provincia ecclesiastica sec. IV - sec. XX

Le diocesi sono normalmente raggruppate in circoscrizioni più ampie, dette province ecclesiastiche, che nel diritto canonico vigente sono di istituzione pontificia. A ciascuna provincia presiede un metropolita o arcivescovo, dignità che è congiunta con una sede vescovile designata dal pontefice. Le diocesi che fanno parte della provincia sono dette suffraganee, in quanto ai vescovi a esse preposti spetta, nel concilio provinciale presieduto dal metropolita, lo ius suffragii. Le diocesi che, per privilegio, dipendono direttamente dalla Santa Sede sono dette esenti.

La prima organizzazione delle comunità cristiane avvenne, se non esclusivamente, almeno prevalentemente nelle maggiori città dell’impero romano. Da questo fatto discende l’inserimento del sistema di organizzazione ecclesiastica nelle stesse strutture dell’amministrazione civile, per cui si ebbero, a seconda delle regioni cristianizzate, diocesi meno o più vaste, e la preminenza anche religiosa, che di solito si sarebbe conservata, del principale centro amministrativo sulle altre città della regione. Al centro principale venne riconosciuto il nome di metropoli, cioè di città matrice. Alle metropoli, con lo svolgersi del tempo e con l’incremento dei fedeli, vennero riconosciuti particolari diritti. Anche in Occidente il cristianesimo inserì i suoi quadri organizzativi nelle strutture geografiche e storiche delle divisioni amministrative territoriali in cui Diocleziano prima e Costantino poi avevano diviso l’impero romano (Vigotti 1981).

Nello svolgimento storico della costituzione ecclesiastica i poteri degli uffici intermedi tra l’episcopato e il supremo pontificato, cioè quelli spettanti a patriarchi, primati, esarchi, metropoliti, potevano essere considerati, giuridicamente, come derivanti dalla parziale comunicazione della suprema potestà giurisdizionale della Santa Sede. Un ufficio che ha conservato potestà giurisdizionali superdiocesane anche in epoca di codificazione del diritto canonico è quello del metropolita, che oltre ad avere potestà vescovile nella propria diocesi ha, nelle diocesi suffraganee costituenti la provincia ecclesiastica, i poteri giurisdizionali sia di carattere amministrativo che giudiziario (CIC 1917, can. 274). Uno dei diritti eminenti del metropolita è di convocare e presiedere il concilio provinciale, cui partecipano i vescovi suffraganei.

METROPOLITA

Il metropolita (arcivescovo) presiede una provincia ecclesiastica. Di fronte alle diocesi della provincia il metropolita ha determinate facoltà. Ad esempio, è sede di appello contro le sentenze giudiziarie definitive o interlocutorie aventi forza di definitive pronunciate dalle curie suffraganee; può compiere la visita canonica, previa approvazione della Santa Sede, se omessa dal suffraganeo. In segno di distinzione, al metropolita compete di procedere con la croce; mentre simbolo proprio del suo potere è una fascia di lana larga alcuni centimetri con sei croci nere intessute, detta pallio, che si porta sulla pianeta (Retzbach 1960); il pallio denota la pienezza dell’ufficio pastorale e della potestà. Il metropolita nella sua archidiocesi ha gli stessi obblighi e diritti che ha qualunque vescovo nella sua diocesi; in più quelli derivanti dal pallio che porta come segno distintivo (Masseo 1967).

Nelle diocesi suffraganee spetta al metropolita vigilare perché la fede e la disciplina ecclesiastica siano accuratamente osservate, e informare il romano pontefice degli eventuali abusi; deve informare la Sede apostolica sull’assenza dei vescovi suffraganei (CIC 1917, can. 395 § 4) e sull’inabilità dei vescovi a reggere la diocesi (CIC 1917, can. 415); deve intervenire se non è stato eletto l’amministratore diocesano (CIC 1917, can. 421 §2, can. 425 § 3). Dove le circostanze lo richiedono, la sede apostolica può conferire al metropolita funzioni e potestà peculiari da determinare nel diritto particolare. Nessuna altra potestà di governo compete al metropolita nelle diocesi suffraganee; egli può però celebrare funzioni sacre in tutte le chiese delle diocesi suffraganee, come se fosse il vescovo nella propria diocesi, deve solo avvertire il vescovo suffraganeo, se si tratta della chiesa cattedrale.

CONCILIO PROVINCIALE

II concilio provinciale è un’istituzione che raggruppa i rappresentanti di una provincia ecclesiastica. La convocazione e la presidenza spettano all'arcivescovo metropolita. Nel caso che ne sia impedito, e che la sede sia vacante, la convocazione spetta al vescovo suffraganeo più anziano nella promozione all'episcopato. L'assemblea si riunisce, di preferenza, nella chiesa metropolitana, ma per un giusto motivo è lecito scegliere un luogo diverso nel territorio della provincia. Gli arcivescovi, i vescovi, gli abati e i prelati nullius che non fanno parte di alcuna sede metropolitana, non sono, per questo, dispensati dalla partecipazione a un concilio provinciale. Essi si uniscono al concilio della provincia da loro scelta a questo scopo, una volta per tutte, con l'approvazione della Santa Sede. I membri di diritto del concilio provinciale sono, anzitutto, i prelati che sono a capo, nel periodo del concilio, di un territorio autonomo nella provincia: vescovi residenziali, abati e prelati nullius, eventuali vicari capitolari, amministratori apostolici di diocesi. Tutti questi membri hanno voce deliberativa. Una seconda categoria di membri di diritto è formata da due rappresentanti di ciascun capitolo cattedrale o, in mancanza di capitolo, del collegio dei consultori diocesani; dai superiori maggiori degli istituti religiosi clericali esenti; dai superiori delle congregazioni monastiche. Questi membri non godono del diritto di voto. E' permesso invitare altri membri del clero secolare o regolare, i quali pure hanno soltanto voce consultiva. I vescovi titolari residenti nella provincia, invece, prendono parte al voto, se sono convocati al concilio. Il concilio provinciale si adopera per favorire i buoni costumi, correggere gli abusi, risolvere controversie, conservare o ristabilire la disciplina; consigliarsi e decidere per l’incremento della fede. Può prendere provvedimenti che avranno forza di legge in tutta la provincia e nei territori dei prelati che si sono aggiunti al concilio. Gli atti e le decisioni dei concili provinciali devono essere inviati al presidente della Santa Sede e non possono essere promulgati che dopo il loro esame da parte della Congregazione del Concilio. Le decisioni promulgate a norma di legge hanno valore di diritto particolare nel territorio corrispondente (Retzbach 1960). Gli ordinari dei luoghi non sono autorizzati a dare dispense generali dalle leggi promulgate nel concilio. Possono dispensare soltanto in casi particolari, non essendo essi gli autori diretti di queste leggi, ma l'assemblea conciliare in quanto tale.

La cadenza delle riunioni dei concili provinciali è stata storicamente assai varia. Il Concilio di Trento aveva voluto che la riunione dei concili provinciali avesse luogo ogni tre anni. Ma la pratica di queste riunioni cadde in seguito in disuso. Il testo che ha ordinato la riunione periodica e obbligatoria dei concili provinciali risale soltanto al 1917, ma le circostanze storiche del XX secolo non hanno permesso la convocazione dei concili provinciali durante il tempo stabilito.

Oltre al concilio provinciale, il Codice di diritto canonico del 1917 prevedeva una riunione quinquennale dei vescovi di ciascuna provincia ecclesiastica. L'assemblea episcopale, però, non godeva del potere legislativo nella provincia. I vescovi avrebbero potuto discutere i problemi di interesse comune, rimanendo a ciascuno la facoltà di prendere, nel proprio territorio, le disposizioni opportune.

Il Codice di diritto canonico del 1983 ha previsto che l’azione pastorale congiunta fosse esercitata nelle province ecclesiastiche da “concili particolari” (CIC 1983, can. 439), per un determinato territorio, che possono essere “plenari”, se sono celebrati per tutte le chiese particolari (diocesi) da cui è formata la medesima conferenza episcopale, oppure “provinciali”, se vengono celebrati per le diverse chiese particolari della stessa provincia ecclesiastica. La funzione del concilio provinciale e del concilio plenario è di provvedere alle necessità pastorali con un esercizio di potestà di regime, specialmente legislativa (Abate 1983).

ultima modifica: 19/01/2005

[ Saverio Almini ]