Valsolda sec. XII - 1786

La prima esplicita menzione della Valsolda, secondo il Barrera, si ha già in documenti dell’inizio del XII secolo (Barrera 1864, pag. 19). Feudo dell’arcivescovo di Milano “ex possessione immemorabili” (Casanova 1904), Valsolda era composta in origine da dodici terre: Albogasio, Bisnago, (detta anche Roncaglia, l’unica terra sulla riva opposta del lago rispetto al resto della valle) Casarico, Castello, Cima, Cressogno, Dasio, Drano, Loggio, Oria, Puria, San Mamette. Capoluogo di tutta la valle era San Mamette, dove vi era il “pretorio” e la “vetusta chiesa plebana” (Barrera 1864, pagg. 45 e 53)
Sempre secondo il Barrera (che riporta copia del documento di donazione nell’appendice al suo libro), nel maggio del 1240 Federico di Svevia donò ai comaschi, suoi partigiani, la pieve di Porlezza e l’intera Valsolda (Barrera 1864, pag. 78). Di tale donazione si ha conferma anche dal documento del 1240 (ripartizione territoriale del marchese Bertoldo di Hohemburg del complesso pievano comasco, confermata nel 1279) in cui la Valsolda è effettivamente indicata tra le comunità assegnate alla Porta Monastero della città di Como (Ripartizione pievi comasche, 1240).
L’appartenenza a Como fu comunque di brevissima durata tanto che, già nel 1246, la valle si dotò di propri statuti che furono poi riformati per ordine del vicario imperiale Gian Galeazzo Visconti, conte di Virtù, nella chiesa di San Mamette il 14 maggio del 1388. Il Barrera afferma poi che “… sembra … che fosse costume, nel prestare il dovuto giuramento di ricognizione ed obbedienza ad ogni nuovo arcivescovo, ottenere da essolui la revisione e conferma dello statuto” (Barrera 1864, pag. 56).
La Valle otteneva il diritto ai suoi privilegi mediante una contribuzione di lire 150 imperiali che pagava annualmente all’arcivescovo di Milano e che egli riscuoteva il giorno della festa di Sant’Ambrogio a titolo di locazione per le “case et terreni, possessioni, fitti, conditij, pensioni, decime, censi, honoranze, et altre ragioni sopra le case, terre, et monti di detta Valle”, come risulta da un istrumento d’investitura rogato dal notaio Giovanni Caldiraro nell’anno 1311 (Barrera 1864, pagg. 74 – 75).
Queste investiture danno ragione e prova certa del duplice dominio, spirituale e temporale, che gli arcivescovi meneghini ebbero sempre sopra la Valle (alle pagine 76 e 77 del volume del Barrera è citata una serie di istrumenti di conferma dei privilegi dal 1360 al 1484 , che sarebbero conservate nell’Archivio arcivescovile di Milano).
La dominazione sulla Valsolda della Chiesa milanese si interruppe per un breve periodo tra il 1525 ed il 1531 quando ottennero investiture ducali Gian Giacomo Medici ed il cavaliere Giambattista Pusterla. Ma subito dopo la valle ritornò nelle mani dell’arcivescovo di Milano che ne pretese, a questo punto, anche l’alto dominio (Casanova 1904).
L’attività di controllo sulla Valsolda da parte degli arcivescovi veniva esercitata in particolare inviando nella valle periodicamente un delegato “sindacatore o visitatore”, che esaminava l’amministrazione e la condizione politica morale del paese, svolgeva il compito di giudice straordinario, “derogando o riformando, quando fosse mestiere, la legge”; in seguito venne “aggiunto un esattore fiscale per il pagamento della tassa convenuta con il ducato di Milano sopra il perticato, e per la somministrazione del sale” (Barrera 1864, pagg. 61 – 62).
Nel XVI secolo le comunità che componevano la valle furono ridotte solo a cinque ”… quali fanno la università di essa Valle et ciascun comune ha il suo territorio separato, et deputa il suo console, il qual ricava i carichi ad esso suo comune spettanti, denuntia i delitti che si commettono nel suo territorio, et detti tutti comuni hanno paschui et alpi separati e separatamente godono le loro entrade. Inoltre ciascheduno comune deputa uno o doij consiglieri i quali tutti rappresentano essa università così è ordinato per i loro statuti. Et essi elegono il podestà in essa Valle et spediscono tutto ciò ove si tratti del interesse di essa università” (Barrera 1864, pag. 190 –191).
Ai comuni era poi consentito, già dagli antichi statuti, di nominare dei campari per esercitare il controllo sopra i territori, sia in monte che in piano, di proprietà della comunità. Essi dovevano essere prima presentati dal console del comune al podestà della valle per prestare nelle sue mani il prescritto giuramento (Barrera 1864, pag. 373).
Il numero dei comuni che componevano la valle, ferme restanti le terre che ne costituivano il territorio, variò più volte nel corso del XVIII secolo. Così, mentre dal “Compartimento territoriale specificante le cassine” del 1751 emerge che la Valsolda era costituita dal solo comune di San Mamete (Compartimento Ducato di Milano, 1751), nell’“Indice delle pievi e comunità dello Stato di Milano” del 1753 viene indicato che la Valle è suddivisa in due distinte porzioni non meglio identificate (Indice pievi Stato di Milano, 1753). Ed ancora, nel compartimento territoriale dello stato di Milano (editto 10 giugno 1757) la Valsolda, inserita nel ducato di Milano, risulta formata da 6 comuni: Albogasio con Oria, Castello, Cressogno superiore ed inferiore, Dasio, Drano con Loggio, Puria.
Con dispaccio imperiale di Giuseppe II del 12 settembre 1784 il feudo venne confermato agli arcivescovi pro tempore di Milano ma venne anche dichiarata infondata ogni pretesa di alto dominio (Casanova 1904). Nel testo del dispaccio veniva infatti dichiarato che si era verificato ”… insostenibile il titolo di supremo, ed assoluto dominio, quale gli arcivescovi di Milano hanno preteso in passato di attaccare al possesso per altro legittimo loro spettante della Valsolda, terra situata nel nostro stato di Milano, e costituente originariamente una porzione della pieve di Porlezza, territorio comasco”.
Sempre nello stesso atto, venivano quindi disposte le conseguenti determinazioni, tra cui in particolare il fatto che “… dovrà considerarsi in avvenire la Valsolda come terra suddita dello stato di Milano e però soggetta a tutti li regolamenti politici, giudiziari, economici e censuari del medesimo: al quale effetto l’attuale nuovo arcivescovo dovrà prestare nelle mani del governo il giuramento speciale di fedeltà come padrone della Valsolda, ciò che incombeva egualmente a’ di lui successori di caso in caso”. Ed ancora “… potranno usare nulla di meno gli arcivescovi p.t. del titolo di Signore della Valsolda, come in passato, salvo sempre, il nostro supremo Dominio”. ”… Resterà pure ad essi salvo ed intero, come di ragione, il dominio utile a termini dell’attuale legittimo possesso …”. “… Sarà pure salva la facoltà dell’arcivescovo di confermare il Giudice in prima istanza, solito eleggersi dalla valle; con ché però lo stesso sarà sottoposto intieramente alle Leggi dello Stato per l’amministrazione dalla giustizia, e libero pure agli abitanti l’uso della provocazione ai Regj giudici e tribunali superiori in via di appello e revisione, secondo il sistema generale dello Stato” (Barrera 1864, pagg. 271 – 272). Con questo provvedimento cessò pertanto di fatto il regime particolare che reggeva la Valle sin dalle origini.
Dal punto di vista dell’amministrazione, la Valsolda disponeva di un consiglio generale “… composto da dodici consiliarii et credentiarii, che all’uopo erano assistiti da altri dodici ’boni viri’…”. Il consiglio aveva anche competenze di ordine giurisdizionale infatti ” …nÈ casi nÈ quali per avventura mancasse il provvedimento dello statuto, la deliberazione era compiutamente devoluta alla giustizia ed al senno del podestà, che giudicava però solo dopo aver consultata una commissione composta di uomini tra i più saggi ed intelligenti della valle. Questo podestà … sentenziava in prima istanza, il consiglio o credenzieri formavano il giudizio che oggi si chiama di revisione o di appello, e si deferivano al principe arcivescovo come suprema istanza i giudizi di cause più gravi ed involute, che venivano da lui decise mercé l’assistenza d’integerrimi e dotti legali” (Barrera 1864, pagg. 60 e 63).
Ogni uomo della valle doveva di fatto partecipare alle vicinanze ed ai consigli quando chiamatovi dal servitore della valle o da un suo messo, pena il pagamento di un’ammenda (Barrera 1864, pag. 388, cap. 95).
In alcuni documenti della seconda metà del XV secolo appare anche la figura del sindaco di valle, “procuratore della comunità e degli uomini in forza di strumento di procura e sindicato …” (Barrera 1864, pag. 323).
Altri ufficiali della valle erano il fante, che fungeva da usciere e bargello, ed il caneparo (chiamato anche camerario o canevario), che era il tesoriere della valle. A quest’ultimo in particolare era affidato il libro degli statuti che egli doveva, con giuramento, promettere di custodire con ogni cura “ad utilità di tutti gli uomini della valle”; era inoltre tenuto a trasmetterlo al podestà ogni qualvolta questi ne avesse avuto necessità nell’adempimento del proprio mandato. Infine la valle nominava un provveditore per l’introduzione delle biade dai borghi vicini in Valsolda (Barrera 1864, pagg. 61 – 62).

ultima modifica: 09/01/2006

[ Domenico Quartieri ]