bema, Albaredo, Civo, Buglio e Ronco, Pilasco. In pieve di Olonio a Cercino, Mantello, Traona, Dubino, Cino, Cosio, Regoledo, Val Gerola e Villatico.
Ai primi del XIV secolo le proprietà valtellinesi, raccolte intorno a tre nuclei principali, "quelli cioè di Bormio e Sondalo nell'Alta Valle, quello di Tresivio nel settore centrale, e quelli di Talamona e Morbegno nella sezione meridionale" si estendevano per circa 7.430 pertiche comasche, alle quali si aggiungevano le proprietà di Tresivio ed altre nella sezione centrale della valle per un totale di oltre 7.900 pertiche (Martinelli Perelli 1984, p. 162).
Nell'attuale Canton Ticino, il monastero ebbe nel Mendrisiotto proprietà in Morbio Superiore, Castel San Pietro, Coldrerio e Ligornetto. Nel Luganese "il territorio di Agnuzzo-Muzzano sembra essere stato quasi completamente in possesso di Sant'Abbondio", che vi esercitava diritti signorili ed era inoltre proprietario nelle circostanti località di Sorengo, Gentilino, Viglio, Barca, Certenago, Poporino, Orino, Arosio e Bigogno. Sempre nel Luganese, un altra proprietà del monastero era segnalata a Sala, presso Pregassona. Il monastero ebbe beni e diritti anche nella Val d'Agno, nel territorio del comune costituito da Cademario, Bosco, Bioggio e Gaggio. A Breno, nel Malcantone, il monastero ebbe beni, l'intera decima e diritti di sovranità sui beni comuni (Schaefer 1954, pp. 159-170). In territorio oggi elvetico altre proprietà del cenobio erano localizzate in Chiasso e Balerna (Perelli Cippo 1984 a, pp. 123-124).
Celestino III il 19 aprile 1194 confermò al monastero le due chiese di Santa Tecla e San Giovanni di Torno con le loro pertinenze e diritti parrocchiali (Acta Pontificum, III, p. 392 n. 464)
Il privilegio di Urbano II del 1095 fu riconfermato da papa Innocenzo III il 25 giugno 1205 (ed. Annali sacri 1663-1735, II, pp. 892-894).
Il 9 maggio 1208 (Annali sacri 1663-1735, II, pp. 545-547) il medesimo pontefice con un nuovo privilegio confermò i diritti del monastero su varie chiese della diocesi: erano quelle comasche dei Santi Cosma e Damiano (presso l'abbazia), Sant'Andrea Apostolo, San Martino (forse quella "in Silvis"), Sant'Agnese (forse San Pietro in Brolio, poi Santa Chiara) (Casalino 2001, pp. 341-342), San Giovanni Apostolo ed Evangelista, San Giovanni Battista (probabilmente quella "in Pedemonte") e dei Santi Gervasio e Protasio, Sant'Andrea "de Amutio" (Agnuzzo, nel Luganese) (Schaefer 1954, p. 159), e le due di Santa Tecla e San Giovanni di Torno. In Valtellina e Valchiavenna furono confermati i diritti sulle chiese di San Martino di Morbegno, Santa Maria di Tresivio, San Fedele di Coseto, Santa Maria di Lovero (Martinelli Perelli 1984, p. 152), San Martino di Serravalle, Santa Maria di Sondalo e San Bartolomeo di Chiavenna (Annali sacri 1663-1735, II, pp. 897-899).
A partire dal 1223 è documentata una lite tra il monastero comasco e l'arciprete della pieve piacentina di San Martino d'Olza (Cortemaggiore) per il possesso della chiesa di Sant'Abbondio di Boccadarda (Perelli Cippo 1984 b, p. xvii).
Verso il 1233-1234 (Grillo 1999, p. 199) il monastero concesse in uso ai domenicani la chiesa di San Giovanni in Pedemonte, presso Como, ai quali sarebbe passata definitivamente nel 1240 (Ronchetti 1981, pp. 143-144).
Nella seconda metà del XIII secolo, come si desume dall'analisi di alcuni registri amministrativi, la proprietà del monastero era significativa e organizzata nella forma del "manso" e del "massaricio" in Albate (12 mansi nel 1274, per circa 1.700 pertiche comasche), Cademario (14 massarici nel 1288 per poco meno di 200 pertiche), Laglio (10 massarici nel 1274, per circa 50 pertiche), Lugano (16 massarici nel 1270, per oltre 2.700 pertiche) Moltrasio e Vergonzano (nel 1271 otto massarici, per circa 60 pertiche), Sondalo (nel 1270 due massarici e tre corti per circa 230 pertiche), nel territorio di Talamona, Morbegno e Dazio (un manso nel 1296) e infine a Torno (59 massarici intorno agli anni Settanta del XIII secolo per circa 230 pertiche) (Perelli Cippo 1984 b, pp. xxiii-xxx).
Nel 1288, oltre all'abate, compaiono nei documenti dieci monaci, che erano almeno quindici nel 1305 (Ronchetti 1981, p. 126).
Nella decima del 1295-1298 il monastero versò in tutto 140 libbre imperiali (Perelli Cippo 1976, p. 110), e in quegli anni appare per la prima volta tra le dipendenze abbondiane la chiesa di San Provino a Como (Longatti 1995, pp. 732-733).
Nel 1333, perdurante in diocesi la contrapposizione tra il vescovo filoimperiale e quello eletto da papa Giovanni XXII, il monastero vide succedere al defunto abate Benedetto (Benno) Lambertenghi il monaco fruttuariense Bonifacio "de Maxino", di nomina pontificia, cui si contrappose Giovanni "de Casella", eletto da una parte dei religiosi. Il "de Maxino" prese possesso del monastero solo nel 1335, reggendolo fino alla morte nel 1340. Nel 1342 era nuovamente abate Giovanni "de Casella", questa volta con il consenso del pontefice (Lucioni 2003, pp. 132-135)
Dal 1401 fu abate di Sant'Abbondio Beltramo da Montone, il quale, rimasto praticamente solo, con al massimo due altri monaci, tra marzo e maggio del 1458 rinunciò all'abbaziato, che entro il 4 giugno di quell'anno fu affidato da papa Callisto III al commendatario cardinale Giovanni Castiglioni, morto nel 1460. Succedettero al Castiglioni Giovanni Pietro Visconti (1460-1474), sotto il quale si verificò una timida rinascita del monastero, il cui capitolo contava quattro membri nel 1464, e poi il vescovo di Novara Giovanni Arcimboldi (1474-1488), cui è attribuito nel 1482 un irrealizzato progetto di ripopolamento del cenobio, per il quale il comune di Como suggerì i monaci di San Pietro in Gessate della congregazione di Santa Giustina di Padova (Ordinationes 1479-1515, Comune di Como, c. 237). Fu poi la volta di Gaspare "de Caymis", definito nei documenti "universalis fictabilis" del monastero (1488-1494), e di Giovanni Giacomo Castiglioni, commendatario dal 1495 al 1508 (Casalino 2001, pp. 321-340).
Nella Valtellina del XV secolo sono attestati come spettanti all'abate di Sant'Abbondio "diritti di provisione e di conferma di beneficiali" per Santa Maria Maddalena di Lovero e, in pieve di Mazzo, per le chiese di San Lorenzo di Frontale, San Giovanni di Mondadizza, San Giacomo di Taronno, Sant'Abbondio di Sommacologna e Santa Maria a Sondalo. L'abate di Sant'Abbondio aveva inoltre, insieme all'abate di San Dionigi di Milano (Orsini 1960, p. 10), diritti di conferma per i rettori delle chiese di Santa Maria di Talamona e San Martino di Morbegno; esercitava analoghe prerogative anche sulla chiesa curata di Santa Tecla di Torno e sulla parrocchiale di San Provino a Como (Visita Landriani 1444-1445, p. 31).

ultima modifica: 12/06/2006

[ Francesco Bustaffa ]