contado di Como sec. XVI - 1757

Dopo la cacciata del Giacomo dei Medici, detto il Medeghino, che si era insediato dal 1522 a Musso estendendo il suo potere anche ad altri territori dell’alto Lario ed in particolare alle cosiddette “Tre Pievi” (nominate in tal modo per la prima volta), Francesco II Sforza con proprio decreto del 1532 (1534?) dispose affinché quel territorio fosse dotato di un proprio podestà ed ufficiale di giustizia, separando di fatto amministrativamente le tre pievi (Gravedona, Sorico e Dongo) dalla giurisdizione della città di Como (Zecchinelli 1951).
Il decreto prevedeva che le pievi disponessero di un “commissario, seu podestà, il quale habbia il modo, non essendo lui dottore, di tenere uno vicario dottore per le cose della giustitia”, ma anche che lo stesso “habbia autorità et modo di tenere in timore il paese et purgarlo de’ tristi et facinorosi de’ quali da qui indietro havemo inteso sempre essergliene stata gran copia” (Separazione tre Pievi 1532).
Alle tre pievi superiori del lago, che praticamente costituirono il primo nucleo su cui si sviluppò la struttura amministrativa e territoriale dell’intero contado, si aggiunsero poi altre comunità appartenenti alle pievi inferiori.
Dal “Regolamento del Contado di Como”, emanato successivamente al decreto del magistrato ordinario del 17 dicembre 1652, è possibile risalire alle comunità che componevano il contado stesso: per la parte superiore Sorico, Gera, Gravedona, Domaso, Montemezzo con Trezzone, Livo, Dongo, Consiglio di Rumo, Stazzona, Germasino, Garzeno, Cremia, Colico e Musso; per la parte inferiore Pianello, Plesio, Bellagio, Villa e comune di Mezzo di Bellagio, Menaggio, Loveno, Griante, Grandola, Lenno, Tremezzo, Sala, Lezzeno, Cerano, Nesso, Brienno e Laglio con Carate.
Il regolamento prevedeva inoltre l’organizzazione e gli ufficiali preposti all’amministrazione di quel territorio. In particolare il contado disponeva di un organo deliberativo, la congregazione generale, formato da 30 “vocali”, rappresentanti nominati dalle trenta terre che componevano la “provincia”.
Con gli ufficiali e gli altri organi del contado, la congregazione si riuniva ogni tre anni nel mese di novembre, convocata dai sindaci in una casa alla presenza di uno speciale delegato del magistrato ordinario, per trattare e decidere, con votazione segreta e sino alla raggiunta deliberazione, sulle istanze presentate dei sindaci.
Alla congregazione generale era affidata anche l’elezione degli ufficiali che dovevano essere scelti tra persone originarie del contado, stimate idonee all’incarico da ricoprire. Durante tale votazione gli ufficiali o coloro che intendevano ricoprire tali cariche, dovevano assentarsi dalla seduta, come pure in caso di discussione che li riguardasse direttamente.
Ufficiali e “ministri del Contado”, duravano in carica per tre anni ed erano proposti dai vocali della parte del contado che dovevano rappresentare. Essi erano: tre sindaci, due dei quali residenti nel contado, uno per la parte superiore e l’altro per la parte inferiore, ed un terzo residente in Milano; quattro deputati, due per la parte superiore e due per la parte inferiore; due cancellieri, anche loro uno per parte; un “ragionatto d’esperienza e pratica” che doveva risiede nella parte superiore; un commissario “della scossa de’ carichi di detto Contado e più d’uno quando coll’elezione di molti venga migliorata la condizione della provincia”.
Obbligo dei due sindaci provinciali era di “accudire a tutti li negozj e cause di detto contado colla maggiore diligenza e legalità”.
Il sindaco residente in Milano era invece tenuto ad “assistere a tutte le cause e negozj del contado con ogni fedeltà e circospezione, ed avendo esso l’autorità, e facoltà di intervenire alle congregazioni, che si sogliono fare in Milano dalli sindaci del ducato”. Egli doveva, quale ulteriore adempimento del suo dovere, “il tutto rifferire alli due sindaci ressidenti nel contado per renderli informati delle providenze date o da darsi, e per intendere i loro sentimenti”.
Compito dei deputati era “di vedere e diligentemente riconoscere, e stabilire in ogni triennio li conti delli commissari della scossa de’ carichi del contado, e di qualunque altri uffiziali del medesimo, che possi avere occasione di rendere conto di qualche administrazione di danaro spettante allo stesso con un rigoroso sindicato”.
Tra l’altro erano tenuti ad intervenire “alli congressi, allorché … ricercati dalli sindaci provinciali, ed unitamente determinare con la più matura ponderazione, lo che stimano di maggiore utile della provincia”.
I cancellieri dovevano “essere pronti a rogare tutti li instrumenti delle congregazioni, e de’ conti del comissario della scossa, e de’ contratti col contado” oltre che predisporre avvisi ed editti.
Dovere del “ragionatto” era di formare i riparti dei carichi e degli altri debiti della provincia “in cadun’anno secondo il risultato dall’imposta che le viene data dalli sindaci provinciali”. Doveva inoltre “registrare si le imposte, che li riparti in un libro, e tenere presso di sé delli stessi una copia firmata”, predisporre gli avvisi da inviare alle terre poiché ognuna potesse provvedere al pagamento delle imposte dovute ed anche “tenere in sua casa un archivio” in cui riporre tutte le scritture relative al suo ufficio.
La nomina del commissario “della scossa” avveniva ogni tre anni durante la seduta plenaria della congregazione generale. Dell’appalto del servizio doveva essere preventivamente data notizia affiggendo le “cedole” nelle pubbliche piazze dei comuni capo pieve e di Como per un periodo minino di 15 giorni. La carica veniva assegnata a chi avesse presentato l’offerta più vantaggiosa e avesse fornito “idonea sigurtà”. Le sue funzioni erano quelle di esigere le imposte necessarie per il pagamento delle contribuzioni degli ufficiali, delle spese di giustizia e straordinarie, che erano fissate dai sindaci provinciali e ripartite tra tutte le terre e comunità del contado dal “ragionato” in proporzione al loro estimo.
Il commissario aveva inoltre l’obbligo di corrispondere “la diaria contribuzione in scarico del contado nelli ripartiti termini alla cassa diaria di Milano, e di pagare li reddituarij e li novi soventori”.
Alla fine del triennio doveva infine rendere “solennemente i suoi conti producendo le opportune giustificazioni e confessi alli soddetti quatro deputati a questo effetto principalmente destinati, li quali riconoscono dilligentemente le partite e le cause della uscita di tutto il danaro esatto nel triennio … servendosi anche dell’opera del predetto ragionato che assiste alli stessi conti”.
Il resoconto veniva quindi stampato e distribuita una copia ad ogni comunità, “acciò ogn’una possa vedere la conversione di dette imposte e per ogni particolare possa riconoscere il regolamento delli uffiziali del contado”.
Il compenso previsto per le attività del commissario variava tra il due ed il due e mezzo per cento “sopra tutta l’imposta caricata al contado, con espressa convenzione che il commissario possa ancora esigere dalle rispettive comunità il cinque per cento a titolo di interesse ed a rata d’anno per quella tangente loro caricata che le medesime non pagavano nella scadenza delli rispettivi termini” (Regolamento contado di Como, sec. XVII).

ultima modifica: 03/01/2006

[ Domenico Quartieri ]